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Così adocchiato da cotal famiglia,
Fui conosciuto da un, che mi prese
Per lo lembo, e gridò: qual maraviglia?
Ed io, quando 'l suo braccio a me distese,
Ficcai gli occhi per lo cotto aspetto
Si, che 'l viso abbruciato non difese
La conoscenza sua al mio 'ntelletto;
E chinando la mano alla sua faccia,

condo il decoro ch'è l'id quod decet; e l'allichisata schiffiltà aristocratica della poesia nostra, non resta a noi superstite; dove quelle locuzioni che proprie sapeva Dante solo, o tra ben pochi, bene adoperare; dureranno, come le pinture di Michelangelo, sempre vive e care quanto durerà il mondo.

24. LEMBO, estremità della veste ec. Limbo da questo si è figuratamente posto (Inf. IV, 45) per l'orlo e la parte superiore del cono infernale. Il Tasso Gerus. liber. II, 89 dice d'Argante:

Indi il suo manto per lo lembo prese Curvollo e fenne un seno e il seno sporto ec. e per traslato dice della notte (XIV, 1):

E scuotendo del vel l'umido lembo
Ne spargeva i fioretti e la verdura.

Dante indossava un vestimento a foggia quasi chericale, ed era sull'argine; sicchè ser Brunetto, che stava più basso sul sabbione, non potè prenderlo che per lo lembo. Questo ci può essere un dato, a calcolare l'altezza degli argini, di cui si parla (v. 1 e 10 segg.).

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27. DIFESE. Difendere per vietare, impedire, togliere ec. Brun. Latini, Oraz. di Ces. - E se alcuna legge difende che l'uomo non debbia battere l'uomo giudicato a morte (vieta). Idem Oraz. di Catell. La strettezza del luogo dove voi siete difende (impedisce) che i vostri nemici non vi possano del tutto rinchiudere. Egid. Colonna, Gov. de' princ., Lib. II, part. II, cap. XX. E perciò ciascuno uomo diè difendere alle sue femine ch'elle non stieno oziose ec. Il Poeta (Inf. VII, 81) disse:

Oltre la difension de' senni umani, usando difensione per difesa in senso di ostacolo,impedimento ec. che opporre alla fortuna si possa l'umano consiglio.

Il franc. Défendre è dello stesso valo

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re; ma italiani e francesi attingemmo ad una fonte la medesima voce. I latini ebbero Defendere con la stessa nozione. Lib. di Cato: inopem defendere vitam, e l'antico volgarizzatore: difendere (aiutare, sostentare) la povera vita. Dante: Aiutami da lei, famoso saggio, cioè difendimi. Il Daumio: Defendere est arcere, prohibere, cioè tener lontano. Holis. Virg. Ecl. VII, 6: rat. I, Od. 17: Defendit aestalem capel

Huc mihi,dum teneras defendo a frigore myrtos. sendo noto che i mirti si guardano e difendono dal freddo, covrendoli di paglia ec. Ed ivi v. 47: Solstitium pecori defendite, per impedite che la greggia non venga offesa dall' estuante calore: il che è tutt'uno con: defendite a solslitio pecus. Gl'italiani han l'una e l'altra forma. In sentenza dunque:

Il viso abbruciato non difese
La conoscenza sua al mio intelletto

vuol dire: il viso abbruciato non potè
fare ch' io nol riconoscessi.
Gerus, liber. XII:

Il Tasso

Ed ecco in sogno di stellata veste Cinta gli appar la sospirata amica: Bella assai più; ma lo splendor celeste L'orna, e non toglie la notizia antica. 29. CHINANDO LA MIA e CHINANDO LA MANO son due varianti che torturano i cervelli degli eruditi.

La prima delle due lezioni, ch'è del Bargigi, del codice Bartoliniano, del Caetani, del Dante Antinori, e seguita dal De Romanis, dal Costa, dal Cesari; piacque più dell'altra al Monti, il quale così scrive al Viviani. «Il chinar della faccia mi fa pittura sì bella, sì piena di benevolenza, sì naturale, che chi non è cieco ed insensato dee vederne e sentirne la delicatezza. Aggiungo in oltre che il chinar della mano è atto superbo e pro

Risposi: siete voi qui, ser Brunetto? E quegli: o figliuol mio, non ti dispiaccia Se Brunetto Latini un poco teco Ritorna indietro, e lascia andar la traccia. Io dissi lui: quanto posso ven preco;

E se volete che con voi m' asseggia, Faròl, se piace a costui, chè vo seco. O figliuol, disse, qual di questa greggia S'arresta punto, giace poi cent' anni Senza arrostarsi quando 'l fuoco il feggia.

prio solamente del maggiore verso il minore, e quindi disconvenevole nella persona di Dante verso Brunetto, cioè del minore come discepolo, verso il maggiore come maestro: ove al contrario il chinar della faccia è atto d'amore e di tenera riverenza. Che se voleste un qualche aiuto di più alla nuova lezione, guardate nel Purgatorio c. 2, v. 75 e troverete: Ascoltando chinai in giù la faccia. L'atto è simile e fa ugualmente pittura».

Giambattista Niccolini col Borghi e col Capponi e col Becchi, all' autorità e ragioni del Monti aggiungono i versi 43, 44, 45 e fanno lo stesso Poeta mallevadore della detta lezione. Tuttochè

benemeriti editori moderni l'abbiano accettata e difesa, il Tommaseo senza curare d' altro la ritenne nella nobile edizione recente delle sue illustrazioni, come avean già fatto il Lombardi,il Venturi, il Volpi e molti altri, e come leggesi nel codice Cassinese, e nel Codice Filippino che data dal sec. XIV. Noi non entriamo giudici in tal controversia, ma pur crediamo che l'inchino della mano alla faccia di Ser Brunetto può significar bene un gesto momentaneo e significativo di riverenza, non altramente che l'inchino del capo. Si dice codesto inchino fatto alla faccia, per rilevare la posizione de' luoghi dove fu l' incontro di Brunetto con Dante; stando questi più alto su quello. Il Biagioli trova che ridire contro cotesto chinar della faccia che il Poeta avea già fatto (v. 26).

33. TRACCIA, schiera ec. V. Inf.XII, 55.

34. PRECO, prego. V. Inf. XXVIII, 90 not.

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35. SE VOLETE..... M'ASSEGGIA cioè ch'io mi metta a sedere. Ciò dice Dante volendo gentilezza che il suo maestro ser Brunetto non dovesse tornarsi indietro per lui, che andava in linea opposta sul margine. Ma nè Dante potea intermettere il suo cammino, nè la Ragione glielo avrebbe permesso. Il Latini che alla sua volta non poteva ristarsi (vv. 37, 38, 39), saviamente gli dice: va oltre: io ti verrò ai panni (v. 40).

37. DI QUESTA GREGGIA. V. Inf. XIV, 19. Vedi anche ciò che abbiamo notato al canto III, 120 sulla voce schiera, che qui nello stesso sentimento è adoperata (v. 16).

38. S'ARRESTA PUNTO, per un istante, un momento, o un minuto che non vada (Inf. II, not. pag. 26-27).

39. ARROSTARSI è la comune lezione. Varianti sono rostarsi, che è in due dei codici del 1472 ristampati per cura di Lord Wernon, e in quello della biblioteca reale di Berlino.

Il cassin. ha ristarsi, come l'ediz. di Jesi 1472. I Cod. Caetani del Duca di Sermoneta in Roma, restarsi. L'ediz. Rovilliana 1551, e quella di Mantova 1471 hanno arrestarsi. Quella del Burgofranco, Ven. 1529, della Minerva, Pad. 1822, e quasi tutte le altre, leggono arrostarsi. Lez. var. del Witte, rillarsi, e così il codic. Bartoliniano. Il Zacheroni è per questa lettera, e secondo essa spiega: Chiunque s'arresta punto, giace poi cent' anni senza più levarsi dritto quando il fuoco lo ferisce.- ROSTARSI O ARROSTARSI vagliono sventolarsi o farsi vento colla rosta, (ch'è ramicello con

Però va oltre: i'ti verrò a' panni,

E poi rigiugnerò la mia masnada,
Che va piangendo i suoi eterni danni.
Io non osava scender della strada

Per andar par di lui; ma 'l capo chino
Tenea, com' uom che riverente vada.
Ei cominciò: qual fortuna o destino
Anzi l'ultimo di quaggiù ti mena?
E chi è questi che mostra 'l cammino?
Lassù di sopra in la vita serena,

Rispos' io lui, mi smarri' in una valle,
Avanti che l' età mia fosse piena.
Pur ier mattina le volsi le spalle:
Questi m' apparve, tornand' io in quella,
E riducemi a ca per questo calle.

fronde (Inf. XIII, 117)) e, per similitu-
dine, con ventaglio qualunque. Rosta è
propriamente istromento in varie fogge
disegnato, e di varie materie composto,
per uso di farsi vento, o ripararsi il
volto dalla vampa del fuoco quando si
sta il verno al camino. Venturi.

FEGGIA, ferisce. Feggere e feggiare dissero gli antichi. Da quest' ultimo è feggia 3a sing. del pres. dimostr. Tav. rotonda: Vengono alla baltaglia molto tostamente, e li due cavalieri erranti mostrano loro forza, ed ora feggiono alli due cavalieri di Cornovaglia... E allora si s'incomincia la battaglia e li due cavalieri erranti sì feggiono alli X

cavalieri ec. Come da riedere venne

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Or Ella morì nel 1290; ed egli si ritrovò (cioè si ravvide d'essere) nella selva oscura, dopo l'equinozio di primavera del 1300: in età, dunque, di anni 25 (a) abbandonava Dante la verace via, e andava smarrito per la selva ben due lustri. Dippiù i suoi casti amori, virtuosi o platonici che dir si vogliano, durarono 16 anni; poichè il divino Poeta novenne ancora innamorò di Beatrice.

ciò

che que' due (Inf. I, 61 seg.).
53. Questo verso dice più ricisamente

Mentre ch'io ruinava in basso loco,
Dinanzi agli occhi mi si fu offerto...

dere per ragion del metro. Vang. S. 54. CA è tronco da casa; nè è da crereggere, tornare; così da federe, fegge- latini do per domum; i Greci de per Matt. Edifica la ca sua sopra la pietra. I re, ferire. Da cado, vedo, siedo ec. anJua; e nel dialetto veneziano ca Quiche oggi è in onore caggio, veggio, segrino, ca Pisano in luogo di casa Quirigio ec. Con la stessa facilità la pronunzia muta in gg il d di meridies, radium ec. e ne fa meriggia o merigge, raggio ec. 43. DELLA STRADA, di su 'l margine SCENDER nel sabbione.

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no, casa Pisano; notandosi per ca, casato, così come casa. Il Boccaccio, Teseid. VII, 32. In questa vide la ca dello iddio Armipotente ec. Il Pucci, Centiloq. C. LVI, 77:

La ca dunque non era così nuda e il Salvini, Iliad. XIV.:

Vener se n'andò a ca, di Giove figlia. Le voci che più e meglio venisser logore e tronche e, diciam così, mutilate,

(a) L'età piena (In mensuram aetatis plenitudinis Christi S. Paolo) si crede quella che tocca il 350 anno, giusta ciò che lo stesso Dante ci apprende nel Convito.

Ed egli a me: se tu segui tua stella,
Non puoi fallire a glorioso porto,
Se ben m' accorsi nella vita bella:
E s'io non fossi si per tempo morto,
Veggendo 'l cielo a te così benigno,
Dato t'avrei all' opera conforto.
Ma quello ingrato popolo maligno,
Che discese di Fiesole ab antico,

E tiene ancor del monte e del macigno,

Ti si farà per tuo ben far nimico:
Ed è ragion; chè tra gli lazzi sorbi
Si disconvien fruttare il dolce fico.

furon sempre quelle che, essendo segni di cose necessarie nominarsi spesso, patirono di questi accidenti.

I verbi che diconsi irregolari nelle grammatiche, i pronomi che hanno varietà d'inflessioni ec. danno indizio sicuro dell' uso continuo che ne fu fatto. Vanno tra il novero di cotali voci i nomi ca casa, mà madre, pà padre, mon monte, por porto, co capo, cen cento, fra frate, mo modo, bo buono e alquanti altri. Anzi la sola lettera C iniziale di Cento è stata usata in significato di questo numero nel Dittamondo, ed X pronunziato per croce in senso di dieci:

Tre C con otto croci eran passati
Al tempo ch'io ti dico e che tu guati.
V.Inf. XX, 76.

eran cioè passati anni 380.

Dice poi che Virgilio lo riduce a ca per questo calle: significando chè la Ragione riconduce l'Umanità dagli orrori della selva alla città, dal disordine all'ordine, dalla barbarie alla civiltà. Questo è chiaro, chi ben miri il principio, il progresso e il fine del viaggio Dantesco: il cui poema canta le leggi della Monarchia di Dio, la rettitudine, e la spirituale rigenerazione degli ascetici, i quali ben prima di Dante imprendevano in ispirito pe' tre regni dell'altra vita la penitenziale peregrinazione di sette giorni.

56. FALLIRE A... PORTO. Fra Guittone, Lelt. V: Che troppo fora periglioso dannaggio e perla da pianger sempremai senza alcun conforto, se per difetto vostro voi fallisle a perfetta e onorala fine.

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Lucano volgarizz.: So bene ch'io sarò oggi sanza grazia di tutti i popoli, o io sarò sventurato; che all'uno o all'altro non posso fallire (a).

Buonagg. Urbiciani da Lucca, contemporaneo di Dante:

Ragion è, chi venir vuole a buon porto
Della sua disianza,
Che in amoranza

Pier delle Vigne:

- metta lo suo cuore.

Ma contro a tempo spanno

Che al dritto porto non posso temere.
E Lapo degli Uberti:

Io ti vo' far sentito (scorto)

Si che non falli a sua dolce accoglienza. 65-66. Gli arbori di natura diversi pare non vengano bene ed attecchiscano sul medesimo suolo. Qui si dà gli epiteti di lazzo, ostico, aspro al sorbo, e di dolce al fico dalla qualità delle frutte che ciaschedun porta. Figuratamente sorbo è il Fiesolano, fico il romano: l'uno e l'altro albero fu trapiantato in Fiorenza; ma di quello venne una razza di villanni, di cotennoni (v.96) e di bestie umane, che non ismentiscono la loro origine; tuttochè poi, oscuramente nati:

Cercan la luce de' sepolcri stracchi,
E nelle spente ceneri patrizie
Si voglion rimpastare e farsi belli;
Ritoccan nomi e tempi, usurpan armi,
E' lor buoi barattan co' lioni,
Co' gigli i cardi, e con gli stocchi i pali.
Buon. Fier. 2, 4, 20.

Dante mostra un po' di boria aristocratica. Qui si fa da Ser Brunetto dir nato del glorioso seme romano (v. 76 cc.)

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Vecchia fama nel mondo li chiama orbi:

Gente avara, invidiosa e superba: Da' lor costumi fa che tu ti forbi. La tua fortuna tanto onor ti serba,

Che l' una parte e l'altra avranno fame Di te; ma lungi fia dal becco l'erba. Faccian le bestie Fiesolane strame

Di lor medesme, e non tocchin la pianta, S'alcuna surge ancor nel lor letame, In cui riviva la sementa santa Di quei Roman, che vi rimaser quando Fu fatto 'l nidio di malizia tanta. Se fosse pieno tutto 'l mio dimando, Risposi io lui, voi non sareste ancora Dell' umana natura posto in bando:

Altrove di sua genealogia fa egli stesso inarcar le ciglia a Messer Farinata (Inf. X, 42-45): ma poi, vedi progresso morale!, quando va molto innanzi nel Paradiso (X, 1-9) e più rischiarasi di celeste lume la sua ragione, abbenchè pur I si glorii di suoi non bassi natali; esce in quella nobile esclamazione:

O poca nostra nobiltà di sangue Ben sei tu manto che tosto raccorce, Si che se non s'appon di die in die, Lo tempo va dintorno con le force. L'allegoria degli alberi è a nostro credere imitata da quelle parole della Bibbia: Non potest arbor mala bonos fructus facere, nec arbor bona malos fructus facere. Quindi è la vera sentenza, che gli alberi si giudicano pei loro frutti: e che vera che dir si voglia nobiltà nasce di valore, e in questo vive e perdura.

69. TI FORBI, ti forba o forbisca. La finale i presero in antico non solo i verbi della prima congiugazione; me eziandio, per uniformità di cadenza, quelli della seconda e terza. Quindi Vaditene (Bocc. G. IX, nov. III). Nella vita di S. Paol. prim. erem.: Picchio acciocchè mi apri: ed infiniti di siffatti esempi presso i nostri scrittori. Non si fa tanto mal viso anche oggi alle voci facci, dolghi, conoschi, abbi, veggi ec. Il Nostro adoperò similmente Inf. XII, 129 credi;

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76. SEMENTA ec. V. Inf. III, 104-105, nota.

79-81. I comentatori prendono il primo di questi tre versi come condizione del sareste posto; ma guardando per sottile non v' ha ragione di essere tale: imperocchè potea Dante co' suoi preghi, voti e domande, che dicono, impedire che Ser Brunetto morisse quando egli morì? Il Bianchi fa bella opportuna osservazione a quelle parole:

Dell'umana natura posto in bando, re pensato e poi veduto raffermare daldicendo ciò che io mi compiaccio d'avel'autorità di sì distinto espositore: Mi par notabile, così egli, questo modo di significare la morte, parlandosi a persona della qualità di Brunetto. È fin'oro questa nota; ma perdonimi il valentuomo e coloro che il rimanente della terzina intendono come lui, se io dico che qui essi han preso un granchio.

Se si fosse adempito ogni mio volo ; se fossi stato esaudito in ogni mia preghiera, voi sareste tuttora vivo. Questa dichiarazione d'avergli pregato più lunga vila, sèguita a quel che gli ha detto sopra Ser Brunetto al verso 58:

E se non fossi si per tempo morto ec.

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