CANTO PRIMO. Selva in cui si ritrova Dante. - Apparizion di Virgilio. Nel mezzo del cammin di nostra vita 1. A quanto si è scritto sopra il senso figurato della vita, della selva e della via, di cui qui tocca il Poeta; ci piace aggiungere il seguente testo di Ezechiele 18: onde si vegga che mai nel senso allegorico-teologico significassero queste voci nelle sante scritture. L'uomo, dice il Profeta: In justitia sua quam operatus est vivet... si autem averterit se justus a justitia sua et fecerit iniquitatem... numquid vivet?... Numquid via mea non est aequa, et non magis viae vestrae pravae sunt ? Cum enim averterit se justus a justitia sua, et fecerit iniquitatem, morietur in eis. Fra le tante peregrine osservazioni fatte da' dotti illustratori di questo luogo; perchè non si dia a Ser Brunetto Latini la gloria d'avere con la finzione della sua Selva prestato a Dante la idea della sua selva oscura; produciamo il seguente passo del Profeta Geremia (Cap. 31): Statue tibi speculam, pone tibi amaritudines, dirige cor tuum in viam rectam, in qua ambulasti: revertere... revertere ad civitates tuas istas. Usquequo deliciis dissolveris...? Benedical libi Dominus pulcritudo justitiae mons sanctus. Il Torricelli contro altri notò che Nel mezzo ec. non è punto in dimidio dierum meorum ec. Questo luogo del nostro P. ritrae però tanto dal concetto e locuzione del seguente passo del Latini, che non tanto a torto l' Ozanám s'avvisò che da esso riconoscesse Dante l'ispirazione del Sacrato Poema. Diremo che almeno in parte v' abbia potuto influire; chè nel tutto ci voleva ben altro. Ecco i versi di E non fui guari andato Che piccola favilla a sì grande fiamma! 2. La similitudine della Selva, in cui per diverse vie smarrisconsi i viandanti, sembrò acconcia anche ad Orazio a significare gli errori e le svariate pazzie degli uomini, cui malnata stoltezza conduce a operare senza la luce del vero. Lib. II, Sat. III, 48 : Velut silvis, ubi passim Palantes error certo de tramite pellit ec. Dove quel certo de tramite è la diritta via di Dante; avvegnacchè poi egli le abbia dato un senso allegorico e sacro, qual vide pel primo l'illustre Conte Fm. Torricelli. Nè cosa nuova è, che il nostro poeta accresca di alte bellezze quelle stesse locuzioni che prende dagli altri. L' Ariosto imitando Orazio (Orl. Fur., XXIV, 2): Vari gli effetti son; ma la pazzia il mondo È come una gran selva, ove la via Cotesto smarrimento morale od erro re, onde l'uomo impulso dalle passioni corre dietro al falso bene, è accennato medesimamente da Beatrice (Purg. XXX, 130): Ahi quanto a dir qual era è cosa dura E volse i passi suoi (Dante) per via non vera 4. COSA DURA a dir. - Dice un eccellente comentatore: dura, increscevole cosa a dire, a narrare qual' era ec. Pare, a dir vero, fosse e dovess'esser più che increscevole il dire qual' era una Selva che in solo pensarvi rinnovava la paura al Poeta. Dura qui ne pare che abbia sentimento non pur di crudele, ma di ardua, difficile, intrigata ecс., е, соme porta la proprietà del vocabolo, mal prestatasi a esser descritta. Così quando al Poeta verrà poco appresso veduta la scritta morta sulla porta infernale, l'udirem dire a Virgilio : Maestro, il senso lor m'è duro; Tutte le cose, fuor che i Dimon duri. riferibile all' inutile sforzo, che fece il Oh sovra tutte mal creata plebe Che stai nel loco, onde parlare è duro. Dante molte fiate adopra forte per difficile a intendere e spiegare, siccome qui fa del vocabolo dura; che fu già usato nell' identica accettazione da Guido Cavalcanti: Alla dura quistione e paurosa, Che mi fe questa gentil forosetta, 5 dove dura quistione non è dubbio che animus meminisse horret. 5. Il Poeta pare che dica Selva selvaggia quella ond' egli usciva, a fine di farla distinguere dalle selve migliori, perchè fruttifere. Il Barrio, De ant. Calabr. lib. II, cap. VI; Sunt et silvae glandiferae, et silvestres. Del resto non è difficile trovare usati da' nostri vecchi onore onorato, piacer piacente, dolce dolcore, amoroso amore ec., modi che hanno forza di superlativi, come: Sommo piacere, somто опоre, sommo amore, somma dolcezza ес. Così il Rex regum della Bibbia e il dominus dominantium; in Omero il Re de' regi Atride per potentissimo re; Salomone Vanitas vanilatum - inanissima vanità ec. ec. Secondo questo ch'è detto, potrebbe per Selva selvaggia avere inteso dir Dante una selva sommamente inospitale, orrorosa ec. (V.Nannucci, Teor. Verb. pag. 353 (5)). Gli antichi piacevansi di cotesti derivati. Ad esempi: Fra Guittone: Che troppo è segno d' amoroso amore E sol per questo indovinar vorrei Che vuol ch' i' laudi lo piacer piacente. Così degli altri. Ma il verso dantesco non è dello stesso conio; ove si consideri quel che per noi fu notato. Del resto nel poema in nona rima attribuito a Dino Compagni, ma ch'è di tempo anteriore, e ehe di molti pregi è ricco, si legge : Che nel pensier rinnova la paura! Ma poi ch'io fui al piè d'un colle giunto, Che m'avea di paura il cor compunto; Sed e' temero in si forte fortezza Dove credean giammai trovar salvezza? Virg. En. II, 53: Insonuere cavae, gemitumque dedere cavernae, dove l'immagine acquista più evidenza con l'aggiunto di cavae a cavernae. Forte fra gli altri significati vale anche doloroso, gravoso, difficile, strano, a maro. Inghilfredi Siciliano (1840): Anzi mi si rinfresca Pena e dogliosa morte molto legame col verso appresso: Tanto è amara che poco è più morte, dove amara è lo stesso che forte detto prima. Tuttora vive nel dialetto di quasi tutte le provincie italiane la voce forte per amaro, e suole darsi a frutti acerbi ea liquidi arzenti o cose che arrecano dolore e disgusto. Non curò dunque il P. dar questo epiteto di forte alla selva, per significare che fosse densa, fitta o inestricabile; che questa era qualità che non toccava l'animo di lui. Tommaso di Sasso (1250): E moro considerando Che sia l'amore, che tanto m'allaccia. Questo rimatore disse: vicin di morte; Dante: poco è più morte. Dove l'uno chiama crudele e forte un mal senza nome, cioè più che crudele; può ben l'altro chiamar forte la Selva, per tutt'altra ragione che della densità. Dino Frescobaldi, (colui che mandò al Marchese Mo 10 15 rello Malespini i primi sette canti della Divina Commedia composti in verso la tino, e salvati dalla bestiale rapacità del- Un sol pensier, che mi vien nella mente Che 'l cor non s'assicura quant' ei ragiona. Ch'io cangio vista, ed ardir m'abbandona. Ecco la farina, onde l'impasto del verso di Dante. Ciò non fa che Dino fosse dappiù di Dante; tutto famoso dicitore in rime ai tempi dell'Alighieri. 6. Orazio, Lib. III, Od. 19: 7. L'Ecclesiaste: 0 mors, quam amara est memoria tua ec. Di qui la Selva dogliosa e amara; la frase nel pensier rinnova, ch'è officio della memoria, facoltà di riproduzione; e quel temperamento dell'espressione per le parole poco è più trattandosi della selva e non della morte a cui proprio la Scrittura attribuisce doglia e amarezza. Tali cose notiamo indipendentemente dal senso allegorico, che giace sotto la locuzione dantesca. 10. Lo sa ben ridire Beatrice; Purg. XXX, 115 a 145. Il qual luogo è da leggersi diligentemente; anche per l'intelligenza del secondo canto di questa Cantica e, direi, di tutto il Poema. 11. Davide, Salm. III. Ego dormivi et soporatus sum: et exurrexi quia Dominus suscepit me. Guardai in alto, e vidi le sue spalle E come quei, che con lena affannata Cosi l'animo mio, che ancor fuggiva, Poi ch' ebbi riposato 'l corpo lasso, 17. Vestir de' raggi disse Dante, come Virgilio Vestir di luce i campi. En. VI, 640: Largior hic campos aether et lumine vestit. Praeterea, si nona diem mortalibus almum Si noti qui come van fatte le perifrasi. Quando il Petrarca accenna perifrasticamente il sole, in occasione di certi tartufi, di cui gli fu fatto presente, lo chiama: Il pianeta che distingue l'ore, perchè gli è necessario considerar questo astro come sorgente di vita, animator delle piante, regolator delle stagioni, e produttore de' frutti che vengono della terra. Qui per Dante sarebbe stata aliena una tale perifrasi. Egli avendo ancor fitta nel pensiero la paura della selva oscura, ove ebbe smarrita la via diritta, guarda il sole stesso per le proprietà più utili a lui, che son quelle di spander la luce: Che mena dritto altrui per ogni calle. Virgilio chiama il sole e la luna (Georg. I, 5) occhi del mondo: Vos, o clarissima mundi Lumina, labentem coelo quae ducitis annum, perchè non solamente sono cagione della fecondità della terra, ma ancora, misurando i tempi e le stagioni (tempora quae messor, quae curvus aralor haberet) fanno scorti, ed apron gli occhi agli agricoltori, perchè non mandin vane le loro fatiche. Generalmente ne' grandi scrittori si trova con molto discernimento usata questa, come ogni altra figura, per qualche utile fine, ed a tempo ed a luogo; e lo studioso non dee scordarsene. 20 25 Per ciò che s' attiene al senso allegorico, non è a dimenticare che Dio è sole di giustizia, e grazia è la sua luce; che quel guardar in alto ritrae molto dal Levavi oculos meos ad montes, unde veniet auxilium mihi che ravvicinato alle parole d' Isaia cap. 9: Populus qui ambulabat in tenebris vidil luceт таgnam: habitantibus in regione umbrae mortis lux orta est eis, rende completa la sintesi del pensiero dantesco. Nè si dica, in quest'ultimo luogo parlarsi di popolo ec.; perciocchè Dante rappresenta in questo viaggio non pure un popolo, ma tutta quanta l'umanità. Non s'intenderà sempre il Poeta teologo, chi abborra da quello appunto che fu la più cara delizia all'intelletto di lui, e gran parte del sublime che sfolgoreggia nella Divina Commedia. Veggasi il Salmo LXVI, 2, 3. 28. Secondo un'altra lettera (giusta il Dionisi ed il Cod. Vatic. 3199): Poi ch' ei posato un poco 'l corpo lasso. Ei per Ebbi è ovvio nelle scritture degli antichi nostri classici. È da Ere (per Avere), da cui le inflessioni del perfetto: 1. ei, 2. esti, 3. ee, o è - 1. етто, 2. este, 3. erono, eno o enno anche hei. Dante da Maiano: Che mai in ciò non ei consideranza. Però m' ei dipartuto Per ei Jacopo Pugliesi : In mia balia. |