Tra tutto l'altro ch' io t'ho dimostrato, Notabile, com'è 'l presente rio, Che sopra sè tutte fiammelle ammorta. Perchè il pregai, che mi largisse 'l pasto, In mezzo 'l mar siede un paese guasto, D'acqua e di frondi, che si chiama Ida; Del suo figliuolo; e, per celarlo meglio, stesso Bargigi non attendendo al valore Le mura, che soleano esser badia 83 90 95 100 105 sto metaforicamente; la frase dinoterà piuttosto dir tutto per minulo, non essere avaro di parole; che dir chiaro: imperciocchè l'egregio illustratore c'in Fatte sono, cioè diventate altro da segna che si può essere oscuro nelle molte parole,come nelle poche.-V.Inf. quel che si erano un tempo. VII, 72 not. << Anco nel Bulicame di Viterbo le sponde erano impietrite: e così fa l' Elsa in Toscana (Purg. XXXIII) in Tivoli l'Anicne». Tommaseo. 87. A nessuno è neGATO... S'intende quella dalla scritta morta. Con questa espressione s'allude alla resistenza che trovarono i poeti alla porta di Dite. 85-90. In sentenza: questo rivo che vedi è la più notabil cosa, tra quante ne hai scorte dal primo entrare in Inferno infino qui. Così il Maestro fa nascere nel suo alunno il desiderio di sapere nuove cose; non parendo a questo altro vedere che un picciol fiumicello. 92. MI LARGISSE IL PASTO. Il Tommaseo chiosa dicesse chiaro. Ma largire è esser largo nel dare; e pigliando il pa 96. Di Saturno, ch' esulò dal Cielo e recò tra gli uomini l' età dell' oro, parla fra gli altri Virgilio, (En. VIII, 319 e segg.) da cui prendiamo i due versi: Aurea quae perhibent, illo sub rege fuerunt Saecula: sic placida populos in pace regebat. che paiono imitati in questi versi dell'Alighieri. Purg. XXIII, 148: Lo secol primo quant'oro fu bello; Fe savorose con fame le ghiande, E nettare con sete ogni ruscello. Dentro non sopra, acciocchè il fatto non 103-120.DENTRO DAL MONTE Ida (v.98). anche perchè le lagrime che gocciano contraddicesse all'invenzione poetica; ed dal Veglio (v. 113), se stesse egli fuori del monte correrebbero al mare, e non si profonderebbero per le balze infernali. STA DRITTO UN GRAN VEGLIO. Daniele II, La sua testa è di fin' oro formata, E puro argento son le braccia e 'l petto, Da indi in giuso è tutto ferro eletto, Salvo che 'l destro piede è terra cotta, 110 E sta in su quel, più che in sull' altro, eretto. D'una fessura che lagrime goccia, Fanno Cocito; e qual sia quello stagno, Si deriva così dal nostro mondo, 31, statua una grandis: statua illa magna et sublimis stabat ec. Ma la statua sognata da Nabucco non si dice che avesse le sembianze d'un vecchio. Dante che di quella visione toglie tutt' i colori a far viva questa sublime sua immagine, vi aggiunge il carattere dell'età per significare l'istituzione della monarchia da Saturno re di Creta giù venendo ai tempi romani. La statua che volge le spalle a Damiata e guarda Roma, o è il tempo che corre cogli astri dall'oriente all'occidente, o la civiltà che cammina col sole, ovvero l'antico culto dell' idolatria converso nel cristianesimo. Ma E guarda Roma si come suo speglio perche Roma ebbe pel corso de' tempi le diverse età dalla statua simboleggiate, e ne riflette le sembianze. Ecco il testo del Profeta (Daniel. II, 31 seg.): Huius statuae caput ex auro optimo erat, pectus autem et brachia de argento, porro venter et foemora ex aere, tibiae autem ferreae, pedum quaedam pars erat ferrea, quaedam autem fictilis. Dante vola sul profeta,so 115 120 125 pra Ovidio e tanti altri che guardano per qualità di metalli il progressivo deterioramento degli umani costumi. Egli rende quasi nuova e maravigliosa l' idea antica, e pare che ai non buoni reggitori de' popoli rechi la vera cagione delle umane miserie, de' mali e delle lagrime che gocciando dalle fessure di quella statua, vanno ad irrigare l'Inferno, e a raccogliersi nello stagno profondissimo di Cocito (a). 116. FLEGETONTA per Flegetonte co113 not. e in questo canto al v. 77 not. me orizzonta per orizzonte. V. Inf. XI, 117. DOCCIA canale, condotto: è dal lat. barb. dogae; canales, quibus (spiega il Laurenti) aqua ducitur. Lomb. 123. PUR, solamente. (a) Meritano esser letti a questo luogo il Lombardi, il Bianchi, il Bargigi ec. ma soprattutto Paolo Costa nell' Appendice alle note del suo Dante. Non se' ancor per tutto 'l cerchio volto; Flegetonte e Letè, chè dell' un taci, Dal bosco; fa che di retro a me vegne: CANTO XV. 130 135 140 Ora cen porta l' un de' duri margini, 136. LETE VEDRAI, MÁ FUOR DI QUESTA FOSSA. Dante pone il fiume Lete nel Purgatorio (Purg. XXVIII, 121-132). Con quanta sapienza, vedi ivi v. 128 nota. 137-138. Quello che il Poeta qui dice, troverai fatto nel Purgatorio da lui; che, forte pentito delle sue colpe, e abborrito quanto delle umane cose l' avea allettato e sviato; prima tramortisce del dolore, poi riviene, e Beatrice lo trae nel fiume sino alla gola; ve lo attuffa, nel toglie e l'offre alla danza delle virtù. (Purgat. XXXI, 85-108). COLPA PENTUTA, quanto alla dizione non ha più difficoltà che se dicasi colpevole pentilo. Del resto gli antichi fecero da poenitere anche penitenziare att., e bene il Biagioli avverte che pentire è poena tenere; sicchè colpa pentuta è colpa tenuta vinta oppressa ec. dalla pena o dal dolore d' averla commessa. Il Tommaseo adduce qualche esempio di verbi detti neutri,i cui participi s'adoperano allo stesso modo. 2-3. Abbiamo preferita alla comune lezione l'acqua e gli argini l'altra l'acqua gli argini, ch'è del Bargigi. Il codice Cassinese ha lacqua largini. Senza la particola congiuntiva leggono le quattro prime edizioni del 1472 ristampate per cura di G. G. Warren Lord Wernon Londr. 1858; e le variorum del Witte. Le due edizioni del Burgofranco Ven. 1529 e del Rovellio, Lione 1551 hanno: Sicchè dal fuoco salva l'acqua e i margini, Cattiva lezione, dice il Zacheroni, che oscura il concetto lo guasta. E noi non l'abbiam tenuta, tuttochè seguitata da molti illustri comentatori, come tra i moderni dal Bianchi e dal Tommaseo. Ciò facemmo per autorità de' succennati codici, e per le ragioni che ne par di vedere decisive in favore della lettera da noi prescelta. In fatti vanamente si direbbe che il fummo del ruscel salva l'acqua e i margini dal fuoco. 1. Perchè l'acqua ha per sè stessa più forza a spegnere il fuoco, che non il suo vapore Quale i Fiamminghi tra Guzzante e Bruggia, Per difender lor ville e lor castelli, (fummo). 2. A che dire che l'acqua veniva salvata dal fuoco, se i due Poeti andavan su per uno de' margini? 3. Le acque del ruscello erano già per sè stesse rosse, affuocate e sulfuree, perchè derivate da Flegetonte: nè quel fumo altro era, che vapore levatosi dalla fervenza delle onde infernali: si direbbe dunque che il fumo del rigagno di fuoco salvasse le sue acque dal fuoco ? Secondo l'altra lezione, la sentenza è il fumo del ruscello è si denso che aduggia, fa ombra; e così l'acqua conversa in vapore spegne le falde cadenti e salva dal fuoco gli argini. Non vediamo per quali altre ragioni potesse il Zacheroni dire che la lezione volgare sia cattiva, ed oscuri e guasti il concetto del Poeta. Pare che i due ultimi versi del canto precedente difendano la lezione da noi prescelta. 6. FUGGIA, Fuggia usò Dante per Fugga, ed ecco come: da Fujere, Vejere, Sejere, Dejere ec. che avevano Fuja, Veja, Seja, Deja ec. vennero, pel mutamento del j in due gg le voci Fuggia, Veggia, Seggia, Deggia ec. delle quali alcune son tuttora tenute ed approvate per buone, quali Veggia, Deggia ec. Le altre hannosi a reputare dismesse e viete, non mica erronee, ovvero usate per epentesi e per forza della rima, come alcuno pretende. Un comentatore dice: Fuggia da Fuggere, ma da Fuggere si viene Fugga, come da Leggere, Legga, regolarmente. Non sarà dunque cosa vana avere arrecata la vera ragione di tali inflessioni che furono consuete agli anti chi, a dimostrar sempreppiù che il nostro poeta padroneggiò la lingua levandola alla sublimità de' suoi concetti, non già stiracchiandone e snaturandone le forme, o travisandola licenziosamente da bizzarro despota. Più ragionevole è la chiosa del Lombardi che trae direttamente fuggia dal lat. fugiat. Così Virg. En. XI, 24 segg.: Qualis ubi alterno procurrens gurgite pontus Nunc ruit ad terras, scopulosque superiacit (undam Spumeus, extremamque sinu perfundit arenam: Nunc rapidus retro, atque aestu revoluta reSaxa fugit, littusque vado labente reliquit. (sorbens d'onde Dante tolse si fuggia in sentimento di se ne torni indietro, o si ritragga. 10. A TALE IMAGINE ec. Dice in sentenza, che gli ARGINI (v. 3) del ruscello (v. 2) eran fatti a guisa de' ripari o dighe che i Fiamminghi oppongono ai flutti del mare, in quella riviera tra GuzZANTE, piccola villa, e BRUGGE o Bruges nobile città di Fiandra: ovvero come gli argini che fanno i Padovani per difendere il loro territorio e le loro ville ec. dai guasti, che cagionerebbe lo straripamento della Brenta ingrossata in primavera dalle strutte nevi di Chiarentana (a). 14-15. NON AVREI VISTO DOV' ERA, la selva: -PERCHÈ, quantunque, avvegnac (a) CHIARENTANA dicono (forse dal continuo biancicar delle nevi) quella parte delle Alpi, origine la Brenta, fiume che passa per Padova,e che comprende i monti del Trentino; onde há va a metter foce nell'Adriatico. Quando incontrammo d' anime una schiera, chè, ancorchè. Dice: eravamo sì lungi La selva, che fa ghirlanda al sabbione, si rappresenti per ABC; il ruscello sia BD; il punto su cui si trovi il Poeta sia P: se volto egli nella direzione di B non gli apparisce la selva, segno è che troppo grande è la distanza dinotata dal la linea PB: or quanto maggiori non saranno quelle misurate dalle PC, PC', PC", ec.? L'Alighieri dunque per queste sue parole ha lasciato a noi calcolare l'ampiezza del sabbione, ch'è lo spazio tra i due circoli concentrici disegnati. 16. SCHIERA (v. Inf. III, 120 not.). Questa stessa è detta famiglia (v. 22) che vale anche brigata, nome collettivo de' birri o serventi della corte, e masnada (v. 41); comecchè questo vocabolo significasse un tempo compagnia, anche in senso buono. 18 seg. Alla debolissima luce che ne manda la Luna, qualora nella neomenia o novilunio inargenta appena un lembo del suo disco, che quasi puoi dire penombra quel lume, non bene gli ogget ti si veggono; vi allude anche Virgilio Errabat silva in magna: quam troïus heros DA SERA non può intendersi per di coda aguzza Che passa i monti, e rompe mura ed armi. Aguzza le ciglia, fa acutissimo l'angolo o la rima palpebrale, chi guarda sbirciando; a fine di raccogliere i raggi luminosi ed accrescere l'effetto della potenza visiva. Vuol dire che siccome il vec chio sartore ficca gli occhi nel forellino (cruna, quasi corona) dell'ago; così egli dice (v. 26) aver, ficcato gli occhi per il cotto aspetto del Latini. Questi modi famigliari, le similitudini del sarto, del pallio, le locuzioni becco, strame, letame ec. che s'incontrano in questo canto dimostrano, dice il Tommaseo, che della dignità poetica Dante aveva tutt'altro concello che noi. Ma qual che si fosse pe' moderni il concetto della dignità poetica; Dante tutto disse se |