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Surge in vermena, ed in pianta silvestra:
L'Arpie, pascendo poi delle sue foglie,
Fanno dolore, ed al dolor finestra.
Come l'altre, verrem per nostre spoglie,
Ma non però ch' alcuna sen rivesta;

Chè non è giusto aver ciò ch' uom si toglie.
Qui le strascineremo, e per la mesta
Selva saranno i nostri corpi appesi,
Ciascuno al prun dell' ombra sua molesta.
Noi eravamo ancora al tronco attesi,
Credendo ch' altro ne volesse dire;
Quando noi fummo d' un rumor sorpresi,
Similemente a colui, che venire

Sente 'l porco e la caccia alla sua posta,
Ch'ode le bestie e le frasche stormire.

Ed ecco due dalla sinistra costa

Nudi e graffiati, fuggendo si forte,
Che della selva rompièno ogni rosta.
Quel dinanzi: ora accorri, accorri, morte;
E l'altro, a cui pareva tardar troppo,
Gridava: Lano, si non furo accorte

108. PRUN DELL' OMBRA SUA MOLESTA, l'albero in cui alberga lo spirito suo statogli di peso e di danno.

Ben dicesi spirito molesto (quibus anima oneri fuil) al corpo. Par così che questo si vendichi di quello spirito, che da sè come inutil peso violentemente il recise, e lo si tolse.

113. IL PORCO E LA CACCIA, il porco cacciato. Virgilio, Eclog. II, 41:

Capreoli, sparsis etiam nunc pellibus albo. Pellibus albis, cioè con la pelle sparsa di bianche macchie o picchiettata di bianco. E, Georg. II, 192: Pateris libamus et auro, invece che pateris aureis, con tazze aurale o d'oro, comecchè altri legga ex auro. Così il Petrarca (son. 142):

Per mezzo i boschi inospiti e selvaggi Onde vanno a gran rischio uomini ed arme. E qui uomini ed arme per uomini armati. Là dove però, Virgilio dice Arma virumque non crede il Tassoni che si voglia intendere l'eroe armato: come nemmanco noi crederemmo l'armi pie

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tose e 'l Capitano aver detto il Tasso, per significare il Capilano pielosamente armalo. Ma nell' Aminta (Att. II, sc. III) scrisse ladroni ed armi per armati ladroni:

Tirsi-E s'ella fosse tra ladroni ed arme V'andresti tu? Aminta. V'andrei più lieto e pronto

Che l'assetato cervo alla fontana.

Avvegnacchè sottilizzando dir potrebbesi che i ladroni sieno altri dagli armati; ma sarebbe sottigliezza lontana dal vero.

Cotesta figura è usata da' poeti; ma non sì, che non possa eziandio aver luogo nel discorso più comunale, quando per astrazione del modo si considerano le qualità delle cose sustantivamente; e invece, a mo' d'esempio, di dire il fiore odoroso ec. piacerà che si dica il fiore e l'odore ec.

Del resto, se si tenesse alla lezione del Bargigi:

Similemente a colui, che venire

Sente il porco alla caccia alla sua posta ec. non sarebbe luogo alla figura, che fa di una due cose.

Le gambe tue alle giostre del Toppo.
E poichè forse gli fallia la lena,
Di sè e d'un cespuglio fece groppo.
Dirietro a loro era la selva piena

Di nere cagne bramose, e correnti
Come veltri, ch' uscisser di catena.
In quel che s' appiattò miser li denti,

E quel dilaceraro a brano a brano;
Poi sen portar quelle membra dolenti.
Presemi allor la mia Scorta per mano,
E menommi al cespuglio, che piangea,
Per le rotture sanguinenti, invano.
O Jacopo, dicea, da Sant' Andrea,

Che t'è giovato di me fare schermo?
Che colpa ho io della tua vita rea?
Quando 'l Maestro fu sovr' esso fermo,
Disse: chi fusti, che per tante punte
Soffi col sangue doloroso sermo?
E quegli a noi: o anime, che giunte
Siete a veder lo strazio disonesto,
Ch' ha le mie frondi sì da me disgiunte,
Raccoglietele al piè del tristo cesto:

Io fui della città, che nel Battista

Cangiòl primo padrone, ond' ei per questo
Sempre con l'arte sua la farà trista.

E se non fosse che 'n sul passo d'Arno
Rimane ancor di lui alcuna vista,
Quei cittadin, che poi la rifondarno
Sovra 'l cener che d' Attila rimase,
Avrebber fatto lavorare indarno.
Io fei gibetto a me delle mie case.

140. STRAZIO, DISONESTO. Honestus per pulcher dissero i Latini; Inhonestus per brutto, sconcio ec. Anche Virgilio (En. VI, 494 seg.):

Atque hic Priamidem laniatum corpore toto
Deiphobum vidit, lacerum crudeliter ora,
Ora manusque ambas, populataque tempora
(raptis
Auribus, et truncas INHONESTO vulnere nares.
143. I' FUI DELLA CITTÀ ec. Vedi il
Canto seguente, not. ai vv. 2 e 3.

149. ATTILA non già, ma Totila, stando alla storia, danneggiò Firenze. Non è certo che per Carlo Magno, come di

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ce la volgar tradizione, venisse riedificata. Il Poeta s'attenne alla fama, che ai suoi tempi portava il flagello di Dio come distruttore di quella città.

151. GIBETTO, per altre varianti, Gibbetlo, Giubello e Giubbelto. I Francesi gibet dicono alla forca; vuol adunque dire: io feci forca a me, io m'impiccai nelle mie case. Bargigi. Noi riteniamo gibetlo come la vera lezione; perchè o si derivi dal lat. GIBBUS, curvo, convesso come i legni della forca, o che la voce si faccia dal francese gibet, è chiaro

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Poichè la carità del natio loco

Mi strinse, raunai le fronde sparte,
E rende'le a colui, ch' era già fioco.
Indi venimmo al fine, ove si parte
Lo secondo giron dal terzo, e dove
Si vede di Giustizia orribil' arte.

gibello e non giubetto doversi pronun-
ziare; tanto più che in antichi monu-
menti havvi gibelum e gibbetum. Nelle
chiose sincrone del codice Cassinese
leggesi: Giubeltum est quedam lurris
Parisuis ubi homines suspenduntur; ma
la scorrezione dello scrivere il latino,
non ci fa piena fede dell'autenticità del
giubetto, che ha il testo.

2-3. RENDE'LE. L'affisso non raddoppia la consonante sua innanzi a' verbi apostrofati. Quindi male alcune edizioni leggono rendelle in questo luogo: chè sarebbe le rendè terza, non prima singolare del perfetto. (V. Inf. XVII, 122 nota (a)).

Similmente;
Purg. XII, 7:

Dritto, si come andar vuolsi, rife'mi
Con la persona.
Ivi XXII, 44:

Pente'mi

Cosi di quel come degli altri mali. Id. 90:

Ma per paura chiuso cristian fu'mi.
XXVII, 143:

Ond'io leva'mi
Veggendo i gran maestri già levati.
E XXX, 51:

Virgilio a cui per mia salute die'mi.

Ne' quali esempi, rende'le, rife'mi, pente'mi, fu'mi, leva'mi, die'mi, vagliono rendèile, rifeimi, penteimi, fuimi, levaimi, dieimi; cioè le rendei, mi rifei, mi pentei ec. ec.

La lettera rendèle e rendèlle che si trova in altre edizioni non vuol tenersi che affatto errata; perciocchè vi si confonde l'accento con l'apostrofo, e una per l'altra persona.

Rende'le... a colui, il quale pregava (Inf. XIII, 142) i Poeti, dicendo: Raccoglietele al piè del tristo cesto.

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ERA GIÀ FIOCO e perchè parlava soffiando per le rotture del cespuglio, e perchè con molto studio affannavasi di lamentare lo stato di Fiorenza; la quale per mutare il primo patrono o protettore Marte nel Battista, era ita incontro a tante disavventure. Mutamento funesto, non perchè un Dio gentilesco fosse posposto a S. Giovanni; ma dacchè le arti della guerra, che rendono forti e temuti i popoli, si erano lasciate per istudio d'accumular fiorini: la qual moneta portava di quei tempi l'impronta del Battista. Questa esposizione dovuta a Marsilio Ficino vien convalidata da più luoghi della Divina Commedia, dove il Poeta reca all'avarizia ec. la cagione dello scadimento morale e civile della sua patria. (Inf. XVI, 67, 68, 69, 73, 74, 75). È notabile che delle calamità di Firenze il Poeta fa che parlino persone di poco o di niun conto: quali furono Ciacco il crapulone (Inf. VI) e questo qui innominato e che appena si raccoglie dalle sue parole che fosse un tal Roccuzzo dei Mozzi, più reo del primo. Ciò fa Dante, a nostro avviso, per due ragioni 1° per disprezzo de' vizi de' fiorentini: 2° per dare ad intendere che le cause della ro

vina della nobile sua Fiorenza erano no

te a peggio che Lippis et tonsoribus. Ma
è Messer Farinata, Ser Brunetto Latini
e poi Beatrice, da cui l' Alighieri si fa
predire l'esilio! Forse ai savi non parran-
no nè strane e nè fatte indarno queste no-
stre considerazioni.

4. SI PARTE, si divide ec. Inf. XIII, 94:
Quando si parte l'anima feroce.
E Inf. VI, 61:

Li cittadin della città partita.
Vedi Inf. III, 89, nol.

A ben manifestar le cose nuove

Dico, che arrivammo ad una landa,
Che dal suo letto ogni pianta rimuove.
La dolorosa selva l'è ghirlanda

Intorno, come 'l fosso tristo ad essa:
Quivi fermammo i piedi a randa a randa.
Lo spazzo era una rena arida e spessa,
Non d'altra foggia fatta, che colei,
Che da' piè di Caton fu già soppressa.

7. Nuove, strane, insolile, non mai vedute. Inf. VI, 4:

Nuovi tormenti e nuovi tormentati. Vedi Inf. VII, 20.

8. LANDA, pianura, campagna, terra rasa. Da lamina crediamo fatto lamna, lanna, ladda e landa. Quest'ultima voce, che comunemente si dà alla lamina di ferro stagnata, detta volgarmente latta, è probabilmente anche dal latino Bracteae venuto da ßpzx crepito; e dinota le laminette sottili d'oro, di legno o di checchessia. Le più grosse diconsi cruste. Tutte voci acconce a significare la superficie dell'orribil sabbione.

10. II VII cerchio è distinto ne' tre gi roni, com'è detto (Inf.XI,30): per modo che il 1° rio di sangue ove son puniti i violenti contro il prossimo, ricinga col suo vermiglio bulicame il 2o cioè la selva de' pruni, in cui son legate le anime de' violenti contro sè e loro averi; e questo 2o girone poi quasi ghirlanda circondi e tenga in mezzo il sabbione, dove si puniscono i Violenti contro Dio, contro natura e contro l'arte; cioè i bestemmiatori, i sodomiti e gli usurieri. Tutto questo è detto sì bene e ricisamente con le parole:

una landa (3o girone) La dolorosa selva le è ghirlanda Intorno (2o girone), come il fosso tristo ad essa (1o girone).

12. A RANDA A RANDA, rasente, rasente LA LANDA, proprio tra il confine della selva e il principio del sabbione. Questo avviso gli è dato anche dal suo duca (vv. 73, 74, 75). Si fa RANDA dal tedesco Rand, orlo, estremità, margine, confine, limite, riva. Il Nannucci notò che a randa, ed a randa a randa valeva nel provenzale quel che appo noi: ma la voce randa esservisi presa in accezione di

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fermezza, risoluzione, ardilezza, violenza. A mo' di sustantivo inferiamo si usasse da' nostri, leggendo questi due versi d'incerto antico scrittore:

Che par che luce spanda

Come alla randa del Sole la stella.
V. Manual. letterat. vol. I, pag. 195.
Fir. Barber. 1856 (a).

13. SPAZZO, il suolo della landa. SPAZZO propriamente è ampiezza, poichè vien dal lat. Spatium; onde Spazio, Spazzo, siccome da Pretium; prezio, prezzo ec.

ARENA ARIDA ec.locuz. simile e di tanta forza, quanta ne hanno le parole Seldetta a disprezzo di rincontro a colei va selvaggia ec. E a notare un' arena (v.14) che fu calpestata da' piedi dell'U

ticense.

14. COLEI, che oggi è pronome sol di persona, è qui riferito al arena (v. 13).

15. Da' PIEDI DI CATON SOPPRESSA. Catone dopo la gran battaglia civile partito di Tessaglia venne nella Libia credendo quivi trovar Pompeo. Ma sendogli stato nunziato ch' era morto; deliberò con quelli di sua gente che seguir lo volessero di andar per terra a Giuba re di Mauritania, dove sentiva essersi ridotti

(a) Ma noi abbiamo RADERE, andar rasente. Sarebb'egli si strano, che di rada nascesse radda, ranna e randa nel nostro comune, tuttochè sia or malagevole allegare documenti di tali filiazioni? Il Castelvetro tira la voce da haerere e la spiega presso. Il Vellutello fa a randa a randa modo identico al Lombardo a rente a rente. L'Imolese spose a raso a raso il suo lat. A radente. Il Salvini chiosa dov'ella (la selva) si rade. Così la rada è detta la piaggia. I calabresi hanno arrasare, e a raso, e i Napolitani de renza, de renza che significano l'andare che uno fa costeggiando un confine o tenendosi a quello rasente.

O vendetta di Dio, quanto tu dei

Esser temuta da ciascun, che legge
Ciò che fu manifesto agli occhi miei!
D'anime nude vidi molte gregge,

Che piangean tutte assai miseramente,
E parea posta lor diversa legge.
Supin giaceva in terra alcuna gente;
Alcuna si sedea tutta raccolta;
Ed altra andava continovamente.
Quella che giva intorno era più molta,

E quella men, che giaceva al tormento;
Ma più al duolo avea la lingua sciolta.

Scipione Proconsole, e Varo Prefetto.
Provvisto come potè meglio a ogni cosa,
si mise a piedi primo dinanzi ai suoi,sop-
pressando e calcando quelle arene arse
dal sole, sterili, senza piante e senz'om-
bra; e pervenne al re Giuba dopo sette
giorni di periglioso cammino.

19. MOLTE GREGGE. Gregge propriamente è moltitudine adunata insieme di pecore, o di capre o di altro animal minulo,ma è ancora usato questo vocabolo a denotare altre moltitudini. Barg. Voce molto acconciamente applicata ai rei del terzo girone del VII cerchio. E lo stesso Dante, nelle Rime, dice:

Uom, che da sè virtù fatt'ha lontana,
Uom non è già, ma bestia ch'uom somiglia.
Ancora, Salm. XLVIII, 45: Sicut oves
in inferno positi sunt ec.

22. SUPIN GIACEVA, cioè i violenti contro Dio. Col ventre in su volti verso il cielo; sicchè scendesse l'eternale ardore (v. 37) in direzione opposta a quella

della bestemmia. v. 46.

SUPIN. Alcuni prendono questa voce per supino in luogo di supinamente. Noi crediamo che sia Supin per troncamento di supina (agg. per avverbio): perciocchè avverso la caterva de' grammatici, che in coro gridano contro la facoltà di troncare gli aggiunti femminini, sta l'uso tenuto dagli scrittori de' migliori secoli di nostra favella. Quel che peggio, intorno a questa teoria presero un granchio il Bartoli, il Salviati e il Buommattei (per tacere de' grammatici di bassa lega): i quali dettano la legge che nessuna voce femminina finita in a sia mai lecito di smozzicare.

Il Guarini Pastor fido, 5, 8:
Pur troppo è pien di guai la vita umana.
Il Berni, Mogliaz., Sc. IV:

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E dop'otta di cen la Meja e Giannone Diranno un canzoncin riddon riddone. Dove pien, cen sono per piena, cena. E così ripien, ciascun, un, buon, Ancon, Terracin, Maddalen, Loren, Babilon, Elicon ec. tronchi da ripiena, ciascuna, una, buona ec. sono adoperati dal Frezzi, da Fra Guittone, da Lorenzo de' Medici, dal Pulci, dal Macchiavelli e da molti altri solenni autori e in verso e in prosa. (V. Nannucci Teor. dei Nomi Cap. XVI, e segnat. pag. 385 segg. Fir. 1858. Tip. Baracchi).

23. SI SEDEA. Ve' la stupenda postura degli usurieri, per cui lavorano non essi ma i lor danari, prestando a uncino e premendo sangue dalla fronte altrui.

TUTTA RACCOLTA, perchè son gente non e perchè raccolgono i suoi membri, ove campagnevole e solo intesa ai guadagni; non possono le monete.

Noi crediamo che Dante dia moto continuo ai sodomiti; perchè avversi costoro ed inetti al coniugio vivono senza moglie e figliuoli: nè mancherebbe per essi che il genere umano tornasse ne' boschi a menar vita selvaggia e ferina.

24. ALTRA ANDAVA CONTINOVAMENTE:

25-26. PIÙ MOLTA e MEN (molta), rispetto alla gente che SI SEDEA TUTTA RAGCOLTA. In più piccolo numero eran dunque i bestemmiatori (ma più duramente puniti); maggiore quello degli usurari; massimo de' sodomiti. Ecco la statistica de' tempi Danteschi! Oggi bisogna forse

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