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Rispose, poi che lagrimar mi vide, Se vuoi campar d'esto loco selvaggio; Chè questa bestia, per la qual tu gride, Non lascia altrui passar per la sua via, Ma tanto lo 'mpedisce, che l' uccide: Ed ha natura sì malvagia e ria,

Che mai non empie la bramosa voglia,
E dopo l pasto ha più fame che pria.
Molti son gli animali, a cui s'ammoglia,
E più saranno ancora, infin che 'l Veltro
Verrà, che la farà morir di doglia.
Questi non ciberà terra, nè peltro,

Ma sapienza, e amore, e virtute;
E sua nazion sarà tra Feltro e Feltro.

nam cognitio peccati initium est poeni tentiae.

Si osservi che poco innanzi Virgilio incuorava Dante a salire il monte stesso, onde or lo stoglie (77):

Perchè non sali il dilettoso monte....?

ma poichè veduto l'ebbe lagrimare, s'addiede che questi non avea da tenere, che la sola via della penitenza. Onde gli dice (114):

E trarrotti di qui per loco eterno ec.
E Beatrice (Purg. XXX, 136) alluden-
do ai traviamenti del suo fido poeta:
Tutti argomenti

Alla salute sua eran già corti,
Fuorchè mostrargli le perdute genti.

101. Del Vellro diede titolo a un suo pregiato lavoro Carlo Troya, illustre scrittore della storia del medio evo. Ma nè a Can della Scala, nè ad Uguccione della Faggiuola, pace al dottissimo autore, convenir possono gli attributi di Sapienza, Amore e Virtute che si predicano del Veltro; nè un signorotto d'Italia potea rimettere in inferno quella Lupa, ch'è la morte, o il diavolo di là venuto a tribolare la terra. Il Torricelli, più di cui niuno penetrò dentro la compage allegorica del divino poema, dimostrò Cristo essere il Veltro in figura. Prima del valentuomo anche il Boccaccio e gli antichi glosatori videro nel Veltro il Cristo. Il Codice Cassinese ha Veltrus, idest Christus. In un antico Codice Fiorentino con chiose anonime, pubblicato dal ch. Francesco Selmi, si legge: Parla in fi

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gura di Veltro, di Cristo figliuolo di Dio. Così il cod. Laurenziano e qualche altro. Noi confortiamo il lettore a consultare gli Studi sul Dante del Conte Fr. M. Torricelli, e le note ch' egli, nello stremo della vita, avea condotto sino al IX canto dell' Inf. L'illustre cav. Strocchi ed altri egregi letterati vedono omai chiaro, che sul Veltro allegorico l' opinione del Torricelli è la sola, che si accomodi alla retta intelligenza della Divina Commedia (a).

103. Cibare si costruisce ordinariamente con l'accusativo di persona e il secondo o sesto caso della cosa onde alcuno si ciba ma incontra rado l'uso di colesto verbo nel modo come qui Dante lo adopera; cioè con l'accusativo di cosa e null'altro. Orazio costrusse attivamente ed alla stessa guisa Prandere. Art. poet.' 340: Neu pransae Lamiae vivum puerum extrahat alvo. E altrove Prandere olus, luscinias cc. Brunetto Latini nel Tesoretto :

Che per neente avete
Terra oro ed argento.
105. Nazione, nascila. Tr. Jac. da
Todi :

Ancor to' per sentenzia.....
Non curar di nazione
Se l'uomo è infatuato.

cioè: Ilabbi come certo che il matto non

(a) Abbiamo sol questo accennato a consiglio dell'egregio Avv. Gregorio Blandini, al quale è carissima, come a noi, la memoria dell'illustre Fossombronese.

Di quell' umile Italia fia salute,
Per cui mori la vergine Camilla,
Eurialo e Turno e Niso di ferute:
Questi la caccerà per ogni villa,

Finchè l' avrà rimessa nello 'nferno,
Là onde 'nvidia prima dipartilla.
Ond' io per lo tuo me' penso e discerno,
Che tu mi segui, ed io sarò tua guida,
E trarrotti di qui per luogo eterno,
Ov' udirai le disperate strida,

Vedrai gli antichi spiriti dolenti,
Che la seconda morte ciascun grida :
E vederai color, che son contenti

Nel fuoco, perchè speran di venire,
Quando che sia, alle beate genti :
Alle qua' poi se tu vorrai salire,

Anima fia a ciò di me più degna;
Con lei ti lascerò nel mio partire:

Chè quello 'mperador, che lassù regna,
Perch' i' fui ribellante alla sua legge,
Non vuol che 'n sua città per me si vegna.
In tutte parti impera, e quivi regge;

cura, non guarda alla sua nascita, alla sua prosapia ec. ma fa cose indegne del suo grado.

107. Di questa valorosa parla Virgilio (En. XI, 649-867) — Vedi Inf. XXXIII, 151, in fine. Dante rammemora i fatti di costei, che combattè la guerra della patria indipendenza; e Virgilio, tuttochè tragga la stirpe de' Cesari da' lombi di Julo Troiano, non dubita di asserire, che la morte di questa eroina che pugno contro Enea, sarebbe per essere celebrata come gloriosa appo tutte le genti (En. XI, 847):

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Neque hoc sine nomine letum Per gentes erit e pe' versi di Dante suona e risplende l'antica fama di questa guerriera.

118. Vederai per vedrai. Anche Inf. III, 17:

Che vederai le genti dolorose ec.

Il Petrarca:

Dalla mattina a terza

Di voi pensate, e vederete come
Tien caro altrui chi tien sè così a vile.

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Il B. Jacopone Lib. III, Od. XXIV, 37:
Se tu fai questo legame

Vederò ben che tu m' ame.
Nella Stor. Giosaf.: E vederò di quel-
le cose che allora non vidi. Queste son
naturali inflessioni da vedere; ma l'uso

derivano da vedre, configurazione fatta
fa prescegliere vedrò, vedrai ec. che si
da veder per la trasposizion della r; ep-
però della prima men regolare. Chi dun-
que credesse Dante dipartito dalle regole
rebbe sè stesso di errore.
e dall' analogia della lingua, condanne-

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Quivi è la sua cittade, e l'alto seggio:
O felice colui, cu' ivi elegge !
Ed io a lui Poeta, i' ti richieggio

Per quello Iddio, che tu non conoscesti,
Acciocch' io fugga questo male e peggio,
Che tu mi meni là dov' or dicesti,

Si ch'io vegga la porta di San Pietro,
E color, che tu fai cotanto mesti.
Allor si mosse, ed io gli tenni dietro.

CANTO II.

Tema di Dante. — Conforti di Virgilio. — Partenza dalla Selva.

Lo giorno se n' andava, e l'aere bruno
Toglieva gli animai che sono 'n terra
Dalle fatiche loro; ed io sol uno
M'apparecchiava a sostener la guerra
Si del cammino, e sì della pietate,
Che ritrarrà la mente, che non erra.
O Muse, o alto 'ngegno, or m' aiutate :
O mente, che scrivesti ciò ch'io vidi,
Qui si parrà la tua nobilitate.
Io cominciai: Poeta, che mi guidi,
Guarda la mia virtù, s'ell' è possente,
Prima ch' all'alto passo tu mi fidi.

1. Dopo Dante il Petrarca disse :
Tempo è di travagliar mentre il sol dura,
Ma nella notte ogni animale ha pace.
Virgilio (En. III, 147) andò innanzi ad
entrambi con quella simigliante sen-

tenza :

Nox erat, et terris animalia somnus habebat. e quell'altra del lib. IV, 522, descrizione bellissima.

Vedete come i grandi scrittori ritraggono dai perfetti esemplari, senza servilità.

Il Tasso (Gerus. lib. XII, st. 1):
Era la notte, e non prendean ristoro
Col sonno ancor le faticose genti.
Altamente poetico è il principio del can-
to XIV.

Del nascente sole poi, che rappella alle fatiche ogni animale che in terra alberghi, tocca nel cominciamento del canto XV e del XX. I quali tutti luoghi è bene legga e raffronti chi ami vedere la

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svariata fecondità del genio e il fino magistero dell'arte ne' nostri sovrani poeti.

10. Dante seppe da Virgilio, che non si discende in inferno per risalir di qua, se non da chi sia o figlio d'un nume, ovvero altamente virtuoso e caro a Giove. Perciò poco appresso dice ch'egli temea la sua andata non fosse folle; poichè non era nè Enea, nè Paolo da esser creduto degno di tanta ventura. En. VI, 129:

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Pauci, quos aequus amavit
Juppiter, aut ardens evexit ad aethera virtus,
Dis geniti potuere.

Vero è poi che il nostro Poeta nè sarebbe calato in inferno, e nè salito infino al sommo cielo e tornato sì felicemente tra' mortali, ove non fosse stato il suo genio retto ed ispirato dal possente aiuto di Dio.

V. Inf. V. 19 — III, 9.

Tu dici, che di Silvio lo parente,
Corruttibile ancora, ad immortale
Secolo andò, e fu sensibilmente :
Però se l'avversario d'ogni male

Cortese fu, pensando l'alto effetto
Ch' uscir dovea di lui, e 'l chi, e 'l quale,
Non pare indegno ad uomo d' intelletto;

Ch'ei fu dell' alma Roma e di suo 'mpero
Nell' empireo ciel per padre eletto:
La quale, e 'l quale, a voler dir lo vero,
Fur stabiliti per lo loco santo,

U' siede il successor del maggior Piero.
Per questa andata, onde gli dai tu vanto,
Intese cose, che furon cagione

Di sua vittoria, e del papale ammanto.
Andovvi poi lo Vas d'elezione,

Per recarne conforto a quella Fede,
Ch'è principio alla via di salvazione.
Ma io, perchè venirvi, o chi'l concede?
Io non Enea, io non Paolo sono:
Me degno a ciò nè io nè altri crede.
Perchè se del venire io m' abbandono,
Temo, che la venuta non sia folle.

Se' savio, e 'ntendi me' ch' io non ragiono.

E quale è quei, che disvuol ciò che volle,
E per novi pensier cangia proposta,
Si che del cominciar tutto si tolle;
Tal mi fec' io in quella oscura costa :
Perchè, pensando, consumai la 'mpresa,
Che fu nel cominciar cotanto tosta.

15. Secolo per mondo. Secolo immortale per il mondo di là, che dura eterno. Al contrario cotesto mondo di qua, che avrà fine quando che sia, fu chiamato secolo mortale. Fra Guittone Lett. V: Perchè non degni fummo che tanta preziosa e mirabile figura, come voi siete, abitasse intra l'umana generazione d' esto seculo mortale.

31. Virg. En. IV, 540: Quis me autem, fac velle, sinet ?

34. Come in questo luogo, in altri moltissimi, il nostro P. adopera Perchè in significato di Per la qual cosa, Laonde ec. part. causale, che non è da confon

dere, con Perchè interrogativo ec.

Stefano Protonotario (1250):

Ma Amor non veo, e di lei son temente; Per che 'l meo male adesso è più pungente. Par vi s' intenda il; cioè Per il che.

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locuzione Lasciarsi di ec. Nino del PaveM'abbandono. Conforme a questa è la

saio: Credimi tu forzar s'io non mi lasso? cioè: s' io non mi lascio, non m'arrendo, non cedo? o, come altri: se non mi stanco, non mi rallento nel resisterti?

Lucano: E quando così è, io mi lascio di non avere più comandamento sopra di loro. Cioè: condiscendo, sto all' altrui volontà, e non curo ch' io non abbia più comandamento ec.

Se io ho ben la tua parola intesa,
Rispose del magnanimo quell' ombra,
L'anima tua è da viltade offesa,
La qual molte fiate l'uomo ingombra,
Si che d'onrata impresa lo rivolve,
Come falso veder bestia, quand' ombra.
Da questa tema acciocchè tu ti solve,

Dirotti, perch' io venni, e quel che 'ntesi
Nel primo punto, che di te mi dolve.
Io era intra color, che son sospesi,

E Donna mi chiamò beata e bella,
Tal che di comandare io la richiesi.
Lucevan gli occhi suoi più che la stella :

49. Didone (En. I, 561) rincora i trojani, dicendo:

Solvite corde metum, Teucri, secludite curas etc.

51. MI DOLVE. Orazio, Art. poet. 102: Si vis me flere, dolendum est Primum ipsi tibi... anche assolut. e col terzo caso. Noi diciam del pari di ciò mi dolgo o mi duole. Personalmente, Inf. XXXIII, 40: Ben se' crudel, se tu già non ti duoli.

Di cotesto dolve (contro ciò che ne dice il Mastrofini, e coloro che tennero essersi adoperato in grazia della rima) ecco degli esempi in prosa. Bono Giamb. Paol. Oros. Lib. II, cap. XI: Del qual romore quelli di Persia in prima si dolvero, e poscia gittali in disperazione nè al combattere fuoro acconci, nè accorti al fuggire. Ancora, nel Tratt. della miseria dell' uomo, Cap. V: Sì si dolve nell' animo e turbò sè medesimo e cominciò a lagrimare.

Dolvi, dolve, dolvero traggono origine dal lat. dolui, doluit... doluere, convertito l'u nel v; e si scrisse anche dolfi, dolfe, dolfero per dolsi, dolse, dolsero, a cagione dell'affinità ch'è tra il v e la f. Il Pulci, Morg. C. XI, 14:

Carlo si dolfe con Orlando molto. Nelle Vite de' SS. Padri: Parve loro avere mal fatto, e dolfonsi molto. Il Bocc. G. II, Nov. X: Egli senza pro et in Pisa et altrove si dolfe della malvagità de' corsari. E Nov. VII: Et della sciagura d'Aldobrandino si dolfe. G. III, Nov. III: Anzi poi che io mi ve ne dolfi ec. (Testo Mannelli).

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Il Vill. XI, 2. Si dolfe di voi di tutto

suo cuore.

I Provenzali serf, vuelf cc. serve, volva ec. I Francesi: vif, brief, natif ec. per vivo, breve, nativo ec. Noi usiamo schivare e schifare, e simili.

55. Dopo il Costa che ricisamente dice a questo luogo: Intendi il sole; pare che niuno pur pensasse che si potesse intendere altrimente. Ma innanzi tutto il vero, e, salvo il rispetto debito a tanto uomo, non si vuol ciecamente tenere agli oracoli spesso pronunziati dalla bocca dei dotti; chè anche costoro non sono infal

libili.

Recateci, in grazia, esempio di quale scrittore prima, nel tempo, e dopo di Dante abbia usato così determinatamente la stella per il sole, e noi starem contenti al vero; e terremo col Costa e con quelli che tengonsi a lui. Ciò che fa prode a questa sentenza è che i Greci in modo antonomastico dicevano Tр (astro) il sole, e che anche Dante chiamollo, in una delle sue canzoni, il principe delle stelle:

Costei

Che al prence delle stelle s'assimiglia.

Lo stesso Nannucci si avvisò di fornirne un luogo del Guinicelli in sostegno di questa opinione; ma noi, conșiderato e ponderato bene ogni cosa, mo affermare che il testo invocato non

osia

regge alla pruova, e conferma il contra-
rio. Eccolo:

Foco d'Amore in gentil cor s' apprende,
Come virtute in pietra preziosa :

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