Rispose, poi che lagrimar mi vide, Che mai non empie la bramosa voglia, Si osservi che poco innanzi Virgilio incuorava Dante a salire il monte stesso, onde or lo stoglie (77): Perchè non sali il dilettoso monte....? E trarrotti di qui per loco eterno ec. Alla salute sua eran già corti, 101. Del Veltro diede titolo a un suo pregiato lavoro Carlo Troya, illustre scrittore della storia del medio evo. Ma nè a Can della Scala, nè ad Uguccione della Faggiuola, pace al dottissimo autore, convenir possono gli attributi di Sapienza, Amore e Virtute che si predicano del Veltro; nè un signorotto d' Italia potea rimettere in inferno quella Lupa, ch'è la morte, o il diavolo di là venuto a tribolare la terra. Il Torricelli, più di cui niuno penetrò dentro la compage allegorica del divino poema, dimostrò Cristo essere il Veltro in figura. Prima del valentuomo anche il Boccaccio e gli antichi glosatori videro nel Veltro il Cristo. Il Codice Cassinese ha Veltrus, idest Christus. In un antico Codice Fiorentino con chiose anonime, pubblicato dal ch. Francesco Selmi, si legge: Parla in fi 95 100 105 gura di Veltro, di Cristo figliuolo di Dio. Così il cod. Laurenziano e qualche altro. Noi confortiamo il lettore a consultare gli Studi sul Dante del Conte Fr. M. Torricelli, e le note ch'egli, nello stremo della vita, avea condotto sino al IX canto dell' Inf. L'illustre cav. Strocchi ed altri egregi letterati vedono omai chiaro, che sul Veltro allegorico l'opinione del Torricelli è la sola, che si accomodi alla retta intelligenza della Divina Commedia (a). 103. Cibare si costruisce ordinariamente con l' accusativo di persona e il secondo o sesto caso della cosa onde alcuno si ciba: ma incontra rado l'uso di colesto verbo nel modo come qui Dante lo adopera; cioè con l'accusativo di cosa e null'altro. Orazio costrusse attivamente ed alla stessa guisa Prandere. Art. poet.' 340: Neu pransae Lamiae vivum puerum extrahat alvo. E altrove Prandere olus, luscinias ec. Brunetto Latini nel Tesoretto: Che per neente avete Di quell' umile Italia fia salute, E vederai color, che son contenti In tutte parti impera, e quivi regge; cura, non guarda alla sua nascita, alla sua prosapia ec. ma fa cose indegne del suo grado. 107. Di questa valorosa parla Virgilio (En. XI, 649-867) - Vedi Inf. XXXIII, 151, in fine. Dante rammemora i fatti di costei, che combattè la guerra della patria indipendenza; e Virgilio, tuttochè tragga la stirpe de' Cesari da' lombi di Julo Troiano, non dubita di asserire, che la morte di questa eroina che pugnò contro Enea, sarebbe per essere celebrata come gloriosa appo tutte le genti (En. ΧΙ, 847): Neque hoc sine nomine letum Per gentes erit e pe' versi di Dante suona e risplende l' antica fama di questa guerriera. 118. Vederai per vedrai. Anche Inf. III, 17: Che vederai le genti dolorose ec. Il Petrarca: Dalla mattina a terza Di voi pensate, e vederete come 110 115 120 125 Il B. Jacopone Lib. III, Od. XXIV, 37: Nella Stor. Giosaf.: E vederò di quelle cose che allora non vidi. Queste son naturali inflessioni da vedere; ma l'uso fa prescegliere vedrò, vedrai ec. che si derivano da vedre, configurazione fatta da veder per la trasposizion della r; epperò della prima men regolare. Chi dun que credesse Dante dipartito dalle regole e dall' analogia della lingua, condannerebbe sè stesso di errore. Lapo Gianni: Tu vederai la nobile accoglienza Com' en formate angeliche bellezze. Dante: udirai..... vedrai..... vederai. In Lapo i tre vederai fanno una specie di progressione. Erano contemporanei e amici i due pocti. Quivi è la sua cittade, e l'alto seggio: Ed io a lui: Poeta, i'ti richieggio Per quello Iddio, che tu non conoscesti, Sì ch'io vegga la porta di San Pietro, CANTO II. Tema di Dante. - Conforti di Virgilio. - Partenza dalla Selva. Lo giorno se n'andava, e l'aere bruno O Muse, o alto 'ngegno, or m'aiutate: 4. Dopo Dante il Petrarca disse: tenza: 130 135 5 10 svariata fecondità del genio e il fino magistero dell'arte ne' nostri sovrani poeti. 10. Dante seppe da Virgilio, che non si discende in inferno per risalir di qua, se non da chi sia o figlio d'un nume, ovvero altamente virtuoso e caro a Giove. Perciò poco appresso dice ch'egli temea la sua andata non fosse folle; poichè non era nè Enea, nè Paolo da esser creduto degno di tanta ventura. En. VI, 129: Pauci, quos aequus amavit Vero è poi che il nostro Poeta nè sarebbe calato in inferno, e nè salito infino al sommo cielo e tornato sì felicemente tra' mortali, ove non fosse stato il suo genio retto ed ispirato dal possente aiuto di Dio. V. Inf. V. 19-III, 9. Tu dici, che di Silvio lo parente, Non pare indegno ad uomo d'intelletto; Per recarne conforto a quella Fede, E quale è quei, che disvuol ciò che volle, 15. Secolo per mondo. Secolo immortale per il mondo di là, che dura eterno. Al contrario cotesto mondo di qua, che avrà fine quando che sia, fu chiamato secolo mortale. Fra Guittone Lett. V: Perchè non degni summo che tanta preziosa e mirabile figura, come voi siete, abitasse intra l'umana gene razione d' esto seculo mortale. 31. Virg. En. IV, 540: Quis me autem, fac velle, sinet ? 34. Come in questo luogo, in altri moltissimi, il nostro P. adopera Perchè in significato di Per la qual cosa, Laonde ec. part. causale, che non è da confon dere, con Perchè interrogativo ec. Stefano Protonotario (1250): 15 20 25 30 35 40 M'abbandono. Conforme a questa è la locuzione Lasciarsi di ec. Nino del Pavesaio: Credimi tu forzar s'io non mi lasso? cioè: s' io non mi lascio, non m'arrendo, non cedo? o, come altri: se non mi stanco, non mi rallento nel resisterti ? Lucano: E quando così è, io mi lascio di non avere più comandamento sopra di loro. Cioè: condiscendo, sto all'altrui volontà, e non curo ch' io non abbia più comandamento ec. Se io ho ben la tua parola intesa, 49. Didone (En. I, 561) rincora i troja- 45 50 55 Il Vill. XI, 2. Si dolfe di voi di tutto suo cuore. I Provenzali: serf, vuelf ec. serve, 51. Mi Dolve. Orazio, Art. poet. 102: volva ec. I Francesi: vif, brief, natif ec. Primum ipsi tibi... Si vis me flere, dolendum est anche assolut. e col terzo caso. Noi diciam del pari: di ciò mi dolgo o mi duole. Personalmente, Inf. XXXIII, 40: Ben se' crudel, se tu già non ti duoli. Di cotesto dolve (contro ciò che ne dice il Mastrofini, e coloro che tennero essersi adoperato in grazia della rima) ecco degli esempi in prosa. Bono Giamb. Paol. Oros. Lib. II, cap. XI: Del qual romore quelli di Persia in prima si dolvero, e poscia gittati in disperazione nè al combattere fuoro acconci, nè accorti al fuggire. Ancora, nel Tratt. della miseria dell' uomo, Cap. V: Sì si dolve nell' animo e turbò sè medesimo e cominciò a lagrimare. Dolvi, dolve, dolvero traggono origi ne dal lat. dolui, doluit... doluere, con vertito l'u nel v; e si scrisse anche dolfi, dolfe, dolfero per dolsi, dolse, dolsero, a cagione dell'affinità ch'è tra il ve la f. Il Pulci, Morg. C. XI, 14: Carlo si dolfe con Orlando molto. Nelle Vite de' SS. Padri: Parve loro avere mal fatto, e dolfonsi molto. Il Bocc. G. II, Nov. X: Egli senza pro et in Pisa et altrove si dolfe della malvagità de' corsari. E Nov. VII: Et della sciagura d'Aldobrandino si dolfe. G. III, Nov. III: Anzi poi che io mi ve ne dolfi ec. (Testo Mannelli). per vivo, breve, nativo ec. Noi usiamo schivare e schifare, e simili. 55. Dopo il Costa che ricisamente dice a questo luogo: Intendi il sole; pare che niuno pur pensasse che si potesse intendere altrimente. Ma innanzi tutto il vero, e, salvo il rispetto debito a tanto uomo, non si vuol ciecamente tenere agli oracoli spesso pronunziati dalla bocca dei dotti; chè anche costoro non sono infallibili. Recateci, in grazia, esempio di quale scrittore prima, nel tempo, e dopo di Dante abbia usato così determinatamente la stella per il sole, e noi starem contenti al vero; e terremo col Costa e con quelli che tengonsi a lui. Ciò che fa prode a questa sentenza è che i Greci in modo antonomastico dicevano αστρον (astro) il sole, e che anche Dante chiamollo, in una delle sue canzoni, il principe delle stelle: Costei Che al prence delle stelle s' assimiglia. Lo stesso Nannucci si avviso di fornirne un luogo del Guinicelli in sostegno di questa opinione; ma noi, considerato e ponderato bene ogni cosa, osiamo affermare che il testo invocato non regge alla pruova, e conferma il contrario. Eccolo: Foco d' Amore in gentil cor s'apprende, |