Page images
PDF
EPUB

Deh, se riposi mai vostra semenza,
Prega' io lui, solvetemi quel nodo,
Che qui ha inviluppata mia sentenza:
E' par che voi veggiate, se ben odo,

Dinanzi quel che 'l tempo seco adduce,
E nel presente tenete altro modo.
Noi veggiam come quei ch' ha mala luce,
Le cose, disse, che ne son lontano:
Cotanto ancor ne splende 'l sommo Duce.
Quando s' appressano, o son, tutto è vano

Nostro 'ntelletto, e, s' altri nol ci apporta,
Nulla sapem di vostro stato umano.
Però comprender puoi che tutta morta
Fia nostra conoscenza da quel punto,
Che del futuro fia chiusa la porta.

[blocks in formation]

Se non t' invidi il ciel sì dolce stato,
Delle miserie mie pietà ti mova.

95

100

105

Il nostro Poeta usa molte volte questo modo, come

Inf. XXIX, 103:

Se la vostra memoria non s'imboli
Nel primo mondo dalle umane menti,
Ma s'ella viva sotto molti soli,
Ditemi chi voi siete e di che genti.

Inf. XVI, 64:

Se lungamente l' anima conduca

Le membra tue, rispose quegli allora, E se la fama tua dopo te luca, Cortesia e valor, dì, sè dimora ecc.

95. SEMENZA, prosapia, discendenza, sangue ec. V. Inf. III, not. 104 e 105.

103 seg. VANO... INTELLETTO, rispetto alle imagini delle cose vedute che più non vi sono. Niente vedono quando le cose s' appressano o sono, e niente hanno nell' intelletto, secondo anche la sentenza aristotelica: Nihil est in intellectu, quod prius non fuerit in sensibus.

105. SAPEM, sappiamo. Forma primitiva del verbo sapere. Oggi sono in uso soltanto sapete, sapessi ec. V. Inf. IV, 42, XXVIII, 40, Parad. XX, 138.

108. All' estremo giudizio annientato il mondo, dai cui rivolgimenti è il tempo, non sarà più futuro: in quelle anime sarà spenta ogni notizia in eterno, secondo Farinata.

Allor, come di mia colpa compunto,
Diss' io: ora direte a quel caduto,
Che 'l suo nato è coi vivi ancor congiunto.
Es' io fu' dianzi alla risposta muto,

Fate i saper che 'l fei, perchè pensava
Già nell' error che m' avete soluto.
E già 'l Maestro mio mi richiamava:

Perch' io pregai lo spirito più avaccio,
Che mi dicesse chi con lui si stava.
Dissemi: qui con più di mille giaccio:

Qua entro è lo secondo Federico,
El Cardinale, e degli altri mi taccio:
Indi s' ascose; ed io inver l'antico

Poeta volsi i passi, ripensando
A quel parlar che mi parea nemico.
Egli si mosse; e poi così in andando,
Mi disse: perchè se' tu si smarrito?
Ed io gli soddisfeci al suo dimando.
La mente tua conservi quel ch' udito
Hai contra te, mi comandò quel Saggio,
Ed ora attendi qui: e drizzò 'l dito.

113. FATE I, falegli. V. Inf. V, 78 not. 120. IL CARDINALE fu Ottaviano degli Ubaldini, che fiorì verso il 1260. Favorì i Ghibellini; pei quali disse che se anima era, egli l'aveva perduta. Ma egli l'avea e gentile e non molto dissimile da quella del Petrarca: come ne fanno fede i versi del seguente sonetto; il quale trascriviamo, perchè ciascuno abbia alcuna notizia del carattere della persona, cui Dante accenna, e nol noma perchè famoso, se non antonomasticamente il Cardinale.

Io non so che si sia, che sopra il core
Mi stilla un sudor ghiaccio che mi sface
E trasforma la neve in calda face
E fiera sicurtade in gran tremore.
Io non so chi si sia questo signore,
Che mostra darmi guerra, e dammi pace,
Facendomi piacer quel che mi spiace;
Io non so che si sia se non Amore.
Che altra potenza non aria tal forza
Dare allo spirto del suo albergo bando
E farlo volar nudo senza scorza,
Nè che facesse altrui arder tremando.
Questo è colui, che li mortali sforza.
E che di sopra al ciel va trïonfando.
Da questo porporato il cantore di Lau-

110

115

120

125

ra apparò di esprimere il fenomeno del
fuoco-diaccio, dicendo d' Amore:
Che 'n un punto m' agghiaccia e mi riscalda.
Ancora:

E:

E tremo a mezza state ardendo il verno.

Questo signor che tutto il mondo sforza. Gentile lettore, se andrai nell' inferno, quod absit, tu non vi troverai nè questo Cardinale, e nè Federico, tutto che percosso di papale saetta.

129. E ORA ATtendi qui: e drizzò il DITO, cioè: tieni a mente ciò che ti predisse Farinata (79 segg.) ma ora poni la tua attenzione alle cose di qua. Age quod agis.

DRIZZO IL DITO: accompagnò la parola col gesto, drizzando e dirigendo IL DITO verso il luogo dinotato dall' avverbio Qur; l'atto della mano simultaneo alla proferenza della voce rese la sentenza più efficace ed evidente. Drizzare non vale soltanto raddrizzare,ma eziandio dirigere in su, in giù e dove che sia. Il Tasso: E ver le piagge di Tortosa poi Drizzò precipitando il volo in giuso e basti sol questo per mille altri esempi.

Quando sarai dinanzi al dolce raggio

Di quella, il cui bell' occhio tutto vede,
Da lei saprai di tua vita il viaggio.
Appresso volse a man sinistra il piede;
Lasciammo il muro, e gimmo inver lo mezzo
Per un sentier ch' ad una valle fiede,
Che 'nfin lassù facea spiacer suo lezzo.

Sicchè ci reca meraviglia che i comentatori intendano la frase drizzò il dilo come se Virgilio levasse diritto il dito al cielo accennando Beatrice, la quale non entra in iscena, se non nell'altra terzina. Forse, dice il Bianchi, quel DRIZZÒ IL DITO si potrebbe spiegare così: alzò il dito alla parte superna. Questo atto è conveniente a Virgilio, che, volendo parlare di Beatrice, addita il luogo celeste ov' ella ha sua sede. Nè a Virgilio nè a chiunque può convenire l'opposizione tra il gesto e la parola, che come Dante ci dice, furono simultanei e ad uno stesso intento. Il Poeta latino non avea

130

135

Qui è Fedire usato nella sua propria significanza.

Bellissimi sensi traslati ha la voce, in vari luoghi del Poema.

Qui la figura è tolta dall'atto, con cui l'arciero appunta l' occhio al segno che vuol ferire. D'una via o sentiere può ben dirsi che vada dritta, miri ad un punto o a un certo termine; ed il verso dantesco è notevole per questo tropo.

Questo stesso significato pare che bene s'acconci al verbo fede. Purg. IX, 25

seg.:

Fra me pensava: forse questa (aquila) fiede
Pur qui per uso ec.

cioè drizza il suo volo, mira e tien fer-
me l'ali a questo luogo.

Altri dicono: Piomba, s'avventa a far preda; ma questo sentimento vien loro porto da quel che suole fare un uccel di rapina; non mica da quel che il Poeta con la parola intende significare.

Nel Purg. XXVIII, 90:

pur mestieri di apprendere il trattato de actione, per non fare che, mentr'egli col qui dinotava l'inferno, il suo dito si alzasse diritto al paradiso. Dante dice chiarissimo: Ora bada qui (e mostra qui e non altrove). Quando poi avrai veduto Beatrice, allor saprai da lei le venture del viver tuo. Malissimo e il Bargigi e il Bianchi ed altri intendono l'attendi qui per altendi a quel che ti vo' dire. Niun bisogno di questo preambolo. L'attendi esorta il Poeta a non isviarsi col pensiero dall' onorata impresa, a percorrere l'inferno ec. con quell'attenzione ch'era necessaria per derivarne morale profitto. Adesso abbi la mente tutta intesa al viag-gliare, ch'è un ferire speciale; in luogio di questo mondo de' morti; Beatrice poi saprà dirti qual sarà per essere il viaggio della tua vita mortale. Si consideri

bene il verso 132:

Da lei saprai di tua vita il viaggio.

135. FIEDE è da Ferire, onde Fedire e Fiedere. Gli antichi spesso mutarono lar in d, come Contradio per contrario ec.

Dino Compagni, Intell. :

Quando Cesar lo vide, immantinente
Fedi 'l cavallo ai fianchi delli sproni ec.

E passò Rubicon più vistamente, (prestamente)
Che s'egli avesse cuor per tre leoni, ec.

il vocabolo vale Offendere ch'è più lato
E purgherò la nebbia che ti fiede.
di Fedire; ed Offendere nel senso di o-
scurare ottenebrare l'intelligenza:il che è
una cotale lesione, ferita e offesa che ar-
reca, nonchè danno, morte allo spirito.

E Parad. XXXII, 40. Fiedere vale Ta

go del quale s'è adoperato il suo genere per la Sineddoche; inversamente che nel verso già allegato (Purg. XXVIII, 90).

Il P. adopra Rifiedere per Riflettere, Tornare con l'attenzione ad una stessa cosa: come della goccia, che fora la pietra, non semel sed saepe cadendo. E qui anche prende questo Rifiedere alcun che del semplice Fiedere, in sentimento di Pigliar di mira, Intendere ad una cosa ec. Inf. XX, 105:

Che solo a ciò la mia mente rifiede. cioè non pensa che a questo ec. Per un sentier che ad una valle fiede

CANTO XI.

Ragionamento di Virgilio sulla divisione delle pene dell' Inferno.

In su l'estremità d' un' alta ripa,

Che facevan gran pietre rotte in cerchio,
Venimmo sopra più crudele stipa:

E quivi per l' orribile soperchio

Del puzzo che 'l profondo abisso gitta,
Ci raccostammo dietro ad un coperchio
D'un grand' avello, ov' io vidi una scritta,
Che diceva: Anastasio Papa guardo,
Lo qual trasse Fotin dalla via dritta.

è a un dipresso locuzione simile a que-
st' altra di Virgilio (En. VI, 900):

Ille viam secat ad naves, sociosque revisit. che anche vuol dire: va difilato e va per la dritta via ec. (Inf. VIII, 29 not.).

2. FACEVAN (la ripa) GRAN PIETRE. Detto a significare l'ostinazione, la durezza, la crudeltà, nonchè l'insensibilità dei maliziosi, fraudolenti ec. che son puniti per quei gironi. Pietre ma rotte. Se Dante potè immaginare tutta la costiera di vivo sasso, e nol fece; volle, a nostro avviso, insegnare che quella lordura del genere umano, la quale infrange i vincoli dell'amore,non si legan tampoco fra loro.

3. STIPA. Ammassamento, il Lombardi. Inf. XXIV, 82:

E vidivi entro terribile stipa
Di serpenti.

Il Bargigi: STIPA, chiusura, richiudimento, tenuta, prigione. Il gr. seiß val premo. Stiva dell' aratolo è la parte che con la mano il bifolco stringe e preme per tirare il solco. Stivare è in uso vivo ancora. Stifa dicono i calabresi, in lor dialetto, al luogo dove si ripongono le olive ricolte, per addensarsi e purgarsi; come ancora a que' barlotti a doghe d'un sol fondo, in cui s'insalano tonnina, acciughe, o si portano le aringhe, le salacche ben premute le une molti solai sulle altre. Sicchè stipa val, più o meno, strettura e il luogo, ove più cose sono insieme strette. Dante par questo accenni al verso 21:

Intendi come e perchè son costretti:

costretti, cioè, stretti l' un con l'altro. V. Inf. VII, 19.

5. Puzzo. Discosti ancora da' tre ultimi cerchi infernali e da quella bruttura di dannati, sentono i poeti orribil fetore; perchè, dice il chiosator Cassinese: Bona fama odor est, mala vero foetor.

7. GRANDE AVELLO qual convenivasi a un Papa. E con dippiù la epigrafe (v. 8 e 9): perchè, a nostro avviso, in Inferno dovea la sepoltura d'Anastasio esser veduta colà da' morti, come son qui dai vivi letti gli epitaffi delle nostre necropoli: e perchè, secondo Giovenale:

Omne animi vitium tanto conspectius in se
Crimen habet, quanto major qui peccat habetur.

8. ANASTASIO non fu brutto dell'eresia di Fotino. Questo diacono di Tessalonica credette Cristo non nato di Vergine, generato da Josef; e in lui quindi esser stata dapprima solo natura umana: dipoi per suoi meriti degnato d'essere figliuolo di Dio. La critica storica trova Dante incorso in errore. Del resto Papa Anastagio se non è con Messer Farinata nelle arche

degli eretici; non è difficile che si trovi in qualche altro girone; tuttochè nel 498 dell' Era cristiana i nostri Beatissimi Padri, non fossero sì spennacchiati da non poter levare un volo al Paradiso.

9. LO QUAL, vuolsi qui prendere per quarto caso. TRASSE DALLA VIA DRITTA, sviò dalla fede ortodossa che crede la Divinità di Cristo, tenendo Gesù Verbo umanato. VIA DRITTA. V. Inf. I, 3.

Lo nostro scender conviene esser tardo,
Si che s' ausi in prima un poco il senso
Al tristo fiato, e poi non fia riguardo.
Così 'l Maestro; ed io: alcun compenso,

Dissi lui, trova, che 'l tempo non passi
Perduto: ed egli: vedi ch' a ciò penso.
Figliuol mio, dentro da cotesti sassi,

Cominciò poi a dir, son tre cerchietti
Di grado in grado, come quei che lassi.
Tutti son pien di spirti maladetti:

Ma perchè poi ti basti pur la vista,
Intendi come, e perchè son costretti.
D'ogni malizia, ch' odio in Cielo acquista,
Ingiuria è il fine, ed ogni fin cotale
O con forza, o con frode altrui contrista,

11. SENSO. (il genere per la specie) odorato.

12. Fiato è propriamente soffio, a flando; prendesi qui per pestifera esalazione, significata dall' aggiunto tristo: quel medesimo che nel v.5 si dice puzzo, che il profondo abisso gilta. Fiato adoperò il Nostro per vento, e con proprietà: Così quel fiato gli spiriti mali

Di qua, di là, di su, di giù gli mena ec. In Virgilio, Halitus per puzzore, nell'En. VI, 240; dove, poscia che detto ebbe del lago d'Averno, sopra le cui pestifere acque non volavano uccelli, e che però i Greci gli dieder nome di Aornonsine avibus; egli seguita:

talis sese halitus atris

Faucibus effundens supera ad convexa ferebat.
NON FIA RIGUARDO. Fia val qui per
se stesso non farà mestieri (Inf. V, 96
not.): vuol dire dunque Virgilio: Non
occorrerà star in sull'avviso per ischi-
vare il puzzo. Andrem liberamente co-
me fetore non vi fosse.

14-15. IL TEMPO NON PASSI PERDUTO.
Nel Purg. XVII, 84, il P. così al suo M.
Dolce mio Padre, di, quale offensione
Si purga qui nel giro, dove semo?

Se i piè si stanno, non stea tuo sermone.
Purgat. III, 78:

Chè il perder tempo a chi più sa più spiace. Nel Parad. XXVI, 4, segg. una voce si fa udire al Poeta:

Dicendo: intanto che tu ti risense

Della vista che hai in me consunta,
Ben è che ragionando la compense.

10

15

20

[blocks in formation]

ne

2 pren

3 de

quei che fan forza a sè medesi

mi. Inf. XIII.

quei che fan forza a Dio biasimandolo o contraffacendo alla natura. lnf. XIV a XVIII.

II II è de'Fraudolenti, e va scompartito in 10 bolge; nelle quali son coloro che per varie gradazioni di colpa ingannarono chi pur non pose in essi speciale fidanza. Inf. XVIII a XXXI.

II III contiene i traditori, cioè quelli i quali ingannarono chi ebbe posta fidanza in loro.

20. TI BASTI PUR LA VISTA. Bastiti sol la veduta, senza che ti sia poi bisogno di farmi domande. PUR qui vale solamente.

21. Cioè in qual modo e secondo qual ordine gli spiriti son distinti e separati in diversi cerchi e gironi l'un dall'altro, e per quali peccati vi son essi costretti. Nota costretti perchè posti in crudele stipa (v. 3).

22-24. Questa terzina pare tratta dal

« PreviousContinue »