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S'ei fur cacciati, ei tornar d'ogni parte,
Risposi io lui, e l'una e l'altra fiata;
Ma i vostri non appreser ben quell' arte.
Allor surse alla vista scoperchiata

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Un'ombra lungo questa infino al mento:
Credo che s' era inginocchion levata.
D' intorno mi guardò, come talento
Avesse di veder s' altri era meco;

Ma, poi che 'l suspicar fu tutto spento,

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50. RISPOSI LUI, cioè a lui. V. Inf. I, bra del Cavalcanti accosto quella di mes81, not.

52 seg. ALLA VISTA SCOPERCHIATA, alla bocca, ovvero all'orlo del sepolcro, del quale era sospeso, ed elevato il coperchio. Barg. Così quasi tutti. Il Bianchi: « Surse alla vista: uscì a farsi vedere.un' ombra scoperchiata sino al mento, fuor del coperchio tutta la testa ». A noi par bella questa interpretazione; se non che, a raffermarla, troviam necessario che scoperchiata s' intenda l'ombra sl di Farinata che del Cavalcante e di tutti gli altri che trovavansi nello scoperchiato avello, come naturalmente può dirsi che scoperchiati fosser tutti quanti infino al Giudizio,che gli accoperchierà in eterno (v. 10 ec.) — Il Tommaseo. « VISTA,

Finestra, apertura, Fenestra dal gr. (Phenome) comparire ».

Adduce un esempio del Nostro (Purg. X, 67), dove Vista vuols' intendere per fenestra, apertura, balcone. Il valentuomo adunque s' attiene alla prima interpretazione, dando l'epiteto scoperchiata non all' ombra, ma alla vista come su è detto; ma osterebbe alla sua chiosa il riflettere che la frase vista scoperchiata tornerebbe allo stesso che dire apertura aperta. Il Lombardi spiega scoperchiata per aperta, scoperta, e fa la voce aggiun

to anche di vista. Non resterebbe se

non sospettare che la vista scoperchiata significasse gli occhi sbarrali con cui levossi il Cavalcante, pensando di dover vedere con Dante il suo figliuolo. Le palpebre son coperchio degli occhi. In questo caso direbbesi alla adoperato per con la. Ma teniamoci alla comune sposizione.

53.UN'OMBRA Lungo questa,cioè un'altra ombra a lato di questa, val dire l'om

ser Farinata.

54. INGINOCCHION LEVATA. L'un'ombra sorge più che non l'altra, segno di preminenza che Farinata tiene sopra del Cavalcanti. E ciò dimostrano per questo canto gli atti e i modi e le parole di entrambi. Il Biagioli rileva la fiacchezza del carattere del Cavalcanti dal suo lagrimare (v. 58).

55. TALENTO V. Inf. II, 81 not.

57. SUSPICAR ec. Dal lat. suspicari, sperare. I Provenzali sospechar e sospeissar per altendere, sperare; e sospeisso, speranza, aspettazione: quindi suspicar in questo luogo usato per spe

rare, speranza.

Il Bianchi: Ma poichè gli venne meno l'opinione ch' egli aveva di vedere la persona desiderata ec. Qui suspicar è preso nel significato di ATTENDERE, con una specie d'incertezza, o sospensione

d'animo. È esso il senso, ma non è desso. Cotesto suspicare, che fu tutto spento, prima era acceso e vivo: il che mostra che fosse tutt'altro che opinione, la quale appartiene all'intelletto, non al sentimento. Nè sapremmo con quanta proprietà dir si potesse opinione ardente e viva che si spegnesse; tranne forse quelle degli Aristotelici; ma il nostro Poeta non vorrebbe cantare fuor di coro, nè qui accennare l'ardenza di quelle opinioni, che facevan venire i disputanti alle corte o a mezza lama. È poi vero che speranza è di cose che hanno a venire; Sperare con Attendere, come par qui ma non però si vorrebbe identificare faccia l'egregio Comentatore. Il Cavalcanti s'accese di vivo desiderio e speranza che già fosse in sul punto di vedere il

Piangendo disse: se per questo cieco
Carcere vai per altezza d' ingegno,
Mio figlio ov' è, e perchè non è teco?
Ed io a lui: da me stesso non vegno:

Colui, ch' attende là, per qui mi mena,
Forse cui Guido vostro ebbe a disdegno.
Le sue parole, e 'l modo della pena

M' avevan di costui già letto il nome;
Però fu la risposta così piena.
Di subito drizzato gridò: come
Dicesti: egli ebbe? non viv' egli ancora?

suo Guido con Dante; ma fu un lampo
di speranza che tosto s'accese e si spen-
se. Questo è un traslato sì semplice e
naturale; che nuocerebbe alla sublimità
del concetto poetico, non meno che alla
proprietà della locuzione, chi volesse far
passare Dante, sempre lucido nel conce-
pire e sporre il suo pensiero, per la fi-
liera delle ambage e delle sottigliezze.
Ed egli in più luoghi attribuisce l'ardo-
re al desiderio, Parad. XXIX, 47:

Sì che spenti

Nel tuo disio già sono tre ardori ec.

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Ognun sa che valesse appo i Latini la voce ardere. Noto anche da Suspicari venirsi sospetto o speranza e queste due voci prendersi nello stesso senti

mento di timore ne' versi:

Lasciate ogni speranza o voi che 'ntrateQui si convien lasciare ogni sospetto: con l'ultimo de' quali Virgilio spiegherebbe a Dante le parole dell'epigrafe infernale, e chiarirebbe l' ambiguo senso della voce speranza. V. Inf. IIÏ. 20 not.

63. GUIDO EBBE A DISDEGNO Virgilio, non perchè spregiass'egli il principe dei poeti latini; ma perchè, come dice il Boccaccio (comm. al canto X dell' Inf.): la filosofia gli pareva, siccome ella è, da mollo più che la poesia. Essendo tra i primi stato benemerito della volgare poesia (Purgat. XI, 97), si crede ch'egli dispettasse il Mantovano come poeta cesareo e cantore della divina origine dell'Impero ; a cui prima come Guelfo fu avverso, e poscia fautore qual Ghibellino. Certo chi legge le rime di Guido Cavalcanti vi troverà della leggiadria, nata piuttosto dallo squisito sentimento pro

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prio di chi le scrisse, che non quell' attrattiva bellezza de' versi Danteschi; dove, oltre alla natural vena del poeta, si scorge il magistero finissimo dell' imitazione. Nel qual senso disse veramente l'Alighieri (v. 61)

da me stesso non vegno;

perciocchè Virgilio gli fu di grande aiuto nell' alto lavoro della Divina Commedia.

65. LETTO IL NOME. Altra lezione detto. Alcuni ritengono questa, parendo strano che le parole leggessero,invece ch'esser ha un non so che di forza e di bellezza che lette o proferite. Ma oltre che la locuzione si sente più che spiegar si potesse; certo è che sottilmente considerando la cosa, il vocabolo leggere significa primitivamente raccogliere e scegliere; sicchè quelle parole e il modo della pena del tante note o lettere che componevano Cavalcanti erano pel Poeta come altretgiunte insieme il nome della persona ; per modo che mentre quegli parlava, e trovavasi alla stessa pena con Farinata, era come dicesse: io son Cavalcante dei Cavalcanti. Se dunque la voce detto a molti parrà da preferirsi per la sua chiarezza all'altra, questa, posto ciò che detto abbiamo, non manca di perspicuità, ed ha dippiù maggiore efficacia e bellezza. Onde a ragione A. Cesari scrive al proposito: Che è più di questo, del farsi leggere un nome? Che chi legge non si cava il nome dal suo cervello, o dal suo parergli così; il che dà all'uditore poca certezza; ma le trae dal libro belle e stampate e scrille, cioè ferme e sicure. Simile a questo è quell' altro modo di Dante medesimo, dovecchessia, dove

Non fiere gli occhi suoi lo dolce lome?
Quando s'accorse d' alcuna dimora

Ch'io faceva dinanzi alla risposta,
Supin ricadde, e più non parve fuora.
Ma quell' altro magnanimo, a cui posta
Restato m' era, non mutò aspetto,
Nè mosse collo, nè piegò sua costa.
E se, continuando al primo detto,
S'elli han quell' arte, disse, male appresa,
Ciò mi tormenta più che questo letto.
Ma non cinquanta volte fia raccesa

parlando della bellezza di un Angelo, dice: PAREA BEATO PER ISCRITTO, cioè espressamente; la beatitudine gli appariva stampata nel viso. Bellezze della Div. Comm. Oltre a questo, in gr. si ha λw, dico.

69. LOME, lume. Agevolmente sonosi scambiate le vocali u ed o. Per es. tutte le voci latine terminate in u o us che passarono nella nostra lingua mutarono quella vocale in o, ed infiniti esempi ci sono. Nel mezzo poi della voce è avvenuto lo stesso: da dulcis, vultus, multus ec. noi facemmo dolce, volto, molto ec. Così da lumen, lome, che dagli antichi si disse anche lume; come con molti altri si fece, ritenendosi l' u. Flumen, lux, numen ec., fiume, luce, nume ec. (a) Nessun creda però che il Poeta venisse tratto per forza dalla rima a dir lome invece che lume. Lume infinite altre volte egli usò; ma volendo servare il modo di parlare del Cavalcanti che

(a) Boez. Consol. Filos. volgar. 37: Tu medesimo t'hai in delle peggior cose rinchioso. Rinchioso per rinchiuso. - Jacopo da Lentino: Tanto prende più loco

E non può (il foco) star rinchioso. L'o fu viceversa mutato nell'u. Boez. cit. 16: Lo cui saziamento se tu vorrai rimpiere (riem: piere), quello che vi mettrai (metterai) u non fi molesto, u fi nocevole. Cioè: o non fia... o fia ec.Bonagg. Urbiciani: Chè Amore ha in se verto de:

cioè virtude. — Guitton d'Arezzo:

E s'io di voi disio cosa altra alcona.

per alcun'altra cosa. Ancora:

Nel cui lavoro non credo bastasse
Alcun uomo, nè forse Angelo alcono.
E cosi Soperbia, Notricare ec. che incontra
leggere negli antichi.

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entra in dialogo, Dante credette bene di porgli in bocca alcuna voce ch' ei forse riprovava, ma che Guido aveva usata nella famosa Canzone sulla natura d'A

more:

In quella parte dove sta memora

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Prende suo stato, si formato-come Diafan dal lome, - d'una oscuritade,.. dove sta lome per lume, siccome appresso costome per costume ec. Può ciascuno osservare, che, a rendere più naturali e più distinti i caratteri delle persone, Dante le fa parlare per motti e modi da esse; e talvolta non cura della diversità del linguaggio. Anchise (Parad. XV) parla latino (comecchè in lingua Figia parlar dovesse); in bocca al Mosca (Inf. XXVIII, 107) ponesi la sentenza che accese l'incendio della civile discordia in Firenze; Arnaldo di Provenza (Purgat. XXVI) ragiona in sua favella; e dalla strozza di Plutone e di Nembrotte escono strani gerghi e bisticci d'Inferno e di confusione. In molti luoghi della Divina Commedia tornerebbe assai utile lo stare in sull'avviso per questa parte.

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La faccia della Donna che qui regge,
Che tu saprai quanto quell' arte pesa:
E se tu mai nel dolce mondo regge,
Dimmi: perchè quel popolo è sì empio
Incontr' a' miei in ciascuna sua legge?

80. LA DONNA che regge in Inferno è Proserpina moglie di Plutone, la quale in cielo è detta Luna, ne' boschi Diana. È la Diva triformis degli antichi.

81. PESA, non è lieve. Vuol dire: saprai quanto sia difficil cosa il trovar modo come racquistare la patria perduta.

82. 1° SE particella deprecativa usata spesso per Cost, come l'utinam e più il Sic de' latini. Oraz. Sic le diva potens Cypri ec.

Il Tasso, Gerus. liber. VII:

Se non t'invidi il ciel sì dolce stato ec. V. nota 94.

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2o REGGE per Rieda, torni; 2a del pres. sing. sogg. Questo esempio di Dante credettero nuovo i dotti commentatori e solo. Non videro che attinenza vi potess'essere tra Reggere e Riedere. Il Bianchi (dopo l'Analisi di Vincenzo Nannucci), annota bene questo luogo, istrutto egli da ciò che questo valente filologo aveva detto (Manuale della letteratura del primo secolo della lingua italiana. Fir. Barbera ec. 1858, vol. II, pag. 315 not. 7). Brunetto Latini in un suo racconto Della giustizia di Trajano (dal quale racconto pare che Dante (a) tratto avesse l'episodio della vedovella che domanda vendetta al rom. imp. di quelli che l'ebbero morto il figliuolo) novella così:

Trajano fue imperadore molto giusto, ed essendo uno die salito a cavallo per andare alla battaglia colla cavallaria sua, una femmina venne e preseli l'un piede, e piangendo molto tenera mente domandavalo e richiedevalo che li (le) facesse diritto (giustizia) di coloro che l'aveano morto uno suo figliuolo,

(a) Purg. X:

Quivi era storiata l'alta gloria

Del roman prence ec.

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il quale era giustissimo, sanza cagione. E quegli rispuose e disse: Io ti sodisfarò quando io reddirò. E quella disse: E se tu non riedi? E que' rispuose: E s'io non REGGIO, e' ti sodisfarà il successore mio.

Stor. di Paolo Orosio, Volgariz. per Bono Giamboni, Lib. I, Cap. I: REGGENDo (ritornando) in prima recò in Occidente le reliquie di San Stefano martire ec.

Siccome da Fiedere si venne Feggere (Inf. XV, 39-XVIII, 75, ec.) per Ferire; così da Riedere, Reggere per Tornare; quindi ancora per Siedo, Vedo, Chiedo, Cado ec. s'usano tuttora Seggio, Veggio, Chieggio, Caggio ec. Quanto poi alla desinenza in e al presente singolare del congiuntivo pe' verbi della seconda, veggasi ciò che per noi è annotato, Purg. XXV, 36.

Intendono regge per rieda, torni, a quanto abbiam noi veduto, il Bargigi, che chiosa: Questo è un modo di pregare, come si suol dire: Deh! Dio doni ciò che tuo cuor desía, fammi tal piacere; il Landino, il Venturi, il Daniello, il Volpi, il Bianchi, il Tommaseo. E si lo spiega la Crusca. Al contrario il Vellutello, il P. Lombardi, il Torelli e il Biagioli con qualche altro spongono REGGE per regni, comandi, duri; e le principali ragioni sono: 1o Che il se va seguito dal mai, quando è particella condizionale o dubitativa, non già quando sia deprecativa. Ma lo stesso Biagioli prende per deprecativo il se nel v. 94, e pure va seguito dal mai. Dippiù cotesto mai, che può valer quando che sia, qual forza avrà egli a distruggere la significanza propria della detta particola? In ogni caso la lez. OMAI, ch'è del cod. Cassin. e de' variorum del Witte, chiuderebbe la bocca al Lombardi, e torrebbe

Anche nel Novellino si conta il fatto di Traja- al Biagioli la fatica di compiere i parlari

no quasi istessamente.

ellittici.

2o Regge è troppo distante da

Ond' io a lui: lo strazio e 'l grande scempio,
Che fece l' Arbia colorata in rosso,
Tale orazion fa far nel nostro tempio.
Poi ch' ebbe sospirando il capo scosso:
A ciò non fu' io sol, disse, nè certo
Senza cagion sarei con gli altri mosso;
Ma fu' io sol colà, dove sofferto

Fu per ciascun di torre via Fiorenza,
Colui che la difese a viso aperto.

riedi.-Rispondiamo: basta che da quello derivi, perchè non gli si possa negare la legittimità. Risalendo all' origine della voce, l'una è all'altra tanto vicina, quanto che sono una stessa cosa. 3o La novità del reggere per ritornare, che non ha esempio!-Signor Torelli, Nihil sub sole novum. È anzi troppo antico il vocabolo reggere per riedere, ed ei pare nuovo perchè troppo vetusto. Che poi sia senza esempio è falso, come dimostrano le autorità di sopra addotte. 4o Per soddisfare alla richiesta del Farinata non abbisognava, se non ch'ei (Dante) reggesse, durasse.-No. Bisognava che tornasse. E Farinata gliene faceva assai buon augurio, considerando che lo scendere in Inferno era ben più facil cosa, che il risalirne.

86. COLORATO IN ROSSO. Lucano, volgarizz. dal Giamb.: Eniples (Enipeus) il fiume di Tessaglia; sarà oggi colorato e tinto del loro sangue. Il testo: Sanguine romano quam turbidus ibit Enipeus! Il Guinicelli:

Viso di neve colorato in grana.
E, dopo Guido, Fra Guittone:
E che in viso di grana ave colore.
Grana, rosso.

87. TEMPIO fu luogo delle adunanze popolari, innanzi che si edificasse il pubblico palagio. Orazione per rescritto, decreto, legge ec. vocabolo messo dal P. in corrispondenza dell' altro ch'è tempio; ed anche ironicamente, a significare quanto mal si convenisse in luogo santo dare sfogo alle ire civili,ed ordinare lo sterminio e la dispersione de' propri fratelli.

91. Ricordano Malespini: E nel detto parlamento tutte le città vicine e i conti Guidi e i conti Alberti e quelli di

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Santa Fiore e gli Ubaldini proposono e furono in concordia, per lo meglio di parte ghibellina, di disfare la città di Fiorenza, e di recarla a borgora, acciocchè di suo stato non fosse fama nè potere. Alla quale proposta si levò il savio cavalier messer Farinata degli Uberti, e la sua diceria propose gli antichi due grossi proverbi che dicono: CoME ASINO SAPE, COSÌ MINUZZA RAPE: E VASSI CAPRA Zoppa, se luPO NON LA INTOPPA. E questi due proverbi investi in uno dicendo: COME ASINO SAPE, SI VA CAPRA ZOPPA; Così minuzza RAPE, SE IL LUPO NON LA INTOPPA: recando poi con varie parole l'esempio sopra il grosso proverbio, com' era follia di ciò parlare, e come grande pericolo e danno ne poleva avvenire; e se altri ch' egli non fosse, mentre che avesse vita, colla spada in mano la difenderebbe. Veggendo ciò il conte Giordano, considerando

l'uomo e la sua autorità, ch'era messer Farinata, e il suo grande seguito, si rimasono dal delto parlare e intesono ad altro. E così per lo valentre cilladino scampò la nostra città di tanta furia.

93. COLUI CHE la difesi à viso aperTo. Altra lez, che la difese.

Difendere a viso aperto importa due cose degne d'essere osservate. La prima è una significanza di non dubbia, non coperta, ma franca e leale protezione, e di forte amore che si ha per cui si prendon le difese; la seconda è quel vivo sentimento di rettitudine e quell' avversione che si porta all'ingiustizia e agli atti della ferocia ; onde l' uomo toglie a difendere il giusto e l'onesto, non pur curando della sua vita. Pare la metaforica locuzione esser presa da' cavalieri di ven

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