Così disse 'l Maestro; ed egli stessi Mi volse, e non si tenne alle mie mani, Che con le sue ancor non mi chiudessi. Mirate la dottrina che s'asconde 60 Ciascuno l'ama in tutto suo coraggio, presente dello stesso Modo; le quali in tutte le coniugazioni, non pur nella priQuesto niente ec. è un sustantivo co ma, cadevano anticamente in i. Dalle me il Nulla ec. di Dante; e vale, senza terze singolari si formano le rispettive nessun supplemento: sarebbe vano, inu- prime persone plurali; onde da amassi, tile; cioè, l'uno di loro non potrebbe a temessi, udissi ne vennero amassi-mo, vanzar l'altro nell'amarla. temessi-mo, udissi-mo; e si ritien lultaI latini aveano familiare la frase Non via nella regolare formazione de' tempi est, Nihil est quod ec. del verbo, l'antica inflessione dall'uso Virg. Ecl. III, 48: omai rigettata. Dante non si è dunque Si ad vitulam spectes, NIHIL EST QUOD pocula punto appartato dalle forme della lingua (laudes. che vigevano ai suoi dì e tanto ancor pri58. Egli stessi per egli stesso. Trama; ně gli fece forza la rima ad usar cogl' infiniti esempi di nomi ed aggettivi desta uscita. Purgat. XXIV, 136: mascolini finiti in i al numero del meno, Drizzai la testa per veder chi fossi. va annoverato slesso. Così gli antichi dis- Inf. IV, 64: sero fumi, falli, pensieri, scudieri, al- Non lasciavam l'andar, perch'ei dicessi ec. ti, guadi, terreni, altri ec. per fumo, Il Petrarca conformemente: fallo, pensiero, scudiero, allo, guado, Rispose, e 'n vista parve s'accendessi terreno, allro ec., cercando ridurre i Non credo già che Amore in Cipro avessi nomi ora alla desinenza in i, ad imitazio 0 in altra riva sì soavi nidi. ne de’nomi latini della terza, aventi is al Il Pulci nel Morg. C. X, 8: nominativo ed i all'ablativo; ora a quel Non sapea Carlo in qual mondo si fossi la in e o in o. E questa è la ragione, on E C. XXVI, 88: de restano ancora nella nostra lingua dei Che parve proprio un baleno sparissi E che la terra d'intorno s'aprissi. nomi, che hanno indifferentemente una delle tre vocali in fine: come, mestiere, cap. XXXVI: Se Cola di Rienzo lo tri In prosa; nella Vit. di Cola di Rienzo mestieri, mesliero ec. Quando pari, allri, leggieri ec. son buno uvessi sequitata la soa villoria e avessi cavaicato a Marini, prennea lo consentiti dall'uso, non recherà maravi castiello de Marini. glia che Dante abbia adoperato stessi in luogo di stesso, infiniti altri nomi aven Dopo queste ragioni ed esempi arredo la stessa terminazione al singolare. 11 cati, senza i molli che si trovano e in Dialetto calabrese proferisce con l'i fina- prosa, e in verso eziandio fuor di rima, le molti nomi:come jùdici,impertinenti, strutti a cui da valenti uomini si stirac giudicheremo come storpiature que' copotenti, perdenti, denti ec. per jùdice chiano i versi allegati in ossequio della impertinente, polente, perdente, dente ec.e quasi tutti quelli che devono re grammatica moderna, la quale rifiuta la golarmente terminarsi in e. Eziandio pro- ce, il Castelvetro ec. l’ebbero inconside predetta terminazione. Il Manni, il Dolnunziano in i tutti gl’indefiniti come ralamente creduta erronea ; quando il amari, poteri, senliri ec. invece di ama. Pulci, non molto antico, più volte ne fa re, potere ec, V. nota 60. tesoro per entro il suo Morgante. I dia60. Questa terminazione in i per la letli, massime il Calabrese e il Siciliano, terza persona sing. dell' imperfetto con- mantengono ancor viva la detta inflessiogiuntivo non è più arbitraria che quella ne, e vuol tenersene conto per quel che di tutte a tre le persone del sing. nel risguarda la Filologia. V. not. al v. 58. 63. VERSI STRANI, non perchè miste- ma strani questi versi, cioè estranei e riosi o lontani dalla volgare intelligen- non convenienti ad un poema sacro (Paza, come vuole il Bianchi; non essendo rad. XXV, 1); dove le fole del mito genin essi piente di misterioso, fuorchè quel- tilesco non avrebber suo luogo proprio, lo che v' hanno intravveduto i comenta- e nè vel possono avere, se non in quantori; nè sendo dall'intelligenza del volgo to all'utilità morale, ch' esse racchiudopiù lontani questi, che moltissimi aliri no. Il Poeta dunque volto ai suoi lettori, versi in tutte a tre le Cantiche della Di- che han sano intellelto, cioè non guavina Commedia, i quali pure non direb- sto e corrotto dalle false dottrine del pabonsi strani. Il Venturi li dice strani, ganesimo; gli esorta a non guardar bucperchè in disusata maniera mirabili cia buccia le parole; ma penetrarne l'alsentenze ascondono; ma noi non veggia- to senso, che s'asconde sotto il lor vemo qual fosse codesta disusuta maniera lame: levato il quale, la dottrina non sasia nella locuzione, sia nell ' uso troppo rà difforme, nè fuori la morale rettitudiantico e volgare di chiudere in favole ne, a cui mira la Divina Commedia. Dandegli utili ammaestramenti. Il Volpi no- te qui si volge ai suoi lettori, come il ta solo che degli versi sta detto per dei Tasso alla celeste sua Musa, dicendole : versi; e non avverte, o troppo avverten e tu perdona dola se ne passa della loro stranezza. Il Se intesso fregi al ver se adorno in parte Lombardi prende versi strani per istra D'altri diletti che de'tuoi le carte. ni avvenimenti,e vi scorge una metoni- essendo le favole e gli episodi ornamenmia del continente pel contenuto; della to necessario alla epopea. Vedi not. v. 98. quale, salvo il rispetto a tant'uomo, a noi 64 seg. L'avvenimento de’numi anche non pare cosa più strana al presente luo- nell'antichità gentilesca, andava precego. Il Tommaseo salta a piè pari questa duto da segni straordinari. Dante pare frase, pur non indegna d'una sua illustra- volgesse in mente, scrivendo questi verzione. Il medesimo fanno i chiosatori del si, quel luogo (Atti degli Apost. Cap. II, Cod. Cassinese. Quasi tutti gli altri s'ac- 2 ec.) della Bibbia, dove dello Spirito costano qual più qual meno alla sposi- Santo, che discende agli Apostoli, legzione del Bargigi ch'è la seguente: Stra- gesi: Et factus est repente de coelo soni dic' essere i sopradelli versi, peroc- nus, tanquam advenientis spiritus vehechè parendo quanto a testual significa- mentis ec. to recitar favole, pure importano sentenza morale e frutluosa molto diversa 65 segg. Esempio tolto da G. B. Nicdalla propria significazione delle paro- colini (a) per dichiarare che Dante: Sep ( le. Ma, con buona pace dell'antico e pre le quelle accessorie, che sono le più ri pe addensare intorno all'idea principagevolissimo comentatore, strano, se così fosse, anzi stranissimo, dir si dovreb- levanti e le più compalibili colla sua be tutt'intero il Poema Dantesco; perchè, natura per similitudine di qualità, per polisenso, altro dice per lettera, altro per coesistenza di luogo, per immediata sucfigura ; e l'invenzione poetica l'è una cessione di tempo (Vedi v. 70 not.). favola per sè stessa, nè men che le altre feconda di preziose moralità. (a) Della universalità e nazionalità della Di. vina Commedia. Lezione detta nell'Accademia Dante, quanto ne par di vedere, chia- della Crusca li 14 settembre 1830. 70 75 Li rami schianta, abbatte, e porta fori ; Dinanzi polveroso va superbo ; E fa fuggir le fiere e gli pastori. Del viso su per quella schiuma antica Per indi, ove quel fummo è più acerbo. Biscia per l'acqua si dileguan tutte, Fin ch' alla terra ciascuna s' abbica; Fuggir così dinanzi ad un, ch'al passo 80 70. L'aria di questo verso ha qualche becchiano ha: abbalte fronde e fiori. Ma simiglianza al tenore di quello: sull'autorità di molti preziosi codici,qua Poi taglia, stronca, mozza, rompi e batti li son quelli del Tempiano, del Bartolich'è in un sonetto di Pucciarello da Fio- niano, del Bouturliniano che fu de' Marenza (1260); e di quegli altri di Paolo lespina ospiti di Dante, di tutt' i PucciaAquilano: ni, di dodici Riccardiani, di quelli presi Trai fuor le scritte, ond'hai ripieno il seno E metti e trita e cogli e ronca e strappa. ad esamina dal Cesari, del Cassinese, del i quali versi, letti dal nostro Poeta, furono celebre edizione del 1491 ec. G.B.Nicco Dante Antinori, della Nidobeatina, e della da lui tenuti a mente. M’ induco a credere che Dante abbia ragioni del Lombardi aggiunse le sue, lini ama meglio leggere porta fori;e alle usato Schiantare in sentimento di Stroncare, Separare o dividere per forza dal che per brevità trasandiamo. Pure porla i care, Separare o dividere per forza dal fiori è lettera anteposta all'altra dal Pogtronco o dalla pianta; parendomi averlo, giali, dal Biagioli, dal Costa, dallo Stroccomecchè figuratamete, in tale accezio- chi, dal Rossetti, dal Borghi ec.; e conne adoperato Fra Jacopone da Todi: fermata da edizioni e codici di conto. Di fuggir con paura La femmina gli piace Non nostrum... tantas componere lites; E per aver più pace, ma ci paiono a proposito tant' oro le paQuantunque sia pur santa role di Marcantonio Parenti: A chi ha Da lei si fugge e schianta. È notevole la progressione: Schianta, veduto nelle montagne e nelle cosle maabbatte, porta fuori. Vedi v. 65. 11 Bar: rillime i rami e gli alberi non solo gigi legge con alcuni altri porla i fiori. schiantati e svelli, ma scagliati per for i za dal turbine a gran distanza dalla questa lettera: Altri, dic'egli, legge porta fuori foresta, siffatla immagine della descriperchè poco gli paiono i fiori dopo ira- zione dantesca si presenterà ben più mi: ma i rami il vento schianta; i fiori de' fiori portati dal vento. vera ed espressiva, che la piccola idea porta. La polvere è meno de' fiori; pur viene poi. Ma,fosse pur questa la vera le- 80. AL PASSO... ol luogo più prossizione, dovrà concedere l'illustre Tomma- mo; al guado; dove si passa più sicuseo che tal non sarebbe perchè un vento ro; ovvero per la stessa via che i due impetuoso non potesse pur leggermente poeli passarono per nave, e dove allri portar dovechessia li rami schiantati, non- sogliono traghellare nella navicella, chè dei fiori. Il Zacheroni da questi fiori Barg. AL PASSO, dice il Lombardi, vuole inferire che il P. accenni i venti di col proprio passo, a differenza di Dante primavera soliti esser furibondi. Altri vo- e Virgilio che valcarono Stige nel legno glion che nella selva non sien fiori, altri di Flegias. Al per col v. il Cinonio. Ma che non vi manchino. Il codice Maglia- noi crediamo che passo qui voglia dire 85 Dal volto rimovea quell' aer grasso, Menando la sinistra innanzi spesso ; E sol di quell'angoscia parea lasso. E volsimi al Maestro; e quei fe segno Ch' io stessi cheto, ed inchinassi ad esso. Giunse alla porta, e con una verghetta L'aperse, che non v' ebbe alcun ritegno. Cominciò egli in su l'orribil soglia, Ond' esta oltracotanza in voi s'alletta ? A cui non puote 'l fin mai esser mozzo, E che più volte v' ha cresciuta doglia ? Cerbero vostro, se ben vi ricorda, 90 95 passaggio, siccome là, dove il Poeta mutabile scritta in diamantini caratteri (Inf. VIII, 104 seg.) dice: nell'eterno libro. Ciò che Dio vuole nulNon temer, chè il nostro passo la può impedire che non si faccia: Non ci può torre alcun: da tal n'è dato: A cui non puote il fin mai esser mozzo (V. 95) e passaggio per il passare o pel varco. Questo fine era per riguardo ad Enea, 82. Grasso, crasso. Virg. Georg. che visitasse l'Inferno e udisse per bocCrassis paludibus. Tommaseo. ca d'Anchise ec. quanto non doveva igno 93. Ser Brun. Latini chiama cotesta rare colui, che: tracotanza od oltracotanza di Lucifero fu dell'alma Roma e del suo impero e suoi seguaci sorcodanza: Nell'empireo ciel per padre eletto ec.: Ma la sua pensagione (pensiero) per riguardo poi a Dante; che viaggiando Li venne si falluta, egli per l'Inferno, Purgatorio e Paradiso Che fu tutta abbattuta abborrisse la colpa, si purificasse nelle virSua folle sorcodanza. Dove Vinc. Nannucci annota: «Sorco- tantino delle celesti gioie; sicchè tornan tù ed oltenesse grazia di pregustare un danza è lo stesso che sopracogitanza, do rinnovellato sulla terra, si riformasse da sor, sopra, e cuidanza o coitanza dal lat. cogitantia. Così da cogitare, nerazione in generazione la giustizia del l'umanità corrotta, in udir narrare di gecoitare. Il provenz, cuidanza e cuidar. la Monarchia di Dio. I Romani rustici dissero anche oltrecuidanza ». Oltracotanza o tracotanza è 98 seg. Dacche Ercole, mandato da dunque, non tanto, come chiosa il Bar- Euristeo, afferrò, pose in catena il dimogigi, stravaganza (Inf. VIII, 124); quan- nio trifauce, e lo trasse fuori le porte into orgoglio, pensiero d' elevazione e di fernali alla cui guardia vegliava; e Teseo vana e superba alterezza. Merita esser con Piritoo attentarono di rapire e menar lelto quello, che il Nannucci scrisse sul- seco Proserpina reina di Dite e moglie di la parola Coro. Plutone. 95. Qual fosse questo fine in partico Caronte fu condannato a stare in ceplare per Dante, veggasi nella nota al v.97. pi per un anno, poichè traghelld nella 97. CHE GIOVA NELLE FATA ec. Che gio- Dante s'intese dir da lui: sua barca gli arditi eroi; ed ecco perchè va opporsi al decreto di Dio? Falum da E tu che sei costi, anima viva,. Fari, parlare: è la parola dell'ente im- Partiti da cotesti che son morti ec. Ne porta ancor pelato il mento e 'l gozzo. Caronte stesso appo Virgilio così alla chi ed altri ritengono che il molosso delSibilla (En. VI, 391): l'Orco porli pelato il mento e il gozzo, Nec vero Alciden me sum laetatus euntem da quando Teseo ne lo trasse. Questa Accepisse lacu, nec Thesea Pirithoumque, Vis quamquam geniti (a), atque invicti viribus interpretazione ricevuta dal più de' mo (essent. derni e tenuta come la vera da tutti gli Tartareum ille manu custodem in vincla petivit antichi, è quella che a noi più arride per Ipsius a solio regis, traxitque trementem: Hi dominam Ditis thalamo deducere adorti. le seguenti ragioni, Il Lombardi chiama intollerabile as 1° Non meno isconvenivasi a un angesurdità, che un Messo celeste rinfacci ai lo discender dal cielo in un inferno di demoni come fatto storico la favola di poetica architettura, e passare la palude Cerbero, il quale da Ercole vepne fuori Stigia menando innanzi, come rosta, le dell'Erebo tratto in catena. E siccome mani, ed angosciandosi per rimuover da nel canto precedente si accenna la disce sè l'aere grosso (81-84); solo a disserrasa di Cristo all'Inferno (VIII, 124 segg.), re una porta a due Poeti, che fanno un crede piuttosto: che fosse Cerbero in ta viaggio immaginario. – L'Angelo è male occasione stretto con catene al collo china che si muove e parla a senno del e con musoliera, tal che non potesse Poeta; il quale può fingere come realtà avventarsi e neppure abbaiare; e che quel, che le Favole gli prestano come fremendo esso e dibattendosi in colali verosimile. Se paresse nuova cosa il ristretture si dipelasse il mento e il goz- sarebb'egli meno strana quella d'istallastretture si dipelasse il mento e il goz- produrre sulla scena il Cerbero del mito; zo, e che finalmente, come in perpetua memoria di quel fallo, la porta dell' In- re in Inferno un foro penale, dove segga ferno SENZA SERRAME ANCOR SI TROVA, Giudice un Minosse; e far che questi dia, così anche Cerbero NE PORTI ANCOR PE per circonvoluzione della lunghissima LATO IL MENTO E IL GOzzo. Soggiugne Giustizia ? Cotesto Giudice mostruosa coda, le sentenze già date dalla divina che: A questo modo sarà un abbellimento poetico accresciuto ad un fatto mente caudato, se si volesse troppo sotstorico; ove a quell'altro modo, dagl'In- tilizzare, diremmo offendere la Maestà di terpreti inteso, sarebbe una favola sup Dio assai più, che non il favoloso Cerbeposta istoria. Al Portirelli e molti altri ro quel Messo celeste. Sta però che copiacque tal esposizione; non al Poggiali testa favola, in virtù della sintesi imma ; ed agli editori posteriori del comento ginativa poetica, dee prendersi come un Lombardiano; i quali mal vedono dal vero, da chi tien dietro al Poeta nella Trionfator d'Abisso incatenato e trasci sua narrazione. Dante realizza il mito annato il Cane tarlareo; ed osservano che, lico, e lo acconcia al suo disegno: l'elesignificando Cerbero, nel valor della vo mento mitologico diventa qual fosse stoce, Divorator di carne, potrebbe inten- rico in quell' istante. Se noi volessimo dersi in esso personificalo il Diavolo. E notare la disparità de' due tempi, e secosì, dicono, senza ricorrere alla favo- gnar con la sesta un confine ai voli della la, che in tal luogo non par che si ac fantasia; tutto cadrebbe, da cima a foncordi co’ soggetti e colle circoslanze, della Divina Commedia. Fate astrazione do disfatto in cenere, il superbo edifizio potrà intendersi SOTTO IL VELAME DEGLI VERSI STRANI, lo Spirito Infernale nella della lunghezza del tempo che divide discesa di Cristo, che graffiossi per rab-Enea da Didone; e Virgilio vi fa prender bia ed oltraggiossi il volio in più guise, parte ai vivi affetti di due amanti che mai non potendo dar di cozzo nella Divini non furono: state ai freddi computi della tà. Il Biagioli non vide necessario che cronologia; e, per un anacronismo di meCristo meitesse a Cerbero la musoliera no, sparirà il più sublime episodio del del P. Lombardi. Il Tommaseo, il Bian- poema Virgiliano. Il bello poetico è crea zione del Genio, che vola signoreggian(a) Teseo figlio di Nettuno, Ercole e Piritoo do su' campi indefinibili del tempo e figli di Giove. dello spazio. La stessa facoltà del quid e |