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Risposemi: Non uomo; uomo già fui,
E li parenti miei furon Lombardi,
E Mantovani per patria amendui.
Nacqui sub Julio, ancor che fosse tardi,

il Poeta quando si fa dire da Minosse:
Guarda com'entri e di cui tu ti fide.
Fidi dicevansi specialmente i messi ;
V. Inf. II, v. 107, e tale il mantovano fu
fatto per Beatrice. Primo il Torricelli, no-
stro, che fu, dolcissimo amico (a) chiari
questo luogo: noi siamo contenti averne
addotta alcuna pruova. Considerando ol-
tracciò che Virgilio per voler divino era
prestabilito a duce del Poeta, non è stra-
no pensare che certo potesse significare
(uomo) preordinato, stabilito a soccorrere
a Dante che periva (b). In simil sentimen-
to a un di presso, Orazio (Carmen sae-
cul.) disse:

Certus undenos decies per annos
Orbis.

per dinotare un periodo fisso o determi-
nato di cento dieci anni, alla fine dei
quali ricorrevano i ludi secolari. Non può
negarsi che Dante mettendo uomo certo
in opposizione con ombra, non abbia vo-
luto significare un uomo che fosse for-
ma d'ossa e di polpe, o, come noi direm-
mo, in carne ed ossa; ma sotto la lettera
v'è benanche l'allegoria. La lingua non
nega alla voce la significazione da noi
notata: Fra Jacopone disse:

L'acqua non si può figere Dallo certo condutto. ove certo condutto vale acquidoccio provveduto al tale scopo.

67. Ser Brun. Tesoro volg. da Bono Giamboni, Lib. I, cap. XIV; L'anima è vita dell'uomo, e Dio è vita dell'anima. L'anima dell'uomo non è niente uomo; ma 'l suo corpo che fu fatto di terra umida, è solamente uomo. L'anima si abita dentro del corpo, e per questo congiungimento della carne è ella appellata uomo ec... Dante fa parlare Virgilio secondo quel che avea potuto ap

(a) Passò di questa vita qui in Napoli addi 23 marzo 1867 a cagione d'ipertrofia eccentrica del cuore che gli produsse edema degli arti ed affanni, ch'egli portò rassegnato, per circa un anno, fra le diuturne strettezze d'una vita onesta quanto indigente.

(b) Purgat. VII, 24: Dice Virgilio:

Virtù del ciel mi mosse, e con lei vegno.

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parare da Messer Brunetto; le cui parole fanno qui il più pieno comento.

70. In questo e nel seguente verso dice il Poeta latino: Nacqui (in Mantova) Sotto Giulio Cesare e vissi a Roma sotto Augusto. Julio infatti, secondo che si computa, aveva già 30 anni quando nacque Virgilio, e questi ben 25 quando quegli fu creato Dittatore perpetuo. Si può dunque ragionevolmente dire ch'ei vivesse sotto Augusto; non, ch'egli fosse nato sotto Giulio; poichè questi non era ancor Dittatore, nè imperatore.

Intanto Dante gliel fa dire, e i comentatori non trovano il bandolo per dipanar la matassa. Ai diligenti lettori sottoporremo le nostre osservazioni. — Indipendentemente da' trionfi e dalla Dittatura di Cesare, potè Virgilio ben fissare gli anni 56 che fu tutta la vita di Giulio, come periodo di tempo, entro cui la sua nascita avvenne. Egli non vuol nominarsi a Dante, ma gli si rivela per via di perifrasi; al che basta toccare del luogo, del tempo, del modo e d'altri accidenti della sua persona, non così per sottile come preteso avrebbero i comentatori. Pruova ne sia, che chiunque udissene le parole, intenderebbe lui esser Virgilio e non altri. Avvegnacchè Cesare non avesse ancora menato trionfo per le sue grandi imprese quando il gran Marone ci nacque; ma gli ultimi anni gloriosi de' sommi uomini si rattaccano a quelli della fanciullezza, anzi della cuna, dove bambini diedero essi i primi vagiti. Gl' imperanti non ammettono interruzione tra l'origine e la fine della loro progenic. Così questo Napoleone, che oggi siede al governo di Francia, si noma terzo dal primo, che non ebbe secondo, fuori che ne' dritti della dinastia. Se questo alto ingegno non sorgeva, nè il secondo nè il terzo stato sarebbe. Non altramente, può dirsi che, se Ottaviano non fosse salito sul soglio imperiale, Cesare si sarebbe nominato tutto al più come si nominano Cicerone, Pompeo, Catone ec.:

E vissi a Roma, sotto 'l buono Augusto,
Al tempo degli Dei falsi e bugiardi.
Poeta fui, e cantai di quel giusto

ma una volta che l'imperio di Roma si è
solennemente inauspicato sotto lo scettro
di Augusto; da questo momento si tiene
legittimo imperatore anche Giulio, che
primo innalzò il trono de' Cesari. Onde
crediamo che bene abbia Virgilio potuto
dire Nacqui sub Julio, qualunque obie-
zione si muova contro.

A questa nostra interpretazione che ne pare semplicissima, posporremo le due altre che un istante ci son passate per la mente. Sospettammo che Sub Julio si dicesse qui come suol dirsi sotto Marte, sotto Venere ec., cioè sotto gl' influssi della tale o fal'altra costellazione. Giulio potè riguardarsi qual'astro meno luminoso negli anni primi, sfolgorante di luce. agli estremi, quando non vivo fu divo levato al cielo. (Ecl. V.). Deus Deus ille, Menalca... Sub pedibusque videt nubes et sidera Daphnis... Daphin ad astra feremus, ec. Così Virgilio stesso (Georg. I) dà la scelta ad Augusto, se voglia tra la Vergine e lo Scorpione (che per rispetto contrae le sue chele) allogarsi e scintillare di nuova luce, 13a tra le dodici costellazioni dello zodiaco, ec. Anne novum tardis sidus te mensibus addas, Qua locus Erigonem inter Chelasque sequentes Panditur:ipse tibi jam brachia contrahit ardens Scorpius, et coeli justa plus parle reliquit.

Che anzi di tutti i Giuli canta nell' Eneida (VI, 790):

Hic Caesar, et omnis Juli Progenies, magnum coeli ventura sub axem.

Se poi, da ultimo, si prendesse il sub in sentimento di dopo, come talvolta usò prendersi appo i latini; Virgilio allora vorrebbe dire: Io nacqui dopo Giulio Cesare, ma non dopo qualche mese o qualche anno; sibbene TARDI, cioè 30 anni dappoi. In tal caso la frase: benchè fosse tardi rettificherebbe il significato rigoroso della particella dopo.

Ma a noi siede più nell' animo la prima interpretazione; epperò intendiamo le parole: benchè fosse tardi in altro modo. Anzi tutto crediamo paragonare questa ellittica locuzione con quell'altra:

Tanto m'aggrada il tuo comandamento,
Che l'ubbidir, se già fosse, m'è tardi

per rilevare soltanto la forza di quel fos-
se. Qui è come se si dicesse: se già in
alto io lo ubbidissi; lì: benchè io na-
scessi tardi. Tardi rispetto ai primi anni
di Cesare. Egli avrebbe adunque voluto
nascere ben prima. Or davvero quanto
meglio, se nato fosse più per tempo! Il
suo genio poetico non impastoiavano le
genealogie de' Cesari, a cui si ordina lo
splendido racconto della guerra Trojana
e de'fatti d'Enea. Non gli avrebbe arriso
tardi la libertà, che si meritò poi per au-
lica piacenteria; ma, nascendo 30 anni
prima, sarebbe spirato con gli ultimi a-
neliti della libertà. Dante fa che Catone,
di questa parlando, dica:

Libertà vo cercando ch'è si cara,
Come sa chi per lei vita rifiuta.

Perchè non credere che Virgilio morto s'induca a parlar con lo spirito di Dante vivo? Erano ancora, quasi palpitanti le memorie d'una Repubblica gloriosa quanto infelice; e forse dispiaceva a Virgilio l'essersi oscuro quando Cicerone tuonava da' Rostri, il popolo creava i maestrati, echeggiava in Senato la franca parola di Catone, e i Padri Coscritti non erano un'accozzaglia di vili adulatori d'un Principe fortunato. La ricca sua vena fondeva non più gentili, ma più preziosi carmi sotto l'afflato divino d'una Musa non cortigiana; e da sommo poeta avrebb' egli assistito alle quistioni vitali della sua patria, innanzi agl'idi di Marzo e al Triumvirato che divenne fatale alla libertà di Roma.

Alla frase: Ancor che fosse tardi, crediamo non affatto estranei que' versi dell'Ecloga I:

Libertas, quae sera tamen respexit inertem
Candidior postquam tondenti barba cadebat;
Respexit tamen et longo post tempore venit.

Essendo Dante usato di far parlare con modi lor propri le persone ch' egl' introduce nella Divina Commedia, carpì la locuzione Virgiliana; tutto che il Titiro non abbia verun' attinenza col concello

compreso nel verso che annotiamo.
73. Virgilio, En. I, 544:

Rex erat Eneas nobis, quo justior alter
Nec pietate fuit, nec bello major et armis.

Figliuol d'Anchise, che venne da Troia,
Poichè 'l superbo Ilion fu combusto.
Ma tu perchè ritorni a tanta noia ?

Perchè non sali il dilettoso monte,
Ch'è principio e cagion di tutta gioia?
Oh! se tu quel Virgilio, e quella fonte,
Che spande di parlar sì largo fiume?
Risposi lui con vergognosa fronte.

75. Superbo Ilion, Virg. En. III, 2... ceciditque superbum Ilium, et omnis humo fumat neptunia Troja. Superbo per nobile, magnifico ec. Dante, così come Virgilio, chiamò « superba quella città capitale volendo, come dice il Gherardini, accennar collettivamente con tale epiteto l'orgoglio che a lei veniva dalla fortezza delle sue mura e delle sue torri, dalla sontuosità de' suoi edifizi, dalle tante sue ricchezze, dalla memoria delle gloriose geste de' Trojani, dal valore de' suoi abitanti, dall'antica nobiltà de' suoi Re ». Mille esempi di superbo pigliato nel buon senso ch'è detto, addotti da lui. (Tav. di pret. gallic. ec.con not.di Emm. Rocco Nap.1852, pag. 184). Più propriamente per superbo Ilion vuol

si intendere la rocca difesa dieci anni valorosamente. Il poeta latino v'aggiunge però neptunia Troja, per significare la città troiana divina opera di Nettuno; il poeta italiano se ne passa, e con una sineddoche della parte pel tutto dice in un motto un mondo.

76. Qui appunto avrebbe dovuto rispondere il Poeta:

Vedi la bestia per la qual mi volsi ec. ma un contrasto di affetti avendo preso luogo nell'animo suo, la paura delle tre belve da un lato, e la maraviglia dall'altro; la risposta non si rende prima, che disfogato non fosse de' due il più potente, quello cioè, natogli dal vedersi davanti il poeta più grande della latinità; laonde dice:

Oh se'tu quel Virgilio e quella fonte ec. Con che, mentre il favellare si fa secondo l'impulso delle proprie passioni, non si dipartendo dalla natura dell'anima umana, che pensa e ragiona sotto la prepotenza delle proprie affezioni; d'altra parte il Poeta coglie, con ammirevole magistero, il destro di conciliarsi la be

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nevoglienza di Virgilio, che ode farsi di sè e delle opere sue le lodi più lusinghiere. Questo luogo di Dante è modello d'arte oratoria, che la scienza estetica dee riconoscere compito in tutte le sue parti. Ci sorprende, tra tanti pregevoli comentatori moderni ed antichi, non pur uno esserci stato che v'abbia posto cura.

81. Lui per a lui. Gli antichi, non si essendo ancora addati delle radicali differenze che distinguevano la volgare nostra favella dalla latina, osarono, a scapito della chiarezza, lasciare innanzi ai nomi e pronomi di porre que' segnacasi, che in italiano fanno le veci delle desinenze che hanno i nomi latini. Framm. stor. rom. Lib. I, Cap. X: «Feliciano habe (ebbe) una figlia, nome Elisabetta ». Per nome o Di nome; alla lat. Nomine Elisabeth.

Il Petrarca (e generalmente antichi e moderni) usò Cui per a Cui:

Voi, cui fortuna ha posto in mano il freno ec.
I lat.:

Cui dono lepidum novum libellum ec. Catull.

Al genit. d'ambi i numeri Cui messo tra l'articolo e il sustantivo senza di. Fra Guitt.: E prelato la cui operazione ec.

Lo stesso dicasi del pron. altrui che nel secondo e terzo caso si adopera benissimo senza i vicecasi di ed a.

Chiaro Davanz.:

Non più villano a se ch'è suto altrui. cioè ad altrui ec. ec.

Fra Guitt.:

Non ha giammai savor non bono a bono
Ni (nè) fore (sarebbe) suo savor proprio e bon lui.

cioè a lui.

Il Pulci Morg. C. I, 23:

Quando ci venni al principio abitare
Queste montagne, benchè sieno oscure.
Abitare, per ad abitare.
Guido Guinicelli:

Cui bassa orgoglio, e cui dona salute.

O degli altri poeti onore e lume,

Vagliami'l lungo studio e 'l grande amore, Che m'han fatto cercar lo tuo volume.

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Pannuccio del Bagno:

(aggrati.

Che'l meo sacciuto voi fero dolore. sacciuto voi; cioè: saputo da voi! Il Nannucci vi sottintende il segnacaso dell' ablativo. Comunque sia, non è strano che, simigliantemente agli altri esempi su allegati, vi si sottintenda a segnacaso dativo; e ciò al modo de' latini e più de' Greci, i quali in luogo dell'ablativo usavano (spesso quelli, questi sempre) il dativo: siccome Virgilio: Despectus tibi ec. ec. Disprezzato da te.

Il Poeta (Parad. XXIX, 124): « Di questo ingrassa il porco Sant' Antonio >> non volendo che onorasse di sì bel titolo quel santo eremita, è da intendere che vi abbia soppresso il segnacaso di; significando pel porco di Sant' Antonio il diavolo, che gli appariva, come dicono le leggende, sotto quelle sozze sembianze, ovvero, come altri vuole, i frati degeneri di quell'ordine. Purg. VII, 37 e 38... alcuno indizio Dà noi... cioè a noi... E Purg. XXXI, 136: Per grazia fa noi grazia ec.: cioè a noi.

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Purg. XV, 103:

Risponder Lei con viso temperato cioè, a lei. E veggasi anche Inf. XIV, 71. Purg. XXVI:

Di grido in grido pur lui dando pregio.
Pacini Angiolieri (1250) :
Quando faceste dono

Me (a me) di vostra amistade

Diceste: temo non dispiaccia a Dio. Notiamo un esempio di Guitton d'Arezzo, dove al pronome Lei è soppresso il segnacaso ablativo :

Nè mi dispiace forte ognor penare

Per lei lontano stare

Solo che tegna me suo fino amante.

Per lei lontano stare, Per da lei lontano stare, o Per istar lontano da lei. Il Tasso G. Lib. VII, 92:

Ma l'aiuto invisibile vicino

Non mancò lui di quel superno Messo. Son modi ellittici oggidì in uso: Risposi lui o lei, o gli, le risposi; Per la Dio grazia o mercè ec. E tutti quasi con la nostra li redarono le lingue sorelle dalla madre latina.

Dopo que'primi secoli della nostra lingua, tranne alcuni casi di pronomi, si è veduto che grande confusione s' induceva ne' costrutti per il risparmio de' segnacasi, i quali per noi sono indispensabili; non essendo il Volgare fornito di desinenze varie per ragion de' casi, come il latino ed il greco ec.

Lo stesso anche in prosa. Guitt. Lett, a Fr. Alamanno: «Lo spirito s'allegra e gaude e grazia rende lui (a lui, cioè a Dio)».

Lett. a'Fiorentini: « Non ardite ora di tenere leone, che voi (a voi) già non pertene; e se'l tenete, scorciate ovver cavate lui (a lui) coda e oreglie ec. ».

E appresso: « E moneta con angostia non poco costa voi (a voi) a conquistare la vostra infermitade ec. ».

Id. Lett. XXIV: « E che necessario è voi (a voi) faite voglioso »>.

Tu se' lo mio maestro, e 'l mio autore:
Te se' solo colui, da cui io tolsi
Lo bello stile, che m' ha fatto onore.
Vedi la bestia, per cui io mi volsi:
Aiutami da lei, famoso saggio,

Ch'ella mi fa tremar le vene e i polsi.

A te convien tenere altro viaggio,

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Ibid. «E gloria e onore tutto ne faite poco per frutto di morali ammaestra(fate) lui (a lui) ».

Ibid. Lett. XXV: « Già savemo che onta grande e dannaggio vene noi (a noi) ». E mille di simiglianti esempi, che potremmo cavar fuori da scritture approvate. 85. Così Orazio a Melpomene (Lib. IV, Od. III, 21 seg.):

Totum muneris hoc tui est,

Quod monstror digito praetereuntium Romanae fidicen lirae:

Quod spiro et placeo, si placeo, tuum est. 89. Saggio qui vale propriamente poeta. Prima Virgilio aveva detto Poeta fui: qui Dante quasi volesse dire nonchè poeta ma famoso poeta.

Sophi da' Greci appellaronsi i pocti, primi maestri della civiltà. « Fuit hacc sapientia quondam ec. Sic honor et nomen divinis vatibus atque Carminibus venit». Quando poi intesero ad adulare i Cesari e rendere vil cortigiana la musa; si dura fatica a credere che questo nobile epiteto potesse mai essersi loro attribuito.

Veramente a Virgilio meno che a Dante converrebbe il titolo di Saggio. Pure il Mantovano è preso a duce dal Fiorentino; perchè solo il Poeta è che possa Simul et iucunda et idonea dicere vitae e tu che leggi

Sai che là corre il mondo ove più versi Di sue dolcezze il lusinghier Parnaso E ch' il vero condito in molti versi I più schivi allettando ha persuaso. Ed ecco perchè Beatrice profferisce quelle parole:

Or muovi e con la tua parola ornata

E con ciò ch' ha mestieri al suo campare
L'aiuta si ch' io ne sia consolata.

Onde pare che per questa ragione Virgilio fosse preso da Dante a sua guida, in un viaggio sì eminentemente poetico, che a tale altezza non aggiunse la sapienza degli antichi vati, nè per concetti robusti, nè per volo di fantasia e nè tam

menti.

Il seguente luogo di Fra Guittone conferma che prima di Dante, Saggio suonasse lo stesso che Pocta :

Che ad uom tenuto saggio odo cantare,
Che trovare non sa, nè valer punto
Uomo d'amor punto.

(V. Purg. XXIV, 52-e XXVII, 69).

E che savio, saggio o sapiente fossero i nomi dagli antichi usitati nel significato di Poeta; ce l'apprende lo stesso Dante nelle Rime, ove dice:

Amore e 'l cor gentil sono una cosa Siccome il saggio in suo dittato pone: intendendo per il saggio quel Guido Guinicelli, che prima di lui poteva, tra i rimatori della volgare favella, reputarsi a buon dritto il saggio o il poeta per eccellenza.

A questo allude il Poeta quando dice:
Inf. II, 36:

Se' savio, e intendi me' ch'io non ragiono.
Inf. IV, 101:

Ch'essi mi fecer della loro schiera,
Si ch' io fui sesto tra cotanto senno.
E ivi v. 110:

Per sette porte intrai con questi savi.
v. 149:

Per altra via mi mena il savio duca.
Ancora, Inf. VII, 3:

E quel savio gentil che tutto seppe.

Cosi in mille altri passi; dove con la saviezza ed il senno s' identifica la persona del vero poeta. E ciò è ben fatto in Virgilio simbolo della umana ragione.

91. Altro da quello che impreso hai per lo monte. Ei fa d'uopo inoltrarti a grado a grado per le virtù, cominciando dal vedere i tormenti de' dannati; conciosiacchè la cognizione del peccato sia principio di pentimento. Così le chiose posteriori del Cod. Cassin. Altro, scil. quam id quod coepisti per montem; nam opus est videre punitionem vitiorum et sic aggredi paulatim virtutes,

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