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Dissi: questo che dice? e che risponde
Quell' altro foco? e chi son que' che 'l fenno?
Ed egli a me: su per le sucide onde

Già puoi scorgere quello che s' aspetta,
Se 'l fummo del pantan nol ti nasconde.
Corda non pinse mai da se saetta,

Che si corresse via per l'aere snella,
Com' i' vidi una nave piccioletta

Tesoro avea scritto, ripete poi nel Teso

retto:

E chi sa giudicare

E per certo triare

Lo falso dal diritto
Ragione è il nome ditto.

E chi saputamente

Un grave punto sente
In fatto, in ditto e 'n cenno

Quello è chiamato senno.

E veramente se la voce è fatta da Senium, chi non vede la convenienza del vocabolo col concetto dell'Alighieri? Egli (Inf. XVI) dice che Guidoguerra in sua

vita:

Fece col senno assai e con la spada: Il Tasso imitando:

Molto egli oprò col senno e con la mano. Senno e mano o spada son quello che Sallustio chiamò virtus animi, vis corporis. Fra gli antichi non mancarono di coloro ch' ebbero al vocabolo legata la stessa idea, che Dante. Bono Giamb. Della mis. dell'uomo, Tratt. II, cap. I: Ed anche incontanente che nasce la creatura ha in sè un'altra miseria, che nasce sanza senno e sanza favella e sanza niuna virtute. Qui senno non ha significato di senso; ma è certo che sentito disser gli antichi per pratico, esperto, avvertito ec. Lapo degli Uberti:

Io ti vo' far sentito

Sì che non falli a sua dolce accoglienza. Sentire i Latini, per accorgersi; e noi per senno, accorgimento. Lo stesso Lapo il buon senno chiama buon sentimento, di che fanno arguire il ragionar di virtù ec. ec.:

Ragiona di virtù, che la innamora,
Se vuoli essere udito;
Parla con motti che portin sentenza;
E s'ella troverà in te conoscenza,
Ella t'accoglierà non di cor lento,
Chè l'è tanto in caler buon sentimento,
Che lascerà per te ogn'altra gente.

8. Dante chiede ragione di que' se

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gnali. Il suo Duca gliela rende al v. 11 seg. Vedi.

11. I segnali delle due fiammette poste sull'alta torre servivano a dare avviso dell'arrivo di due anime; l'altra di lungi risponde, che Flegias muoveva già per riceverle nella sua navicella. Virgilio, dunque, disse tutto colle poche parole quello che s'aspetta; poichè i due poeti non altro aspettavano, che travalicare le onde Stigie; e ciò, per le costituzioni di là, non si faceva senza ordine officiale.

13, 14. CORDA per Arco. Sineddoche della parte pel tutto; come, al v. 29, prora per tutta la nave.

VIA, ha due sensi, di volta o fiata, onde diciam tre via tre fan nove; e di prestamente, prontamente, velocemente. Applica, o lettore, quest'ultimo significato al via di questo verso, e giudica da te se Dante abbia usato un ripieno nella locuzione correre via.

Come e d' onde gl' Italiani traesser la voce via dirò breve. Dal latino viatim, ch'equivalse a recla cioè per la via diritta, ch'è la più breve di tutte, e si percorre più presto.

Di qui il viatz o vias de' Provenzali ed il viatu, tuttora vivente nel vernacolo calabro, e che val difilato ec. o il naviter de' latini, come mi sembra aver dimostrato nel mio Dizionario degl' idiotismi calabri inedito ancora.

Questa comparazione Dante l'imitò da
Virgilio. En. V, 241 seg.:

Et pater ipse manu magna Portunus euntem
Impulit: illa Noto citius volucrique sagitta
Ad terram fugit et portu se condidit alto.
L'Ariosto Orl. fur. IX:

Ma gli fu dietro Orlando con più fretta
Che non esce dall'arco una saetta.
Maggiore celerità esprime poi Dante,

Venir per l'acqua verso noi in quella,
Sotto 'l governo d' un sol galeoto,
Che gridava: or se' giunta, anima fella?
Flegiàs, Flegiàs, tu gridi a voto,

con figura a questa simile, Parad. I, 91:
Tu non se' in terra, sì come tu credi;
Ma folgore, fuggendo il proprio sito
Non corse come tu che ad esso riedi.
Quest'ultimo verso non fa che si deb-
ba in tutto posporre la lettera corresse
alla variante volasse, che hanno le Le-
zioni variorum riferite dal Witte appiè
di pagina, tratte da edizioni o altri lavori
crilici anteriori.

I poeti dipinsero alato il fulmine, come impennata la canna dello strale, nè meglio la grandissima velocità poterono per altra immagine significare. Virg. En. V, 319:

et ventis et fulminis ocior alis; sicchè e d'uomo si disse il volare, e della folgore il correre. En. V, 324:

Ecce volat calcemque terit jam calce Diores. Anche del ramarro dice il nostro Poeta (Inf. XXV, 81):

Folgore par se la via attraversa.
131:
Della voce, Purg. XIV,
Folgore parve quando l'aer fende
Voce che giunse di contra ec.

Similmente i raggi luminosi, che con immensa celerità si partono dal sole e attraversano l'aria, son raffigurati antichissimamente ai dardi, alle frecce, alle saette ec. Solis ictus, il saettar del sole. Purg. II, 55:

Da tutte parti saettava il giorno
Lo Sol, ch'avea colle saette conte
Di mezzo il ciel cacciato il Capricorno.
V. loc. cit.

16. IN QUELLA. In quella; in quello ec. valgono in quel punto, in quell'ora ec. Anche la Volgata trae dall'Ebraico la frase in id ipsum nella detta significazione; Lat. Simul ec. Frate Guidotto da Bologna: Date loro, date loro: In questa, si mossero certi uomini alla corsa ec.

In questa, cioè: in questo punto, in
questo mentre ec. Inf. XII, 22:

Qual'è quel toro che si slaccia in quella
Ch'ha ricevuto già 'l colpo mortale.
È modo comune anche oggi ai poeti ed
ai prosatori.

17. GOVERNO è detto con proprietà della nave;onde Gubernator il nocchiero.

GALEOTO, barcaiuolo. «Galeoto e Galeotto dicevano egualmente gli antichi, come afflige e affligge, fiama e fiamma, Baco e Bacco.» Il Bianchi.

Dante tolse, non però, questa voce dal provenzale Galiotz Galiot; e molto meno fu dalla rima astretto a raddoppiare il t, siccome afferma taluno de' comentatori.

I calabresi dicono galiotu ad uomo perfido, fraudolente e, per lo manco, astuto: proprio nell' accettazione che il vocabolo venne adoperato in provenzale. Tenz. di G. Riquiero...:

D'amor vey que neys la plus complida
Sap plus d'enjan que galiotz.
D'amore vedo ancor la più compila
Saper d'inganni più ch'un galeotlo. (a)
18. FELLO, fra le altre significazioni,
vale anche mesto, tristo, afflitto.
Semprebene (1250):

Lo peregrino, che securo andava
Per la speranza di quel giorno bello,
Diventa fello, e pieno di pesanza.
Ancora:

La vostra cera, che 'l meo core allazza
Par ch'a voi plazza che m'è corrucciata;
Che non è donna che sia tanto bella

Che s'ella mostra vista e gronda fella...
Alfine non disdica...

nel primo de' quali esempi fello è mesto,
afflillo ec., e nel secondo vista fella,
per trista, severa ec.

Provenz. Fel nella stessa accettazione. P. Vidal:

Molt ai mon cor fel
Per leis que mala fo.
Molto ho il mio core afflitto
Per lei che mala fu.

Va osservato ciò, perchè non in tutt'i luoghi delle tre Cantiche Fello varrà fiero, crudele ec. siccome Parad. IV, 15. Purg. VI, 94. Inf. XXI, 72. XXVIII, 81. XI, 88.

Nell'Inf. XVII, 132 è presa la voce in significato di crucciato, tristo, di mal talento; e qui anima fella può prendersi per trista, rea ec. non mica per fiera o crudele.

19. FLEGIAS, che arse il tempio d' Apollo, è qual miscredente e iracondo (a) Gr. 22λewrys, stellione ec.

Disse lo mio Signore, a questa volta: Più non ci avrai, se non passando il loto. Quale colui, che grande inganno ascolta, Che gli sia fatto, e poi se ne rammarca, Tal si fe Flegiàs nell' ira accolta. Lo Duca mio discese nella barca,

E poi mi fece entrare appresso lui, E sol quand' io fui dentro parve carca. Tosto che 'l Duca ed io nel legno fui, Secando se ne va l'antica prora Dell' acqua più che non suol con altrui.

dannato all' Inferno. È detto da phew, ardo. Virgilio En. VI, 618 segg.;

Phlegyasque miserrimus omnes Admonet, et magna testatur voce per umbras; Discite justitiam moniti, et non temnere Divos.

21. PIÙ NON CI Avrai, se non paSSANDO IL LOTO. Non ci avrai teco, se non quanto siamo nella tua nave, con la quale varchiamo la lolosa palude. Non ci avrai in tuo potere, se non pel tempo che impiegheremo a passare. La chiosa del Bargigi non è da preterire. Egli legge con l'interpunzione:

Tu non ci avrai che sol, passando, il loto: e spone: tu a questa volla non ci avrai altro... se non il fango della palude nel passarci, e viene a dire: non avrai guadagno di noi, ma solamente falica ed affanno. Ed il Zacheroni approvando questa lezione: Leggendo come la comune, la risposta di Virgilio manca di forza; ma metti in sua vece la lezione del Bargigi, e vedrai, che non contento Virgilio di aver detto a Flegias corrucciato, che ei grida a vuoto, lo deride amaramente, annunciandogli che a questa volta, nel passarli, non avrebbe altro che il solo loto, in cui si doveva affondare la nave pel peso del corpo di Dante. Flegias erasi creduto guadagnar due anime.

24. IRA ACCOLTA. Virg. En. IX, 63:
collecta fatigat edendi

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Ex longo rabies, et siccae sanguine fauces. Horat. in Arte. v. 159, seg.: (puer) et iram Colligit, ac ponit temere, et mutatur in horam. 26. APPRESSO LUI. Appresso può qui valere egualmente bene dopo ed accan

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to, significando o succession di tempo, o continuità di luogo, o l'uno e l' altro. Ci avvisa trovarsi in questo motto un'allusione, comecchè velata, al merito poetico di Dante; il quale altrove si dice sesto tra cotanto senno, e si fa dire da Virgilio:

Io sarò primo e tu sarai secondo. 27. Quel che dice Virgilio di Enea ricevuto nel burchio di Caronte, lo imita Dante ed applica a sè, ch'entra nella navicella di Flegias. En. VI, 412:

simul accipit alveo Ingentem Enean. Gemuit sub pondere cymba Sutilis, et multam accepit rimosa paludem.

E il Caro che tenne all'imitazione di Dante, recò questo luogo virgiliano nei sequenti versi:

- E il grand'Enea v'accolse. Allor ben altro Parve (il legno) che d'ombre carco; e sì com'era Mal contesto e scommesso, cigolando Chinossi al peso, e più d'una fissura la palude aperse."

A

29. Virg. En. V, 1:

Interea medium Eneas jam classe tenebat Certus iter, fluctusque atros Aquilone secabat. Ancora, ivi, 218:

Sic Mnestheus, sic ipsa fuga secat ultima Pristis Equora, sic illam fert impetus ipse volantem.

Secare usò Virgilio in sentimento di solcare dirillo, andare per la dirilla via, andar difilato. (En. VI, 900): Ille viam secat ad naves... Ancora (En. X, 687): Labitur alta secans fluctuque aestuque secundo.

(V. Inf. X, 135). Secare è fendere, non segare; chè la prora seca, fende e solca il mare, nol sega. (V. il Zacher, al Barg.) Nondimeno alcun testo legge segare, lettera ritenuta dal Tommaseo.

Mentre noi correvam la morta gora,

Dinanzi mi si fece un pien di fango,
E disse: chi se' tu che vieni anzi ora?
Ed io a lui: s' io vegno, non rimango;

Ma tu chi se', che si se' fatto brutto?
Rispose: vedi che son un che piango.
Ed io a lui: con piangere e con lutto,
Spirito maledetto, ti rimani;

Ch' io ti conosco, ancor sie lordo tutto.
Allora stese al legno ambe le mani:
Perchè 'l Maestro accorto lo sospinse,
Dicendo: via costà con gli altri cani.
Lo collo poi con le braccia mi cinse;
Baciommi' volto, e disse: alma sdegnosa,
Benedetta colei che 'n te s' incinse.

31. MORTA GORA-stagnante palude. Orazio, Lib. III, od. XXVII, 9:

Antequam stantes repetat paludes
Imbrium divina avis imminentum ec.

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Dante l' uno impreca sdegnosamente, e all'altro trae più ciocche di capelli.

39.ANCOR per ancor che, lat. quamvis,

Bello cotesto correre attivamente ado- etiamsi ec. Così, tutto per tutto che. V.

perato! Il Nostro, (Purg. I):

Per correr miglior acqua alza le vele
Omai la navicella del mio ingegno ec.
È (Parad. II, 7) usato passivamente in
quest'altro verso:

L'acqua ch'io prendo giammai non si corse. dove: prender l'acqua rende il petit maria virgiliano (En. V, 212). - Ivi anche (v. 235)

Di, quibus imperium est pelagi, quorum aequo(ra curro ec. e altrove molte fiate.

33. ANZI ORA, prima del tempo. Nota soppresso l'articolo, e meglio che se delto avesse innanzi o anzi l'ora. Lat. ante horam. Bene in codesto anzi ora

di Flegias il Tommaseo rinviene la cagione della crucciosa risposta di Dante. Il nocchiero di Stige mostra credere che questi andrebbe poi, quando che fosse, nudo spirito in inferno, come anima fella.

34. VEGNO molto più opportunamente, che vengo; a cansare nel verso le due cadenze engo, ango; ma non sarebbe poi al postutto ragionevole tanta schiffil

tosa delicatezza d'orecchio.

36. SON UN CHE PIANGO. Da vile e dispettoso tace il suo nome, come fece il malvagio traditor Bocca, Inf. XXXII. E

Inf. VI. 109, not.

SIE, tu sii o sia. Vedi Inf. XXV, 6.

42. VIA COSTA. Via di qua. Barg. Ma di via vedi v. 14 not. È qual si dicesse: tòrnati toslo al tuo luogo; pàrtiti ratto di costà.

CANI Son detti gl'iracondi; perchè gli uni e gli altri presto commuovonsi ad ira, e per lieve cagione. Virgilio, che caccia da sè quel lordo spirito bizzarro, è la Ragione nemica dell'ira, passione che intorbida l'animo e l'attuffa nel fango.

44. SDEGNOSA. Sdegnoso propriamente è chi ha disdegno, ed ha in dispregio ed a schivo le cose vili e inoneste, epperò altero, gentile. Bene qui dunque si contrappone lo sdegno del Poeta all'orgoglio e burbanza dell'Argenti; nulla sendo a cotali uomini più dura pena,che l'altrui disprezzo.

45. BENEDETTA COLEI ec.

del vangelio al Cristo; il quale (Luc. XI) Virgilio qui sclama siccome la donna degl' immondi spiriti ch' egli scaccia per sua virtù, argomenta si bene, che quella levò la voce e disse: Beatus venter qui te portavit, et ubera quae suxisti.

Quei fu al mondo persona orgogliosa:
Bontà non è che sua memoria fregi:
Così è l'ombra sua qui furiosa.
Quanti si tengon or lassù gran regi,

IN TE S'INCINSE, ti concepì, ti portò nel ventre. Altri col Bargigi: in te s' incinse,chiosano: Benedetta sia la madre tua, la quale essendo gravida SI CINSE IN TE, perocchè cingendo sè cingeva ancora le. Altri in te s' incinse spiegano: di te rimase gravida. Ma cotesto incingere! Mulier circumdat virum vale, dice il Bianchi, concepisce (a). A noi sembra incingere, per forza della particola in, che talora è negativa, poter valere sciorre il cinto, discignere, scingere o scignere come fa la donna gravida, detta perciò incinta o non cinta. «Da Incignere, dice l'Alberti, ... venne in uso questo vocabolo in Firenze, perchè ivi le donne, quando erano gravide, andavano senza cintura». Gli antichi dicevano solvere zonam per ire a marito. È però da confessare che la particella in entra assai raramente in composizione de' verbi con valor negativo, quale appena trovasi ne'seguenti: incomodare, indegnarsi, infelicitare, infermare, infestare, inibire, inquietare, insanire, insipidire, insollare, inabilitare. Negli altri l'in ha forza intensiva come infierire,illuminare ec. e questi ritengono lo stesso significato ne' participi e ne' verbali di cui ordinariamente non mancano. Moltissime voci, dove l'in è particola negativa o privativa, non hanno in lingua i verbi onde si potessero tener derivati; quindi troviamo insensibile, inscrutabile, insepolto, infaticabile, inaccessibile ec. ma non mai i verbi insentire, inscrutare, insepellire, infaticare, inaccendere ec. Anzi ci ha delle voci come intemperato, intentato, inabitato ec. di senso negativo, mentre intemperarsi val temperarsi, mitigarsi; intentare val tentare, e inabitare, abitare. Noi ci siamo studiati di rilevare questa legge della nostra favella, e perchè può tornare utile, e

(a) Per proprietà di voci a noi pare che questa frase dica piuttosto; la moglie abbraccia il marito.

perchè si compreda la ragione delle difficoltà che trovarono i comentatori nella sposizione di codesto s'incinse. Il Bargigi legge si cinse; e notando la comune lettera s'incinse, la spone per s' accese: quasi il Poeta dicesse s' incense. Riferisce la cosa a Beatrice, come colei che s'infiammò d'amore per Dante, e gli mandò Virgilio in soccorso. Il cod. cassinese legge anche si cinse, e rifiuta il s'incinse per s'incense o s'incese nel senso già detto. Chiosa in te si cinse: mater ens gravida se cinxit super te (b).

IN TE, quando portò te nel seno: la sentenza sommaria è: Benedetta colei che si scinse in te, cioè nella vita o in quella parte della sua persona sotto cui tu eri, ovvero quando fostu generato. Tutto torna a dire: Benedetta la madre tua, che ti concepì e ti diede al mondo. Il Tommaseo nota dirsi tuttodì a Firenze: essere nel 1° nel 3° figliuolo ec. Altri: in te per di te. Vedi la nota (b).— La R▲GIONE rallegrasi con l'UMANITÀ che da sè discaccia l'orgoglio e l'ira.

(b) I Latini dissero inciens alla donna propinqua al partorire; onde Fedro (1,18): Instante partu mulier actis mensibus Humi jacebal, flebiles gemitus ciens. Festo vuol dicasi inciens, quod partus eius incitatus sit. Ma questo non farebbe; perchè incinta si dice anzi a donna in tutto il tempo della gestazione, che non quando ella istià proprio in sul parto. Quindi non dice vero il Biagioli. Quando l'italiano incignersi non fosse dallo scioglier la cintura preso figuderivarlo dal gr. x cuo (d'onde culla e la parratamente in senso di ingravidarsi; potremmo te pudenda muliebre ec.) ch'è portare nel ventre e donde giusta Martinio, si dedusse JXU (encio o encuo), esser pregnante. Allora la frase dantesca significherebbe: Benedetta colei che divenne gravida in te, cioè quando fostu ingenerato. E il P. disse bene in te e non di te, chè avrebbe detto cosa tanto sconcia ed assurda, per quanto non è possibile, nè che la donna ingravidi di chi non sia ancor generato, nè che il figlio, non procreato ancora, sia l'autore della gravidanza della madre. Ognun sa che importino le locuzioni essere, divenire incinta, o incignersi di uno: nè varranno le voci suppletorie del Biagioli a render più chiara la frase del Poeta, senza esporla ad enormi inconvenienti.

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