De' ben, che son commessi alla Fortuna, Per che l' umana gente si rabbuffa ; rò sì fronfi e vani ; ma che quel vento e con proprietà di vocabolo Fedro disse prospero ha breve durata. Al Poeta corse della rana: Rugosam inflavit pellem. . per la fantasia l'idea di cotesta inane Buf è pe' provenzali voce imitativa del gonfiezza che sogliono male ingenerare i gonfiamento delle gote, che si fa nel favori della fortuna; ma poco innanzi a- soffiare (insufflalio). (Grassi, voc. Schervendo toccato dell'enfiala labbia di Plu- nire e Beffare); e quindi Buffa per vento, e dello: to impetuoso e corto; onde il Caro(En.I): Quali dal vento le gonfiate vele Così dicea; quand'ecco d'Aquilone Caggiono avvolte poi che l'alber fiacca. Una buffa a rincontro, che stridendo tale essere a terra caduta la bestia crude Squarciò le vele e'l mar spinse alle stelle. le ch'è il superbo dio delle ricchezze; a Buffare dovelte dunque, quando che non dipingere con gli stessi colori la'si- sia, valer tanto, quanto Soffiare; altrimigliante imagine del suo pensiere rela- mente non si avrebbero i derivati e comtiva all'enfiata labbia dell'uomo secon- posti: cioè rabbuffare (nel senso che dato dalla ventura, ricorre ad un'altra lo- detto è), sbuffare, buffeltare, bufèra, cuzione figurata, che ha un grado di va- buffata, buffo, che son tutti nati di soflore estetico trascendente, chi consideri fio, nè si spiegano senza intendervisi l'ela varietà, cui serve il poeta, come ad lementare costitutivo del vento. Dirò dipelemento della bellezza; gli obbietli on- più, col Grassi, che dal bisavolo Buf de son tralte le similitudini, e, senz'al- nacque la beffarda genìa delle beffe, del tro, l'opportuna proporzione ai subbietti: beffare, del beffeggiare e del beffeggiapoichè per la prima vien paragonata la torio, beffabile, beffeggiamento; giacchè superbia di Pluto (nume infernale) alla poi non si pone in dubbio la legittimità vela gonfia; e per la seconda quella del- della buffoneria, buffonata e bufferia, l'uomo a un pallone di vento. che discesero per linea diretta dal soffiaNoi dunque, infino a che per punta di re e gonfiar le gote; alto ridicolo e vilragioni, non sarem convinti del contra- lano, ma senza di cui i proto-buffoni rio, teniamo la sentenza degli addolli non avrebber potuto nè incominciare, né versi esser questa: Or puoi, figliuol, ve- seguire il loro buffonesco metro del bufdere quanto breve duri l'aura della for- fonare e del buffoneggiare. tuna, onde si gonfiano i pelti umani: 64 segg. CHÈ TUTTO L'ORO ec. La terziconcetto variamente ribadito negli altri na che comincia per queste parole è stata versi, ov'è detto di lei: sino ad ora male intesa nel costrutto,e pegChe permutasse a tempo li ben vani: gio frantesa quanto al concetto.Perciocchè e che: il verbo sustantivo vi si adopera dal PoeLe sue permutazion non hanno tregue. ta le ben due volte, non già con la genePer la qual cosa ci maravigliamo che rica sua nozione di esistenza, ma dippiù uomini di tanto merito, dopo aver preso con quella di appartenenza; e le parole: Buffa per soffio, vanità, gioco, passino di queste anime stanche non esprimono all'accapigliarsi e alle zuffe delle uma- un genitivo partitivo, ma di possesso, ne genti; come se l' Alighieri abbia vo- retto non mica dal numerale una, ma luto che si abolissero i tribunali e i pia- da'verbi fu ed è nel sentimento ch'è delti; anzi che levarsi dal mondo l'orgoglio to. Quindi è un grossolano errore porre che mettono nell'animo le fugaci ric- il comma dopo luna e dopo fu, che fa chezze. attribuire all'autore una sentenza, ch'egli Agli argomenti estetici, e filosofici ag- non ebbe in animo di significare con giungiamo quelli che vengono in nostro quelle parole. favore dalla Filologia e dalla Etimologia. Chi vuole insinuarsi nella mente delBufo dissero i Lalini la bolla, animale l’Alighieri e pigliar il vero suo intendich'è tutto in gonfiezza di brulia forma, mento in questa terzina, leghi ad oro, O che già fu, di quest' anime stanche 65 ch'è il soggetto, le due incidenti che so- passati di gente in gente per effetto delno nella seconda metà del primo verso e le permutazioni perenni dell'instabile in tullo intero il secondo; e si legga con Dea; il che par che sia un altro aculo la seguente interpunzione la detta ter- pungello che gli martora. L'è poi vi sta zina: molto acconcio, ed ha risguardo all'oro Chè tutto l'oro, ch'è sotto la luna che ancora persiste nelle case di quelle E che già fu di queste anime stanche, anime stanche, e che perciò è di esse, Non poterebbe farne posar una. ma senza pro. L'Alighieri, chè mira al La sola forma grammaticale del delta- perfezionamento morale, religioso e cito, se i dotti comentatori vi avessero più vile dell'umanità, trova per questo argosottilmente atteso, potea da sè sola farli mento come insinuarsi nel cuore di chi scorti, come il secondo caso richiesto legge ed ispegnere ogni favilla di cupidall' addiettivo partitivo numerale una digia. v'è chiuso nel pronominale ne affisso al Non han qui luogo i passi allegati verbo nella parola farne; la qual parti- dell' illustre Tommaseo: é vediamolo: cola pronominale vi starebbe oziosa alla (Luna. Dan. IX, 12: Male qual mai non presenza del primo genitivo; ovvero fa- fu sotlo tullo il cielo ». Si può ben dire: rebbe un ripieno non addimandato, sia Male qual mai non fu sollo tutto il cicdalla evidenza ed efficacia, sia dal nu- lo; imperocchè o che s'intenda morale o mero od armonia del periodo. Sappia- fisico cotesto male, può esso crescere o mo, di questi pleonasmi esservene in scemare a seconda che più o men si corbuondato ne' più egregi scrittori, e che rompa l'animo umano, più o meno proin questo luogo l'asligere la particella cedano ordinate al suo fine le cause sepronominale al verbo rende il verso più conde: ma dire poi tullo l'oro... che fu pieno, ed evita lo scontro spiacevole di sotto la luna è dire un impossibile, qual due indefiniti che hanno la stessa caden- sarebbe che potesse uscir fuora dai conza: ma oltre che Dante è sì regolato fini della terra, dove, anche a delta del scrittore e sì ricco di ripieghi e di modi, Poeta, l'oro e le ricchezze si permutano: che lieve gli sarebbe stato provvedere Di gente in gente e d'uno in altro sangue. altrimente alla sua locuzione, e di vivez- e le ha tra le branche la Fortuna, da cui za e di armonia; sta il fatto però, ch'egli non trapassano agli altri pianeti. consegue l'uno e l'altro pregio, senz'uo- Altra chiosa: «(F) Posar. In una canpo delle figure che la grammatica gli zone dice che le ricchezze raccolte: Non avrebbe anche accordato; perchè il ne possono quietar, ma dan più cura ». Ma di farne per costruzion regolare vi sta qui il nostro poeta parla delle sollicitucome pronome riferito alle anime stan- dini che nella vita presente si durano ad che. Intende dire il Poeta: tulle le ric- accumular le ricchezze e a mantenerle ; chezze che sulla terra furono e sono di nella terzina in esame si dice delle ricquesti avari, se si riunissero insieme, chezze già acquistate e che non hanno non varrebbero a farne posare un solo forza di alleggiare, nonchè redimer dalla dalla zuffa, a cui furon posti per irre- pena, le anime dannate di avarizia. Nel vocabile" giudizio di Dio. Con che si primo caso non si ha quiete per esfetto vuol dinotare il vano studio che posero della viziosa passione; nel secondo per que' miseri in accumular tant'oro di nes- difetto ed inclficacia del mezzo: due causun giovamento nell'altra vita; e questo se, l'una subietliva, l'altra obiettiva; epconcetto lega la terzina alla precedente, però il paragone non regge;e Dante deled esprime la ragione della corta buffa la canzone non chiarisce Dante della Dide' beni commessi alla Forluna, che ol- vina Commedia. Dicasi lo stesso del retre la tomba non dura. Ed è notevole stante. Sicché le autorità addotte dal vaquel fu postovi a bello studio per signi- lentuomo, belle che fossero, son fuori luoficare le ricchezze che di presente non go, ed anzichè illustrare oscurano il suerano più d' alcuni tra quelli avari, ma blime concello dell'immortale Alighieri. Non poterebbe farne posar una. Questa Fortuna, di che tu mi tocche, Che è, che i ben del mondo ha sì tra branche? Quanta ignoranza è quella che v offende! 70 Se questi ci avesse detto (come da sei pristinarne l'uso antico, ed egli lo farà, secoli gli han fatto dire i chiosatori) che senza tema che abbiano a confondersi le tutto l'oro del mondo non vale a far distinte significazioni di polere e potare. posare una sola di quelle anime stan 67. Dissi uur. (Vedi Inf. I, 81). che, noi non gli avremmo le grandi mer- Mi sì. Le particelle pronominali raracedi. Sapevancelo ancor noi piccini che mente si prepongono agl'imperativi; ma nell'inferno non fil redemptio; anzi sappiamo dippiù, che la divina giustizia è farebbe ribellarsi alla regola grammaben altra dall'umana, cui può corrompe- ticale. re la potenza dell'oro. Sappiamo, che Non di', come in alcuna moderna editutto l'oro del mondo non può mica ces- zione; ma di siccome i più accorti han sare il tribolo degli avari e nè de' tradi ritenuto dopo le osservazioni del Nantori, de violenti, degl' iracondi, de' car nucci. (V. Teorica de' Verbi pag. 321, nali e di chiunque altro si trovi dal lim- Fir. 1843, Le Monn.). bo fino all'ultimo foro del cono inferna Si deve scrivere di', giorno, di impele. Laonde si farebbe carico a Dante d'aver detto, de' soli avari, quello che pud, Paradiso V. 122) rativo di Dire, e di preposizione. (Vedi , e deve onninamente dirsi di tull' i dannati. E questa inconvenienza si leva an 68. TOCCHE è per Tocchi; ma non in che via, tenuta la lettera e l'interpreta- forza della rima. (Vedi Purg. XXV, 36) zione, che noi proponiamo e che since- 69. CHE È, CHE è il prello sputato Quid ramente sottomettiamo ai nostri maestri, est, quod de' latini; e vale Perchè mai, e al fino ed imparziale giudizio de' no- Ond'è che ec. stri lellori. BRANCHE. L'illustre Tommaseo ha si 66.POTEREBBE. Inflessione regolare da bene afferrata la forza di questa voce; Potere, siccome da lemere, temerebbe. che meglio non si poteva spiegar la caDa Polre, una delle tante configurazioni gione, onde Virgilio riprendesse Dante di questo verbo, si può venire Potrebbe, con fare il panegirico della Fortuna. se nol si voglia piuttosto voce sincopata 72. IMBOCCARE figuratamente per Credello stesso Poterebbe. Si diceva in an- dere alla cieca usano anche oggidì nel tico porrebbe da porre, potere; ma Po- contado i Calabri: comunemente Ingolterrebbe che si legge nel Testo del Tom- larsela ec. maseo pare erroneo, se non si abbia e Il traslato è preso da' bambini, che sempio dell'indefinito Poterre. (Vcdi Inf. non guardano checchè di cibo lor si IX, 33). ponga in bocca. Virgilio vuole che il suo Jacopo da Lentino: alunno accetti la sentenza come vera, Che senza lei non poteria gaudire. Ciullo d'Alcamo: senza discussione. Le chiose al testo del Avere me non poteria esto monno. Cod. Cassinese: Volo quod capias meam Il Bembo, Asol.: sententiam pro vera. Il poteremmo noi fare. Virgilio stesso (En. II, 1): intenlique L'uso insegnò che, ad evitare gli equi- ora tenebant; che, sebbene si volti: penvoci, si convenisse lasciar queste caden- deano intenti dalla bocca di Enea ec. ze al verbo Potare, ritenendo polrei, po- pure la lettera dice proprio bocca, ma tresli ec. Al poeta accade di dovere ri- per Sineddoche pigliasi in sentimento di . Colui, lo cui saver tutto trascende, Fece li cieli, e diè lor chi conduce, 75 e faccia; siccome bocca per viso, aspelto tori in versi e prosa. La Nina Siciliana o faccia Dante adoperò alla latina (Purg. in un sonello di risposta a Danle da XXXI, 136): Maiano: Per grazia fa noi grazia che disvele Lo core meo pensar non si sаvria A lui la bocca tua, si che discerna. Alcuna cosa che sturbasse amanza ec. La seconda bellezza che tu cele. Fra Guittone Lelt. XIV: Carissimi e La parola di verità è cibo dell'anima, amalissimi molto miei, ben credo saveperchè non in solo pane vive l'uomo. Il te che da fiera non è già che ragione in Nostro più ch'una volta fa uso di questa conoscere e amare bene... E dovele sametafora: eccone degli esempi: vere che non cillà fan già palagi nè ruParad. XVII, 130: ghe belle, nè uomo persona bella ne Che se la voce tua sarà molesta drappi ricchi, ma legge naturale, orNel primo gusto, vital nutrimento Lascerà poi, quando sarà digesta. dinala giustizia, pace e gaudio intenIvi, XXXI, 127: do che fa cillà... Oh che dolci e dilelloMentre che piena di stupore e lieta si e savorevili frutti gustate avete... E L'anima mia gustava di quel cibo, voi (a voi) ha più savore in guerra buc Che saziando di sè, di sè asseta ec. e XXVIII, 61: cella secca, che in pace ogni vidanda... Piglia Vinca, vinca ormai saver maltezza. Ivi Ciò ch'io ti dicerò, se vuoi saziarti. anche disavere in sentimento d'ignoranAncora, II, 10: za. - Lett. V: Soprappiacente donna, Meo Abbracciavacca (1250) Lett. a Mess. Dolto: E se vostra intenzione non co saver mio. Brun. Latini, Rettor.: MaPosciachè noi entrammo per la porta, teria di quest'arle dicemo che sia quel Lo cui sogliare a nessuno è negato. la nella quale tutta l'arle, e lo savere che dall'arle s'apprende dimora.--Che Che sopra sè tutte fiammelle ammorta. se Ermagoras avessi (avesse) in queste E Dante appella col nome di pasto ciò cose avuto grande savere acquistato per che di nuovo s'offre ai suoi occhi, e può istudio e per insegnamenlo. Id. Oraz. venirgli descritto e spiegato dal Savio per M. Marcell.: Che già follia non si Duca; onde soggiugne immediatamente: mescola con savere, nè sorta di ventura Queste parole fur del Duca mio: non si riceve in buono consiglio. Vegez. Perchè 'l pregai, che mi largisse il pasto, Di cui largito m'aveva il disio. Lib. III, cap. XXVI: La natura crea gli Da ultimo, lo stesso Convito (opera uomini forli per animo, ma 'l savere dove il Poeta addestrava il suo ingegno gli redde migliori per buoni ammaea spiccar dipoi voli più alti nel sacro stramenti. Quindi il Poeta Inf. XI, Poema) non è, a sua detta, che una im Tu mi contenti si quando tu solvi, bandigione d'elette dottrine, onde lo spi Che, non men che saver, dubbiar m'aggrata. rito s'alimenti (b). in questo canto, v. 85: 73 segg. SAVER. Savere per Sapere Saver Vostro saver non ha contrasto a lei. pel facile scambio della v col p. Si tro e in più altri luoghi. vano infiniti esempi tra gli aplichi scrit- Intorno al fino magistero dell'arte Dan tesca che rifulge anche in questo luogo (a) Pan degli angeli è propriamente la manna piovuta nel deserto agli Ebrei. Salm.LXXVII (vv. 73 a 81 ec.) così G. B. Niccolini (c): v. 27, 28, 29. Figuratamente è presa per l'Eucaristia, é Dante forse togliela per la Parola di (©) Dell'universalità e nazionalità della Divi. verità tenuta in virtù della Rivelazione. na Commedia.Lezione detta nell'Accademia del. (b) Altra lez. tulli... imbocche, cioè a tuti. la Crusca li 14 settembre 1830. relenosas Virilio luni ispitis fio fregides, Metafora 92 seg.: 88 segg. mulamento; mulazioni de pre, particola bora nella pre Im hanno beziare, obbel 80 Distribuendo ugualmente la luce: Similemente agli splendor mondani Ordinò general ministra e duce, Di gente in gente e d' uno in altro sangue, Oltre la difension de' senni umani: Seguendo lo giudicio di costei, Che è occulto, come in erba l’angue. Ella provvede, giudica, e persegue Suo regno, come il loro gli altri Dei. Necessità la fa esser veloce, 85 Con quanto senno, e con quanta novi- propizia secondato non si reputi sicuro là, la ricchezza, la potenza, tutti gli di qualche disfatta. splendori mondani sono paragonati al- Tregue é voce del lat. barb., Treva la luce che per natura si diffonde, e tratta dal German. trew o truewe che passa di cosa in cosa, che nessun può valse fede, pace. I nostri vecchi adopefar sua, che di necessità si divide! Os- rarono Treva e Trieva: e pare in accetserva il valent' uomo che fra gl' infinitilazione di palto venire in questi versetli pregi del nostro Poeta gli è proprio an- di Ser Brun. Latini. cor quello che consiste nello scoprire fra Tesorello, Cap. VI: le cose una relazione inaspettala e ve E fece Adamo ed Eva ra nella sua novità. Che poi ruppe la trieva. Trega usd il Boiardo. 81. Difension. Opposizione, ostacolo, Nel Dittamondo, Fazio usurpò il verbo difesa, guardia, provvedimento. attreguare per aver pace o riposo. V. Inf. VIII, 123, XV, 27: Quello poi che parmi necessario nota84. IN ERBA L'ANGUE. Perchè quando re è, che in questo luogo di Dante trielalora par che la fortuna ci asseconda, il que può essere del numero singolare: siccome in altro dice: suo riso è come di fiori, tra cui la serpe Vostro saver non ha contrasto... velenosa s'asconde. e non già: non ha contrasti. Che poi Virgilio Ecl. III, 92 seg.: tregue sia alcuna volta detto nel meno, Qui legilis flores, et humi nascentia fraga, lo dimostra questo verso del Dittam. Lib. Frigidus, 6 pueri fugite hinc, latet anguis in IV, Cap. V: À che pur tieni questo Im (herba. Metafora bella, quanto vera. perio in tregui? dove tregui è da tregue come vesti, armi ec. da veste, arme ec. 88 segg. PERMUTAZIONE è qui gran Dante,chi ben consideri, non avea ragiomutamento; e grandi e strane son le ne e necessità d'usare il plurale in quemutazioni della fortuna. Dante diede al sto luogo, come tampoco Purg. XVII, 75. . per, particola intensiva latina, la stessa 89. NecesSITÀ LA FA ESSER VELOCE. forza nella predella voce composta. Questo luogo è franteso da' più illustri Non hanno triegue: non posson pat- comentatori per non tenere presente il teggiare, obbligar la fede, entrare in passo di Orazio imitato dal nostro Poela. accordi con gli uomini; come si fa tra Lib. I, od. 35: due campi nemici per sospendere le o- Te (Fortunam) semper anteit saeva Necessitas. Clavos trabales et cuneos manu stililà. Così niuno perseguitato dalla av- Gestans aëna, nec severus versa fortuna speri pace o posa, e dalla Uncus abest liquidumque plumbum. |