40 45 Ed egli a me: tutti quanti fur guerci Si della mente in la vita primaia, Che con misura nullo spendio ferci. Quando vengono ai duo punti del cerchio, Ove colpa contraria gli dispaia. Piloso al capo, e papi e cardinali, In cui usò avarizia il suo soperchio. Dovrei io ben riconoscere alcuni, Che furo immondi di cotesti mali. La sconoscente vita, che i fe sozzi, 50 42. Ferci. Fecero qui, cioè, in vita. ve quinquenni, o si mangi il cavolo conCi, lat. hic, Franc. ici. V. Inf. IV, 53. dito per sua mano propria con poche 53 seg. LA SCONOSCENTE VITA - è la stille di pulida morchia, e beva male del vita che non conosce, o non ha cono- cercone e vesta peggio. Dalla virtù della scenza, un vivere dissennato. Cono. frugalità e della masserizia dilungasi escente, Conoscenza, Conoscere ec. son gualmente l'avaro ed il prodigo. Il gran voci significative di senno, saviezza, con- Poeta satirico esige che, a cansare i pesiglio, sapienza; secondo che abbiamo ricolosi estremi, abbia ciascuno quella dimostrato là dove (Inf. XXVI, 119) Dan- sapienza che può apparare senza altri te induce Ulisse parlando ai suoi: precetti ed ammaestramenti della FilosoFatti non foste a viver come bruti, fia,siccome il suo rustico Ofello, ch'era: Ma per seguir virtute e conoscenza. abnormis sapiens crassaque Minerva: Vanno d'accordo i due luoghi dello e più non chiede. slesso Poela: qui vila sconoscente, che Chi adunque patisce difetto di questo rende sozzi gli avari; lì virtù e cono- buon lume naturale, se abbandonasi alscenza, che non fa di uomini bruti. S'in- le lautezze della vita, sarà uomo brulatende come la vita sozza e brutale sia le, che, come Ciacco (Inf.VI) giacerà per effetto della insipienza e della dissenna- terra in mezzo alla sozza mistura delle omtezza ec. onde l'uomo non è esperto e bre e della pioggia; (Oraz. Lib. II, sat.2): pratico de' modi che son da lenere, per Alque afsigit humo divinae particulam aurae. onestamente condurla al suo fine. Negli Se spilorcio; sarà a più forte ragione avari, preti o laici, si cerca più saviezza degno che diasegli nome di sozzo e imche rinomanza. mondo, per quello che di Avidieno è det. Vedete, verbigrazia ; avrebbe egli ra to; cui anche Orazio chiama sordido e gionevolmente Orazio richieslo un nome cane. La vita di colestoro è chiamata da illustre nel suo avaro e gliene avrebbe Dante sconoscente; perchè a cadaun d'esfatto colpa che invece di menar vita mi- si potrebbe dirsi col Venosino (Sat. I, 1): sera, non si fosse studiato ad acquistarsi Nescis quo valeat nummus, quem præbeat usum. fama grande con altrettanta cura, quan- Or ad un Avidieno, a un Opimio (Oraz. la n'ebbe posta ad ammucchiare ricchez- Lib. II, sat. 3) che si lascia ammazzar ze? In quella guisa ch'è virtù il conten- dall' inedia, prima che sgocciolare otto tarsi al poco, quando non si può vivere assi per un cordiale, un Orazio e un Danche una vita frugale;sarà per lo contrario te rimprovera soltanto l'immondo vivere schiloso vizio, che tra le abbondanti fa e l'insipienza che trascina nel fango. Che coltà un uomo come Avidieno si stringa il nostro poi dica: il corpo, e faccia suo cibo di quallro oli Ad ogni conoscenza li fa bruni. e Ad ogni conoscenza or gli fa bruni. 55 non vuol significare che que' chercuti e gione; nel mezzo de'quali si raffrontano gli altri, perchè avari non divennero il- e stringono amiche la masserizia e la lilustri; ma che di loro egli non conobbe beralità, virtù civili e cristiane che riniuno in inferno: imperocchè siccome fuggono egualmente da quelli e mettonl'avarizia aveali di uomini mutati in sor- si a salvo dalla percossa dell'eterno cozdidi animali; così per pena simile a simi- zare. Il Poeta gli pone allo stesso marle colpa, non era giusto che se ne aves- toro: perciocchè la prodigalità nuoce tanse colà la menoma notizia,a maggior di- to al prodigo, quanto non giova l'avarisprezzo della loro bassezza e viltà. Un zia all'avaro; ed entrambe non giovano e Comentatore: L'ignobile ed oscura vila nuocono altrui. Turbando l'ordine morache li fece sozzi di questi vizi li rende le con egual forza e contraria, son volti ora oscuri e sconosciuti. Dunque biso- giù fino al medesimo grado di punizione; gnava che fossero nobili ed illustri per- dove si percuotono incontro: chè a Dante potessero venir chiari e co- Voltando pesi per forza di poppa. gniti? Falso. Dante dice a Virgilio ch'egli, a significare quanto vane riuscissero le massimamente tra coloro che non aveano sollicitudini, onde si cercano le ricchezavuto coperchio piloso al capo, dovea co- ze, e gli affanni, cui vanno soggetti conoscerne molti e Papi e cardinali vissuli loro.che le giltano a precipizio. Al pencon eccessiva avarizia; ora almeno que siero di Dante fu presente la favola di Sisti ultimi avrebbe dovuto riconoscere, sifo con l'immane sasso, e ne seppe egli dappoichè la vita di costoro, spezialmen- trar partito di più bella e più morale inte al tempo del poeta, era non ignobile venzione. e molto meno oscura. Tanto ancor più, QUESTI RISURGERANNO: quando lo squilche il P. non dice vita sconosciuta ma lo dell'angelica tromba gli appellerà, insconoscente: al che se si fosse riflelluto, i tuonando il: Surgile, mortui, venite ad comentatori avrebber preso un granchio Judicium. di meno. Nè una vita privata, sconosciu- DEL sembra un segno del secondo cata od oscura debb'esser necessariamente so; ma risponde al de de' latini quando sordida e immonda; trovandosi là più so- regge un nome del luogo, onde uno si vente mondizia e miglior costume, dove parte. I grammatici avvisano non potersi ha meno di lusso e di vano culto urbano. adoperar di per da fuori il caso che il Egregi comentatori ed illustratori della verbo della proposizione dinoti moto da Divina Commedia spesso sforzano l'auto- luogo. V. Inf. XXIV: re a spropositare e dir quello che mai Tragge Marte vapor di Val di Magra. non s'è sognato: e questo accade dal non SEPULCRO è qui molto appositamente esserci fatti ancora capaci, che la lingua usato per qualunque luogo d'inumazione: con cui Dante cantò la Monarchia di Dio e n'è invero il termine generico, sollo riunisce alla semplicità del greco, la san- cui si comprende sepoltura, avello, artità del linguaggio biblico, la maestosa ca, tomba, monimento, fossa, locello, gravità del latino idioma e l'affettuosa ed tumulo, sarcofago, mausoleo, buslo, urerotica favella provenzalesca de' trovado- na, cimitero. (Vedi il Grassi; e il Boccacri, ch'ebber di poco preceduto il Poeta. cio, Com. Dant. Lez. 37). I FE SOZZI. (V. Inf. V. 78). Il P. si lenne a bello studio stretto al55 segg. VERRANNO ALLI DUE cozzi. Rei la proprietà della voce; mentre poi egli di vizi contrari gli avari e i prodighi in stesso credette potere significare la idenvila, è giusto che dopo la morte cozzino tica idea con vocaboli che non son veri eternamente. Avarizia non usa, Prodiga- sinonimi, cioè Sepolcro, avello, arca, lità abusa l'avere; quella mal tiene, que- tomba, monimento, cimitero (Inf. ix, sla mal dà. Il rimproccio che si fanno: 115, 118, 125, 129, 131). Gridando: Perchè tieni ? e perchè burli ? Fra Guitt. Lett. a Fior.: Ben denno son gli estremi viziosi dannati dalla ra- rifiutare e padre e voi, e nel sepulcro Questi risurgeranno del sepulchro e ispogliarsi a vostra fine (morte) rifiu- capo; le dame bicipiti de' di nostri abtando voi ed ogni vostro. bandoneranno nelle pulide arche il poCOL PUGNO chiuso. Bene il Torricelli, sticcio cignone; e i rustici cotennoni, il Bianchi, il Tommaseo ec. notano da che or si fan londuti e rasi, appresenteDiodoro Sicolo che: Sinistra compressis rannosi col coperchio peloso, non più zucdigitis tenacitatem, atque avaritiam conati. Vedi ora il grande spettacolo! significat. Mentre tutti gli uomini, che nacquero e E QUESTI CO'CRIN mozzi. Se gli avari ri- morirono, dagl'incunabuli del mondo sorgeranno del sepolcro col pugno chiu- alla fine de' secoli, saran per comparire so, parrebbe che i prodighi, per lo con- alla gran Valle, co’ suoi capelli ciascutrario, risorger dovessero con la mano no; dovranno i soli prodighi andarne aperta. Ma poichè l' avaro ha la mano senza. Perocchè se di qua le chiome e le quanto raltrappata a dare, tanto distesa zazzere sono ornamento di civile persona e pronta a pigliare (a), ragionevolmente e segno di gentilezza e di non basso stail P. non attribuisce al prodigo la mano to di chi le azzima e le coltiva, ed è da aperta e larga, qual segno di prodigalità. rozzo plebeo andare in zuccone: di là, Che se poi l'avaro mostra al Giudizio sol- che non si reputa a colpa di nessuno tanto la mancina chiusa ; ciò vuol dire, l'essere vilmente nato, l'alta giustizia diche non è reo chi accumuli oneste ric- vina con dare a chiunque la sua capelchezze, ma chi non ne faccia il suo pro- latura, cancella ogni segno di distinziode e l'altrui (b). ne ed ammenda per l'eguaglianza natuVediamo ora a quale intendimento si rale, il difetto della nemica fortuna. Nonfan suscitare i prodighi co' crin mozzi. dimeno colui che non sa dare con senno Di quanti ne verranno su dalle tombe e misura, ma dissipa le sue sostanze, e e da' cimiteri al Giudizio universale, cia- di ricco impoverisce (c), è giusto che, scuno (Inf. VI, 98) in pena della propria sloltezza, sia moRipiglierà sua carne e sua figura: stro a dito davanti a tutta l'umana gene , e al cospetto del supremo Giudice pari razione, in figura di rozzo ed abbietto, saranno i despoti e gli schiavi, i ricchi qual per sua opra divenne. E che tanto e i poveri, i nobili e i plebei. Le corone significhino i crini mozzi non pare da non fregiano le teste de' Re, nè gli allo- mani i servi rozzi e semplici eran tondu mettersi in dubbio. Infatti presso i Rori cingono le dotte fronti de' poeti, e quelle de' valorosi capitani. Non codini, ti; i comali o compti eran gli astuti e non crini cimati, non zazzere olenti di delicati. La testa tosa e la barba rasa vi soavi profumi; non addirizzalure, non fu per alcun tempo indizio di virilità; ma forsecchine, non trecce, non ricci; non Giulio Cesare copriva co' radi bioccoli la opera qual si sia o di pellini, o di forbi- parte calva del capo, Cincinnato si nomici, o di calamistri. Ma quale che natura fe l'uomo, tal v'anderà egli, non accon (C) Nota, lettore, che non si vuol confondere i prodighi con gli scialacquatori e coi biscazzieri ciato per proprio studio od arte di par- o barattieri, che violenti ne'loro beni son messi rucchiere. Quindi uomini e donne de- dal Poeta nel secondo de' tre gironi, ne' quali formate dalla calvizie avran capelluto il înf, X1, 40 seg. XIII, 115 seg.). Onde non pare è scompartito il settimo cerchio infernale (Vedi siensi avvertiti di questo coloro che comentando (a) Lotario Cap. XIII: Avarus ad petendum dicono: I crin mozzi significano la prodigalità, promptus, ad dandum tardus... largus in alieno perchè lo scialacquatore tutto fonde, come pur sed parcus in proprio... Gulam evacuat ut ar- oggi si dice, fino ai capelli. Bianchi ed altri. cam impleat; corpus eatenuat ut lucrum exten- I prodighi risorgeranno co' crin mozzi, perdat. Manum habet ad dandum collectum, sed ad chè forse, venduta ogni cosa, da ultimo si venrecipiendum porrectam: ad dandum clausam ad dettero la chioma. Torricelli. Chi scialacqua o recipiendum aperiam. vende fin la chioma, Dante chiama baratiiere, (b) Se tu vuoli avere Prudenza.... acconcia te non prodigo; e dà giustamente al primo più sì come la mano face, che tuttavia (sempre) è grave pena, che al secondo. Mi perdoni l'illuuna medesima e quando ella è chiusa e quando stre Torricelli, se gli noto questa svista in un ella è aperta. Bono Giamb., Forma d'onesta vita. poema ch'egli sapeva a menadito. na da' lunghi cirri, Berenice è celebrata consuetudine significava ch'elle, non più dalla chioma volata agli iddii (a). Dionigi libere nel loro stato, passavano sotto la ruba i crini d'oro ad Apollo, Venere si lo- dipendenza di lui. Ond'è che la donna da dai biondi capelli, a Cupido ondeggia- nubile si disse Vergine in capillis od no inanellati sugli omeri. Gl'italiani gli intonsa (Murat. Rer. italic. script. tom. tennero in pregio, fino all'onor del codi- II, p.5); e che dura ancora tra noi la sano; nè gli aristocratici, salvo che ai garzo- cra cerimonia d'arritondare i capelli alle ni, non li rasero mai. Quindi tosi e tose suore ed ai frati, i quali rinunziano al per fanciulli e fanciulle. Nel Dittamondo: secolo, e non più indipendenti e liberi, Non è da toso che legge l'abbi. si rendono servi di Dio ed annegano la il Boiardo (Lib. III, C. VII, 61): propria volontà (c). Le chiome le tagliò come a garzone. Dal che si fa chiaro, i crini mozzi, che nel Centiloq. del Pucci: Dante attribuisce ai prodigbi, esprimere E tutti cittadini servitù, dipendenza, e vil condizione pleV'andavan, così il toso, come il raso. bea. Che se l'avaro è servo solto la siDove toso è il piccolo d' età, ovvero, gnoria tirannica della sua passione ; il come altri intende, l'uomo vile e plebeo. prodigo, poichè si fu spogliato della soa Ne' framm. stor. rom. (Lib. III, cap. IV): proprietà, in cui consiste il fondamento Tagliava li capelli e le varve de auro della creazione, la condizione dell'esiche avevano li sii Dii. I plebei, che non potevano nè allicchisarsi, nè scrinar la vien servo di tutti, e ricordasi invano del stenza, il coefficiente della vila (1), dichioma, la si mozzavano; dando perciò tempo felice nella miseria. segno certo di servitù e di condizione Resta da ultimo a vedere com'è che, tribolata e tapina. Orazio (Lib. I, Epist. fra tante anime nere, si scelgano i soli VII, 50) dice: prodighi e gli avari allo spettacolo, che Consperit, ut aiunt, Adrasum quemdam vacua tonsoris in umbra. su è detto. L'Alighieri trova nell'avaritoccando il costume di certi zotici, i qua- zia, e quindi nell'opposto vizio, la trista li, per non istare a spendere ogni poco sorgente di tutti i mali (e); imperocchè i lor quattrini alla barbieria; si facevano, l'udiamo (Inf. I, 49) dire: una per le più volte, tosare i capelli ra Ed una Lupa che di tutte brame sente la cute. Sembrava carca nella sua magrezza, E molte genti fe già viver grame ec. Per pelare o ridurre alcuno a misera condizione spogliandolo del suo, dice All'enfiata labbia di Pluto, ch'è la suanche il nostro volgo: Fare altrui il ca- perba gonfiezza di Mammona, dio delruso, e Plauto (Capt. II, 2, 18) adopera l'oro, fa rivolgere Virgilio con quelle forin questo senso figurato la frase strictim ti parole: Taci maladetto Lupo. attondere: Sed utrum, striclimne attonsurum dicam esse, an per pectinem Nel XX del Purgatorio chiama egli l'a varizia. nescio. Cioè: Non ti so io dire se gli ci il mal che tutto il mondo occupa. merà i capelli, o glieli raderà (b). Appo i Giudei, i Greci, i Longobardi ed altre genti si mozzavan le trecce alle (c) «Presso i Franchi, gli Alemanni,i Sassoni, i Wisigoti, gli schiavi avevano la testa rasa ; giovani che andavano a marito: la quale quindi era sommo affronto tosare un uomo libe To, giacchè questo atto gli toglieva l'unica mar(a) Catone il censore è detto intons o da Ora- ca distintiva della sua condizione ». Traité des zio, con epiteto distintivo degli antichi romani; coûtumes Anglo Normandes, tom. I, p. 29. V. appo i quali l'uso di rader barba e capelli fu Melch. Gioia. Merito e Ricomp. tom. I, c. II, $ 4. introdotto dopo 454 anni della fondazione di (d) Filippo Cervo, Prolusione allo studio del Roma, e i barbieri v'andarono dalla Sicilia. Dritto pubblico univ. ec. Nap. 1867. (b) Rudere debbe poter dirsi del capo che si (e) Radix omnium malorum est cupiditas cozuccona; poichè nel miglior fiore della latinità, sì la Volgata. Il testo greco din.cpzupex (Phiil volgo diceva rasores, dove gli altri dicevanó largyria) che Ş. Girol. volto in cupiditas per novaculae, i rasoi. Cantù. Stor. letterat. lat. avarizia; quasi cupidigia più crudèle di ogni Le Monn, 1864, altra. e apostrofandola dice: ed ornate, perocchè non la voglio deMaledetta sie tu, antica lupa, scrivere. Così, l'un dopo l'altro, tutti. Che più di tutte l'altre bestie hai preda, Per la tua fame senza fine cupa! Noi osserviamo, il Petrarca (in una FrotL'avarizia e la prodigalità non solo a tola) dir simigliantemente: Mie parole non fregio: tu tel vedi. gl'individui, ma son disastrose e funeste ai popoli ed agli Stati. Si mostra nella ler tanto, quanto fregiarle. Dante stesso e ne pare, questo appulcrar parole vaLupa romana che nocque alla Religione ci avvisa che dica lo stesso in altri tered alle genti, e nella nuova Italia che mini nella frase: la lingua abborrire fiogitla ai cani le ricchezze sue. I papi ve ri (Inf. XXV, 143 seg.): drem dunque al gran Giudizio compari e qui mi scusi re col pugno chiuso, e l'Italia, se innan- La novità, se fior la penna abborra. zi che venga il finimondo non rinsavisce, cioè se il mio stilo è stato alieno da orfarà di sè miserando spettacolo, mozza il nato ec. Così l'intende il Bargigi ed crine e londuta e rasa infino alla cuti- altri (a). cagna. 61. Buffa e rabbuffa hanno stretta Anche in Purgatorio (XXII, 46-54) affinità: come può andar dunque che Stazio venne scambiato per avaro da buffa vaglia gioco, e rabbuffa valga si Virgilio ; ma dice ch'egli ebbe pecca di turba e s'irritano l'un con l'allro? E se prodigo e lì era a purgarsi con quelli del per altri corla buffa è breve soffio, bre. vizio opposto: ve vanilà, n corto giuoco; com'è mai che Quanti risurgeran co'crini scemi, Per l'ignoranza che di questa pecca cotesto soffio e cotesta breve vanilà fiToglie il pentir vivendo, e negli estremi! gli il verbo Rabbuffare, in sentimento di E sappi che la colpa che rimbecca accapigliarsi e venire a zuffa ? È invePer dritta opposizione alcun peccato, Con esso insieme qui suo verde secca. ro una metamorfosi nuova, che per inPerò s'io son tra quella gente stato canto è comparsa a provare come del fiChe piange l'avarizia, per purgarmi co possa nascere il grappolo e della vite Per to contrario suo m'è incontrato. il fico (b), e che così in filologia non sia Rechiamo questo luogo come comen- da tener conto sempre delle significanze to al passo che qui annotiamo. delle voci per le fonti da cui si derivano. 58. MONDO PULCRO è il Paradiso. L'a- Salva la reverenza debita agli antichi covarizia e la prodigalilà tolse ai miseri il mentatori che fecero o tennero la sopradmondo pulcro; ch'è quanto dire per mal detta interpretazione, quali furono il Boctenere e mal dare son dannali. Mondo caccio, Benvenuto da Imola, il Landino, cieco o malo suole dal nostro poeta il Daniello ec. e tra i moderni più cele. chiamarsi l'Inferno; dolce, chiaro o mor- bri, al Tommaseo, al Bianchi, ed altri ; tal mondo questo della vita presente. a noi pare che Dante voglia qui dire, che i beni dispensati dalla Fortuna son quasi 60. PAROLE NON CI APPULCRO. «Altri li un soffio, del quale gli uomini si rigonbri hanno: parlare non ci è pulcro, qua- fiano come fa otre o vescica, e vanno pesi voglia dire; meglio è tacere, ed in questo modo il testo è più chiaro: Bar (a) Altri, massime i moderni, prendendo fior gigi.») — Veramente questa lettera rende- per alcun poco e aborrare per aberrare; spiega. rebbe quella sentenza detta dal Pocta con no: se alcun poco la mia penna aberra, devia. Il altre parole (Inf. IV, 104):... il tacere le per altro è bella ed ha ragioni per sostenersi. Costa non è per quest'ultima sposizione, la quaè bello. Questo pregiato comentatore (V. B. Bianchi) spone la comunc lezione: Qual' ella sia (b) Ma dell' ulivo che fece il grappolo d'uva diede avviso Alessandro Marchetti al Redi; il questa zuffa, io non ci APPULCRO PARO quale ne lo ringrazia con lettera del 14 settemLE; non ci voglio adatlare parole belle bre 1677. V. vol. IV, pag. 66, Ven. 1728. |