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E disse: taci, maledetto lupo:
Consuma dentro te con la tua rabbia.
Non è senza cagion l' andare al cupo:
Vuolsi così nell' alto ove Michele
Fe la vendetta del superbo strupo.

E Dino Frescobaldi, poeta rinomato anche ai dì dell'Alighieri, dice nella seconda quartina d'un sonetto:

Chè i miei dolenti spiriti, che vanno
Pietà caendo che per loro è morta,
Fuor della labbia sbigottita e smorta
Partirsi vinti, e ritornar non sanno.

Enfiata è dal lat. Inflare, soffiar dentro. Così Dante stesso usò Rabbuffare, parlando di quelli, che rigonfiansi della fortuna che spira loro seconda. Cotesto fiato, ch' empie di vanità perfino gli otri e le vesciche, venne adoperato a dinotare la superbia e l'orgoglio. Drance, appo Virgilio (En. XI, 346), detto che i Rutuli sapeansi bene le tristi sciagure, alle quali erano trascinati dalla imprudente guerra di Turno contro Enea, ma che non diccan pur motto per paura dell'orgoglioso Re; soggiugne:

Det libertatem fandi, flatusque remittat ec. dove flatus è superbia, arroganza ec. Bono Giamboni, Giard. di Consol. cap. 1: 0 uomo perchè enfi? cosa fastidiosa perchè insuperbisci? Già della Rana vanitosa disse Fedro (I, 24) Rugosam inflavit pellem ec. ; e il Nostro afferma (Purgat. XI, 100) che:

Non è il mondan rumore altro che un fiato
Di vento, ch'or vien quinci ed or vien quindi ec.
Degna cosa che la superbia si risolva
in yento.

8. LUPO. Lupo detto Pluto, dio delle ricchezze. Maledetto lupo, come altrove (Purgat. XX, 10) all'Avarizia è detto :

Maledetta sie tu, antica lupa. e nel I di questa cantica:

Ed una Lupa che di tutte brame ec. (a). 10. NON È SENZA CAGION ec. Veggasi Inf. V, 22, not.

12. STRUPO si vuol per Metalesi detto invece di Stupro, e questo preso in sentimento di fornificazione, ch'è secondo

(a) Non fa che in questo verso sia posta la femmina; poichè dee simboleggiare la Curia romana o la chiesa corrotta, che per istudio di beni temporali puttaneggia coi re.

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la Bibbia defezione o conversione da Dio agl'idoli; e si prende anche per la ribellione degli angeli mali. Il Venturi, il Volpi, il Lombardi, ed altri, ci danno simile interpretazione. Il Bargigi: Per similitudine chiama qui STRUPO il peccalo di Lucifero, il quale volle delibare ed usurparsi la inaccessibile gloria, ed incomprensibile maestà divina. Il Zacheroni (1838) nella contro-nota: «Strupo è voce di quasi tutt'i dialetti italiani originata dal Celtico, che significa truppa, esercito, adunanza d' uomini, legame: ed in questo suo vero significato l'ha adoperato qui Dante dicendo, che Michele fece la vendetta del superbo strupo, cioè si vendicò non del solo Lucifero, ma di tutta la superba schiera degli angeli ribelli.» Il Nannucci (Sopra la parola Coto etc.): «Gli editori Padovani ed il Fiorentino annotano che Strupo è spiegato dal P. Beccaria per branco, e che nel dialetto Piemontese è usato strup per branco di animali specialmente; la qual voce ottimamente si adətta alla turma degli angeli ribelli. Che Strupo valga qui truppa, schiera ec. e non Stupro per antitesi, come dicono alcuni commentatori, non è da dubitare; se non che non deriva dallo strup de' Piemontesi, ma dal latino barbaro Stropus che significava grex, certus ovium numerus, e per traslato, moltitudine di persone, truppa di gente. La radice, come ha osservato il Grassi, è nell'antico Teutonico troppe, trop, ed in alcuni di quei dialetti strop, (b) onde il troupeau e la troupe Con tutto questo, il Tommaseo dice che: de' Francesi, e la truppa degl' Italiani.»> far vendetia d'una mollitudine non par che regga; ma non ci ha ragione perchè non paia potersi egualmente dire, vendicarsi dell' offesa, che degli offensori. Il

(b) In una carta del 1268. Et ceperunt eas (oves), el duxerunt eas usque ad alias, et ibi ceperunt STROP de dictis et duxerunt illud STROP ad Baucium, et alias ibi pastoribus reliquerunt.

Quali dal vento le gonfiate vele

Caggiono avvolte, poichè l' alber fiacca; Tal cadde a terra la fiera crudele. Così scendemmo nella quarta lacca,

Prendendo più della dolente ripa, Che 'l mal dell' universo tutto 'nsacca. Ahi giustizia di Dio! tante chi stipa Nuove travaglie e pene, quante io viddi?

Torricelli tiene col Tommaseo strupo per defezione. Il Bianchi par non preferisca l'una spiegazione all'altra.

16. LACCA, Lago, fossa, cavità, caverna. Lat. Lacus, gr. λxxxos (laccos). Xxx8 (laccous) hypogaeum, seu ba rathrum, locum poenae equorum destinatum (significat). Turneb. alla frase in puteum di Plauto, Aulul. II, 5, 21E vedi Inf. III, 41, not. Il Bargigi: Quarta lacca, quarta costa ovvero discesa del quarto cerchio.

19. STIPA. Il Boccaccio intende stipare per riporre; altri per ammucchiare. E in vero, la proprietà della voce che par derivi dal greco sɛiew (stibo) astringo etc. porta a cotale significazione. Non sarebbe,a nostro credere, strano intendere che Dante dicesse in sentenza: 0 Giustizia di Dio, chi fuor di te STIPA mai, tien preparati e in serbo ai rei, lormenti sì gravi e inauditi ec.? Minaccia ai colpevoli che ci vivono, per ritrarli dal vizio, siccome per incuorare e infiammare a virtù si dice per lo contrario con Virgilio ai buoni: vosmet rebus servate secundis:

Or durate magnanimi e voi stessi

Serbate prego ai prosperi successi. (Tasso) Io te la stipo è tra i contadini nostri una frase,che accenna a volontà di futu

ra vendetta.

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Parad. 33, 136:

Qual'è il Geometra ec. Tale era io in quella vista nuova. insolita, maravigliosa, non più veduta. Purg. XIII, 145:

Oh questa è a udir sì cosa nuova... che ec.
Il Petrarca Canz. 18, 6:

Io sento in mezzo all'alma
Una dolcezza inusitata e nuova.
Son. 34:

Più non asconde sue bellezze nove:

non più vedute, maravigliose. Canz. 31, 1:

Qual più diversa e nova

Cosa fu mai in qualche stranio clima. insolita, mostruosa, strana ec. Din. Comp. Intell.:

Per lo palazzo andando i' vidi bene Di nove cose, ch'io non vidi mai ec. taliani, in usare il vocabolo nuovo, punDai quali esempi si fa chiaro che gl'ito non mutarono il significato, in cui fu novus adoperato da' Latini.

TRAVAGLIE. Molti nomi che oggi dal sing. finito in o hanno il plur. in i, ebbero antic. la desinenza in a, e quindi il plurale in e. Guido delle Colonne: Ma voi, madonna, della mia travaglia Che si mi squaglia, - prendavi mercide. Novelle ant. 61, 1: Ercole fu uomo fortissimo oltre li altri uomini, e aveva una sua moglie, la quale gli dava molta travaglia, cioè briga, tormento.

E perchè nostra colpa si ne scipa?

Quindi, oltre Dante, Vanni d'Arezzo:
E le travaglie ch'abbo notte e giorno.
I provenz. La trabalha.

Odo delle Colonne:

Per uno, che amo e voglio,
E non aggio in mia baglia,
Siccome avere io soglio;
Però pato travaglia.
Din. Comp. Intellig.:

Per me soffert'avete gran travaglia
A conquistar molti paesi strani.

A questa medesima regola appartengono la vestigia, la verba, la vestimenta, la frutta, la legna, la sponsalizia, la poma, la grida, la risa, la gesta: e così idola, bisogna, fatta, indugia, santuaria, lenzuola, auguria, membra, cordoglia, strida, dita, urla, calcagna, castella, sagramenta, vangela, elimenta, scrigna, digiuna, quadrella, intestina, ova, ginocchia, tormenta, braccia, corna, ciglia, cervella, budella, mura, miglia, prata, ossa, entragna, olocau sta, ingegna, esordia, proverbia, micidia, servizia, esercizia, tedia, flagella, macigna, obbrobria, vincula, moggia, lustra, esordia, misteria, proemia, ginnasia, regna, vimina, ec. i quali nomi adoperaronsi al singolare ed uscirono poi al plurale in e come vestigie, pome, gride, rise ec. ec. Sicchè regolatamente il nostro Poeta disse:

Parad. XXXI, 81:

E che soffristi per la mia salute In inferno lasciar le tue vestige: avendo ne' Serm. S. Agost. 20: Questa vestigia del serpente alcuni seguitano ec. E Din. Comp. 1. 3. Con tutto che i Bianchi tenessero alcuna vestigia di parte Guelfa ec.

Inf. XXXIII, 119:

I'son que' delle frutte del mal orto.
E il Pulci, Morg. C. XXXIII, 47:
Pere avea pure, e qualche frutta fratta.
Parad. XII, 61:

Poichè le sponsalizie fur compiute.
Ed il Boccacc. Tescid. XII, 75: a cost
altera Isponsalizia, invocata Giunone.
Inf. XXXI, 17:

Carlo Magno perdè la santa gesta.
E quindi le geste che anche oggidì si usa.
Inf. XXIII, 141:

Poi disse: mal contava la bisogna.

Il Villani 6, 76:

Per molte bisogne ch'avea ec.

Purg. XII, 21:

Che solo a' pii dà delle calcagne.

In questo abbiamo imitato i Latini che dissero Factum e Facta, Vestigium e Vestigia, Gestum e Gesta, Sponsalicium e Sponsalicia; ed infiniti altri di simil fatta.

VIDDI. Onde la doppia dd, se da Vedere, che l'ha scempia? La numerosa schiera de' grammatici non isgroppa questo nodo; comecchè ricorra alle grazie della rima, alle antitesi ed all' epentesi. Imperocchè fuor della rima Lemmo di Gio. d'Orlandi;

Ch'eo viddi che sua vista era cangiata.
Il B. Jacopone Lib. III, Od. XXI, 4:
Perchè viddero empir la profezia.

Ed in prosa, Vit. SS. Padri, 1, 10: Ecco subitamente vidde uscire del deserto ec.

E così mille altri esempi.

Da Videre venne vidi alla latina; ma come anche il presente aveva antic.vido, vidi, vide ec., a fine d' evitar l' equivoco, s'aggiunse al passato un d; sicchè vidi divenne viddi. Così da Vedere venne veddi, per distinguersi da vedi seconda del presente indicativo. Oggi può star bene vidi, nè ci è timore che venga scambiato con la predetta persona del dimostrativo; la quale non è più vidi, ma vedi. Ma notisi che le son due voci tolte dallo stesso verbo, in due diversi modi configurato.

21. SCIPA. Scipare è guastare, altritare, Boccaccio. Il Monosini fa venire Scipare dal greco ɛ (saepein) ch'ei spiega delerere ac male habere. Il Rosa Morando trae la voce dal lat. sipare, velar la scena; quasi che lì quegli sciagurati fossero chiusi e coperti come i mimi obsipantur dall' aulaeum o dal sipario! V'ha chi creda scipa tutt' uno con sciupa. Nel vernacolo calabrese, noi abbiamo ancora Ascippare per sradicare sterpare, spiantare; Ascippa lo scavo che si fa nella terra per porvi la vigna, mandandovi a male ogn' altra pianta e sterpandone ogni antica radice ec. perchè si purghi il suolo e liberi d' ogn'ingombro. Scippo dicono i Napoletani alle scalfitture, e massime alle sgraffiature,

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Come fa l'onda là sopra Cariddi,

Che si frange con quella in cui s' intoppa;
Così convien che qui la gente riddi.
Qui vid' io gente, più ch' altrove, troppa,

E d'una parte e d'altra con grand' urli
Voltando pesi per forza di poppa.
Percotevansi incontro, e poscia pur li
Si rivolgea ciascun, voltando a retro,
Gridando perchè tieni? e perchè burli?

che le gatte far sogliono co' loro zampi-
ni. Sotto sopra, Dante qui vuol dire, che
la divina giustizia accisma que' malnati
e gli acconcia per le feste.

22. CARIDDI. Gli eruditi traggono questa voce dal greco and 78 xai ei, ovvero da κασκειν · ab hiando, e pudy

impetuose. Il Bocarto la deriva dall'ebraico Chor-obdan, cioè foramen perditionis. Scilla poi dal gr. oz.λELD

vexare.

Questa terzina venne assai bene, comecchè largamente, illustrata dal Bargigi. Il quale vide con gli occhi suoi più volte cotesta ridda, là sull'euripo di Messina; quando pel flusso e riflusso delle acque, il rintoppo o scontro delle opposte correnti fa: che premendosi onda contr'onda e torcendosi ciascuna corrente in sè medesima ivi si causano molle voragini ovvero gorghi, i quali violentemente corrono in giro ec. sicchè la comparazione, presa da questo fatto ovvio e sensibile, dipinge a vivi colori il perpetuo cerchiare e cozzar dei prodighi con gli avari.

24. RIDDI. Riddare è far la ridda, o il ballo tondo, girare intorno. È forse dal lat. Redire, onde reddire, reddare, riddare cioè tornare, e questo per girare, muoversi in giro. (Vedi v. 22 e 31,not.). 25. TROPPA, add. numerosa ec. L'avverbio Troppo, dice il Raynouard, fu dal nome troppus, che nel basso latino valse moltitudine, folla ec. Ma il filologo francese ne lascia ancor digiuni dell'etimologia della voce. Il Salvini pensa che dal lat. opus, bisogno, necessità, i Toscani facessero uopo, i Provenzali ops; e quindi gli uni truopo, e gli altri trops in sentimento di trans opus, cioè di là del bisognevole.Per noi più naturalmente

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discenderebbe la voce da ultra opus, cioè più che non fa mestieri ec.

28. LI. Avverbio locale che vale quisiccome ce ne fan fede, fra gli altri, i sevi, in quel luogo. Ne venne dal lat. illic, guenti passi del B. Jacopone, che per it usò illi.

Lib. V. C. XII, 7:

Che sempre illi vorria stare.
Lib. III, Od. XVIII, 15:

Illi el toro si doma.
Dai Provenzali, che mutarono illic in
lhi, proferendo lh come gl, i nostri anti-
chi usarono anche gli per l.

Vuol notarsi eziandio che ne' primordi di nostra lingua questo avverbio li non si segnava di accento, come oggi facciamo, per distinguerlo dall' articolo; onde mal si appongono coloro che dicono, aver Dante, in grazia del metro e della rima, spogliato dell' accento codesta voce; chè non poteva in vero venir essa privata di ciò che non aveva.

30. Due motti, co' quali i prodighi c gli avari si rimbeccano l'un l'altro.

Pare che la forza indita nel verbo burlare, la primitiva e propria accettazione, in cui si tolse al principio, sia quella di rotolare, ruzzolare. Burlar è voce Provenzale che vale Esser largo, liberale, munifico. E come chi è tale sovente trapassa i limiti e dà nell' eccesso; quindi in cattivo senso, scialacquare, sprecare, gittar via il suo ec. Ma non si venne a tale significazione che per translato, dall'effetto, cioè, naturale che viene dal gittare e trarre le pallottole in giucare, o ruzzola, o altro corpo ritondo che sia; il quale, com'è uscito di mano, o comunque spinto va per china al diavolo. I calabresi chiamano ròzzuli i debiti d'un pover uomo che abbia ruzzolato o mandato a

Cosi tornavan per lo cerchio tetro
Da ogni mano all' opposito punto,
Gridandosi anche loro ontoso metro:
Poi si volgea ciascun, quand' era giunto,

Per lo suo mezzo cerchio, all' altra giostra.
Ed io, ch' avea lo cor quasi compunto,
Dissi: Maestro mio, or mi dimostra
Che gente è questa; e se tutti fur cherci
Questi chercuti alla sinistra nostra.

male il suo avere; che dicono figurat. Arrumbulare, come rumbuli i guai di tal genere, e rùmbulu propr. il gomitolo. Anche i Romagnuoli Burler gittare la prima palla; Burlador chi gitta primo il pallino o grillo; Burlen il pallino stesso che fa di segno, in giucando alle pallottole. Or coma si dica Burla, Burlarsi di uno non è mica difficile a intendere. Burla è, moralmente e figuratamente parlando, il giuoco che uno vuol prendersi d' altrui; e burlarsi di uno è analogamente lo stesso, che farlo segno a' dileggi, volerne la baia e simili. Che poi il nostro Poeta abbia avuto in mente questa proprietà di voci, e l'abbia con senno volta alla figurata accezione, a me par di vedere, averlo egli significato sensibilmente in que' miseri avari e prodighi che vide:

Voltando pesi per forza di poppa: dove, al facile voltare e rotolare emandare a rovina le facoltà in vita, si pone in contrapposto il voltar pesi, non più com'ci fecer la roba, che quand'altri non la mantiene, si muove e va via da sè; ma per forza di poppa, cioè a gran fatica ec.

Il Bianchi dice bene: Burlare è dal Provenzale Burlar che vale esser liberale, largo del suo : quindi per estensione scialacquare, buttar via. Ma coteste estensioni, così in astratto, possono estinguere, e non estendere il vero concetto del vocabolo agli altri che gli sono affini. E avvegnachè non bisogni trascorrere in fatto di lingua, ma camminare anzi col calzar di piombo; pure io sospetto almeno che da cotesto burlare si originino Burlare per ischernire, beffare, Burla scherno, beffa; Berlina quasi Burlina pubblico scherno, ch'era un mal giuoco o scherzo; Berlingaccio, Ber

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lingare e simili, che comprendono l'idea di un beffare più o meno lecito ne' baccanali cristiani, e di ciaramellare scherzando ec. Anche abbiamo Prendere a gioco, e jocus, giuoco, trastullo, e il fictis jocari... fabulis, che fu la più terribile satira fatta prima da Esopo, e poi da Fedro alle bestie umane. Così da cotesto Burlar hai da trarre seriamente l'origine di molte altre parole.

In sentimento di sciupare,gittare via, spendere senza pro ec., il Pucci usò la stessa voce Burlare nel Centiloq. 76, 26: Di cui parole più oltre non burlo.

È adunque dotta di soverchio e troppo sottile la chiosa che N. Tommaseo fa di questo passo, nelle sue illustrazioni (Milano 1866); ed incidentalmente nel ragionamento dopo il XXII del Purgat., pag. 386 seg., dicendo così: « Forse nel << motto dell'Inferno che gli avari dicono « ai prodighi, perchè burli? si ha a in<< tendere non solo perchè butti tu via ? « ma perchè col buttare deridi tu il mio « tenere? dandosi alla parola doppio << senso, quasi come al berner de' Fran«cesi, e all' italiano sbertucciare che << vale e deridere e sgualcire maneggian<< do ». Con tutta la reverenza debita a tanto uomo,direm francamente ch'egli ha detta una bella cosa che Dante non disse.

Come il Pucci, nell'allegato passo, adoperò la voce burlare; così e nel medesimo sentimento l'Allighieri disse (Purg. XXIX, 97 seg.):

A descriver lor forma più non spargo

Rime, lettor; ch'altra spesa mi strigne Tanto, che in questa non posso esser largo. 31. TORNAVAN, giravano. Franc. tourner. Anche a noi si venne questa voce da' Provenzali.

Ila qui insieme forza di riedere.

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