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E quell' Amor, che primo lì discese.
Cantando:
: AVE, MARIA, GRATIA PLENA,
Dinanzi a Lei le sue ali distese (1),

ed ogni vista sen fe più serena (2), e quell' Angelo guardando negli occhi Maria,

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Innamorato sì, che par di fuoco (4).

Veramente nulla di più grande e di più leggiadro hanno le moderne letterature da potersi mettere a confronto coll'inno a Maria, che Dante fa dire a S. Bernardo (5), sia che si consideri l'altezza dei concetti, la vivezza del sentimento, l'ingenuità efficace del pensiero (6): e a compimento di

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(1) Ibid. XXXII. 88. V. Convito tratt. II. cap. 6, e l'Ave Maria tradotta da Dante.

(2) Parad. XXXII. 99.
(4) Parad. XXXII. 103.

(3) Purgat. XX. 97.

(5) La Canzone del Petrarca Vergine bella, avvegnachè assai leggiadra, quanto non è inferiore per ogni rispetto a quest' inno dell' Allighieri! inferiore di tanto, quanto Laura, per bellezza morale, è vinta da Beatrice.

(6) In quest' inno l'affetto è in proporzione dell' umiltà, come l'umiltà di Maria è principio e compimento della sua grandezza: Umile ed alta più che creatura (v. 2.), vero tipo di bellezza spirituale ignota alle letterature antiche, in piena corrispondenza al detto evangelico qui se humiliat, exaltabitur: e Dante sapientemente usa umiltà per gloria, dicendo:

Nel ciel dell'umiltà, dov'è Maria (Vita N. § XXXV.).

ogni elogio, tutto racchiude in queste terzine, che fanno palpitare ogni cuore di figlio, e ch' io reco per intero:

Vergine Madre, figlia del tuo Figlio,
Umile ed alta più che creatura,
Termine fisso d'eterno consiglio,
Tu se' colei, che l'umana natura
Nobilitasti sì, che il suo Fattore
Non disdegnò di farsi sua fattura.
Nel ventre tuo si raccese l'amore,
Per lo cui caldo nell'eterna pace
Così è germinato questo fiore.
Qui sei a noi meridiana face

Di caritade; e giuso, intra i mortali,
Se' di speranza fontana vivace.

Donna, se' tanto grande e tanto vali,

Che qual vuol grazia, e a te non ricorre,
Sua disianza vuol volar senz'ali.

La tua benignità non pur soccorre
A chi dimanda, ma molte fiate
Liberamente al dimandar precorre.
In te misericordia, in te pietate,

In te magnificenza, in te s'aduna

Quantunque in creatura è di bontate (1).

E la Vergine, che co' preghi suoi dislega ogni nube di mortalità (2), piacente ascolta le suppliche e drizza, in atto di assenso, gli occhi da Dio diletti e venerati all' eterno Lume,

(1) Parad. XXXIII. 1-21.

(2) Ibid. 31.

Nel qual non si dee creder che s'invii

Per creatura l'occhio tanto chiaro (1):

e questo indiarsi di Maria è, se ben m'avviso, quanto di più sublime possa invero concepire la mente umana, e la poesia descrivere; eccesso di luce, eccesso di amore, quindi pienezza di pace, felicità perfetta:

Ed io ch' al fine di tutti i disii

M'appropinquava, siccom'io doveva,
L'ardor del desiderio in me finii (2).

E già per le preghiere della Vergine il sommo piacer gli si dispiega (3); onde dal favor di Maria corroborato, la vista di lui, venendo sincera,

E più e più entrava per lo raggio
Dell'alta luce, che da sè è vera (4).

(1) Parad. 40 e segg. (2) Ibid. XXXIII. 47.

(3) Ibid. 33. (4) Ibid. 52.

V. la distinzione, che Dante a buon proposito fa tra luce, raggio e splendore (Convito, tratt. III. cap. 14).

V.

La luce però e l'amore dei Beati, e di Maria, che tanto maravigliosamente si svolge e si innalza nella Divina Commedia, non è se non se un raggio dell'Amor Primo (1) e della Prima Luce (2), Luce viva, che si mea

Dal suo Lucente, che non si disuna

Da Lui, nè dall' Amor, che in Lor s'intrea (3).

Nondimeno, avvegnachè la luce di Dio penetri per l'universo (4), pure tanto si leva dai concetti mor

(1) Parad. XXVI. 38. e XXXII. 142.

E Ibid. X. 3:

Lo primo ed ineffabile Valore. Cf. Ibid. XXIX. 143.

(2) Ibid. XXIX. 136.

(3) Ibid. XIII. 55. E ibid. XXXI. 28:

O Trina Luce, che in unica Stella

Scintillando a lor vista sì gli appaga.

E Ibid. XXI. 83:

Luce divina sovra me s'appunta....

Mi leva sovra me tanto, ch'io veggio

La Somma Essenzia, dalla quale è munta: Quinci vien l'allegrezza, ond' io fiammeggio. (Vedi Dante traduz. del Credo, terz. 10, e Convito tratt. II. cap. 6).

(4) Ibid. I. 2. E Ibid. XVII. 17:... Il punto, A cui tutti li tempi son presenti. Aristot. Phys. VI: «Dio è quel punto, a cui tutte le cose son presenti; se il punto non fosse indivisibile, avrebbe in sè del passato e del futuro.

tali (1), che solo Iddio intende sè stesso:

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O Luce eterna, che sola in te sidi,

Sola ti intendi, e, da te intelletta
E intendente, te ami ed arridi! (2)

E Dio è Sole che sempre verna (3), e che di viva luce accende le lucerne celesti (4), Primo Intellet

Parad. XXI. 50: Colui, che tutto vede.
Purgat. XIV. 151: Chi tutto discerne.

Colui, lo cui saver tutto trascende.

Inf. VII. 73:

E Parad. IX. 73: Dio vede tutto.... e perciò tutto giuggia (Purgat. XX. 48).

E Purgat. X. 94: Colui, che mai non vide cosa nuova.

Parad. XXIII. 36: Virtù, da cui nulla si ripara.

E Ibid. XXIX. 77:

La faccia di Dio.... da cui nulla si nasconde.

E Ibid. XXIV. 130:

Dio

Solo ed eterno, che tutto il ciel muove

Non moto, con amore e con disio.

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V.

E Convito tratt. II. Cap. 4: « Quieto e pacifico è lo luogo di quella somma Deità, che Sê sola compiutamente vede.» Epist. XIV. § 26.

(1) Parad. XXXIII. 67.

(2) Parad. XXXIII. 124. E Ibid. XXVI, 106:

Verace speglio,

Che fa di sè paregli all' altre cose,

E nulla face lui di sè pareglio.

E S. Tommaso Somm. 1. 2. 102: « Dio vede sè in sè stesso, e gli altri enti in sè; l'uomo vede come in ispecchio. "

E Ibid. 1. 1. 12: « Ogni cosa vedesi in Dio, come in ispecchio. " (3) Parad. XXX, 126. Convito tratt. III. cap. 14: « Là dove questo Amore splende, tutti gli altri amori si fanno scuri e quasi spenti. »

(4) Ibid. XXIII. 29.

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