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Dante trasumanato per l'effetto di tanto maravigliosa bellezza, tutto si affigge in Beatrice (1), e rimovendo l'animo d'ogni altro intento (2), si bea giocondo in lei, che

raggiava d'un riso

Tal, che nel fuoco faria l'uom felice (3);

ond'è che al mistico viandante pare in quella vista di toccar lo fondo

Della sua grazia e del suo Paradiso (4).

Vero è che non sempre può sostenere tanta luce

(1) Ibid. I. 65 e segg.

(2) Ibid. XXI. 1. e segg. ES.

Agostino: «Quando sarai tale, che nulla di terreno ti alletti; in quel punto di tempo, credimi, vedrai quel che brami. » Concorda col Purgat. IV. 91 e segg. IV. Ibid. XXXII. 1. e segg. (3) Parad. VII. 17. V. anche Ibid. XXIII. 22.

(4) Ibid. XV. 35.

XXVII. 38):

Ed ha riscontro in quest'altro (Ibid.

La mente innamorata, che donnea

Con la mia Donna sempre, di ridurre
Ad essa gli occhi più che mai ardea.

E se Natura, o Arte fe pasture

Da pigliar occhi, per aver la mente,
In carne umana, o nelle sue pinture,
Tutte adunate parrebber niente

Vêr lo piacer divin, che mi rifulse,
Quando mi volsi al suo viso ridente.

E ibid. XIV. 131:

Il piacer degli occhi belli,

Ne' quai mirando m io desio ha posa.

amorosa, che piovea degli occhi e del sorriso di Beatrice (1):

Ed ella non ridea. Ma, s'io ridessi,
Mi cominciò, tu ti faresti quale
Semele fu, quando di cener fessi:
Chè la bellezza mia, che per le scale
Dell'eterno palazzo più s'accende,
Com' hai veduto, quanto più si sale,
Se non si temperasse, tanto splende,
Che il tuo mortal potere al suo fulgore
Sarebbe fronda, che tuono scoscende (2).

E altrove:

Se mo' sonasser tutte quelle lingue,
Che Polinnia con le suore fêro
Del latte lor dolcissimo più pingue,

Per aiutarmi, al millesmo del vero

Non si verria, cantando il santo riso,

E quanto il santo aspetto facea mero (3): prodigio di altezza intellettuale ed estetica, a cui potea sol giungere l'altissimo ingegno di Dante rinvigorito dalla fede più pura.

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E atto di amore vivissimo è il rispondere, che a S. Giacomo fa Beatrice per Dante intorno alla speranza (4); ma terribile il trascolorare e il mutar

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sembianza nella innamorata donna al pianto dei Celesti sul creduto usurpatore della Sede Pontificia, pareggiato solo dallo zelo dei Santi (1). Ma perchè il dritto zelo altro invero non è che fervido amore spirante di quel Bene che tutto il regno dei Beati volge e contenta (2), poichè si compenetra e identifica colla giustizia Infinita, e beati son quelli che ne sitiscono (3), Beatrice, per la sempre crescente progressione della luce e dell'amore, risplende più vivace; ed eccola

ridendo tanto lieta,

Che Dio parea nel suo volto gioire (4).

Ma al sommo Poeta stava forte a cuore di attenere la sua promessa, fatta di già più che venticinque anni addietro, nel conchiudere la sua Vita Nuova (5); ned egli era tale da venir meno alla fatta promessa; e come l'abbia saputa compiere, giudichi il lettore.

(1) Parad. XXVII. 20-39. (3) Purgat. XXII. 5.

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(2) Ibid. VIII. 97.

(4) Parad. XXVII. 104. (5) § XLIII. in fin. "Appresso a questo Sonetto, apparve a me una mirabile visione, nella quale io vidi cose che » mi fecero proporre di non dir più di questa benedetta, in» fino e tanto ch'io non potessi più degnamente trattare di » lei. E di venire a ciò io studio quanto posso, sì come ella sa » veracemente. Sicchè, se piacere sarà di Colui, a cui tutte le » cose vivono, che la mia vita per alquanti anni perseveri, io "spero di dire di lei quello, che mai non fu detto d'alcuna. >>> V. anche Convito tratt. II. cap. 9.

Pervenuto dal Primo Mobile (1) al Cielo Empireo, che è quello che più prende della luce di Dio (2), cioè a dire giunto al termine del tempo e del luogo, ed entrato nell'eternità e nella infinità, dove regna e splende perpetua

Luce intellettual piena d'amore,

Amor di vero ben pien di letizia,

Letizia che trascende ogni dolzore (3),

e Beatrice essendo in quello di girsene al trono che i suoi merti le sortiro (4), donde s'era per la salute di Dante dipartita (5), vedendo omai l'eccelso e la larghezza dell'eterno Valore (6), a compendio di quanto avea detto di lei, pronunciatone il nome venerato ben cinquantadue volte (7), tesse di lei questo elogio, che donna altra non ebbe a sentire, nè certo sentirà giammai:

(1) Parad. XXVII. 109:

E questo cielo non ha altro dove

Che la mente divina, in che s'accende

L'amor che il volge, e la virtù ch' ei piove. Luce ed amor d'un cerchio lui comprende. Cf. ibid. XXVIII. 54. Convito tratt. III. cap. 14: << L'usanza de' Filosofi è di chiamare il Cielo lume, in quanto esso è nel suo fontale Principio. >>

(2) Ibid. I. 4.

(3) Ibid. XXX. 40.

(4) Ibid. XXXI. 69. E questo è chia

rito dall' altro Ibid. XVIII. 105.

(5) Ibid. XXXI. 80. (6) Ibid. XXIX. 142.

(7) Due nell' Inferno, diciassette nel Purgatorio, trentatre nel Paradiso.

Se quanto infino a qui di lei si dice
Fosse conchiuso tutto in una loda,
Poco sarebbe a fornir questa vice.
La bellezza, ch'io vidi, si trasmoda

Non pur di là da noi, ma certo io credo
Che solo il suo Fattor tutta la goda.
Da questo passo vinto mi concedo,

Più che giammai da punto di suo tema
Suprato fosse o comico, o tragedo.
Chè, come il sole il viso che più trema,
Così lo rimembrar del dolce riso (a)
La mente mia da sè medesma scema (b).
Dal primo giorno, ch'io vidi il suo viso
In questa vita, infino a questa vista,
Non è il seguire al mio cantar preciso;
Ma or convien che il mio seguir desista
Più dietro a sua bellezza poetando,
Come all'ultimo suo ciascun artista.

(a) Convito tratt. III. cap. 8: una corruscazione della dilettazione apparente di fuori secondo che sta Vita N. § XXI:

« E che è ridere, se non dell' Anima, cioè un lume dentro ? >> E di Beatrice

Quel ch'ella par quando un poco sorride,
Non si può dicer nè tenere a mente:
Sì è nuovo miracolo e gentile.

E Ibid. § XXVI:

E par che sia una cosa venuta

Di cielo in terra a miracol mostrare.

(b) Di S. Pietro altrove (Parad. XXIV. 22):

E tre fiate intorno di Beatrice

Si volse con un canto tanto divo,

Che la mia fantasia nol mi ridice.

E rammenta l'altro, Parad. I. 8: e più ancora Ibid. XIV. 79,

e XVIII. 7 e segg.

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