Quell'Uno, e Due, e Tre, che sempre vive Quivi, egli è di per sè naturale, quanto più è santo l'amore, e tanto più splendida e intensa la luce, che abbella i Beati, perchè a'rai di vita eterna sentono la dolcezza, Che non gustata non s'intende mai (2); e parlando le magnificenze di Dio si fanno più lucenti assai (3), e per più letizia si nascondono dentro al loro raggio, Si come il sol che si cela egli stessi onde nei loro mirabili aspetti riplende non so che divino, che li trasmuta dai primi concetti (5). Ivi si rimira nell'arte, che adorna cotanto effetto (6): il piacer santo si fa, montando, più sincero (7): e letizia è forza nel paléo (8). Là sopra migliaia di lucerne v'è un Sol, che tutte quante le accende (9), onde lo viso del Poeta diviene come spento (10); pure maturandosi a que' raggi (11), si raccende di novella (1) Parad. XIV. 28. (2) Ibid. III. 37. - (3) Ibid. V. 131. (4) Ibid. V. 133, e segg. - (5) Ibid. III. 58. (6) Ibid. IX. 106. - (7) Ibid. XIV. 139. - (8) Ibid. XVIII. 42. (9) Ibid. XXIII. 28. - (10) Ibid. XXIII. 124. - XXV. 27. - XXVI. 1. - (11) Ibid. XXV. 36. vista, tale, che nulla luce è tanto mera (1). Ma l'amore feconda la luce, e questa quella viepiù ravviva; onde Dante, sormontando di sopra a sua virtute (2), vede il e Sodalizio eletto alla gran cena l'alto trionfo del regno verace (4), là dove l'amor sempre soggiorna (5). Appropinquandosi all'ultima salute (6), infervora l'ardor del desiderio (7) e siffattamente dal profondo del cuore riconoscente esclama: Io giunsi L'aspetto mio col Valore infinito. Nel suo profondo vidi che s'interna, (1) Parad. XXX. 58. (2) Ibid. 57. E XVI. 18: Voi mi levate sì, ch' io son più ch'io. E I. 70: Trasumanar significar per verba Non si poria. E XXIII. 43. Così la mente mia tra quelle dape Fatta più grande.... (3) Ibid. XXIV. 1. (4) Ibid. XXX. 96-98. (5) Ibid. XXXI. 12. (6) Ibid. XXXIII. 27. -- (7) Ibid. 48. (8) Ibid. XXXIII. 80 e segg. E all'alta fantasia qui mancò possa (a); (a) La ragione posa in questa sentenza: Perchè, appressando sè al suo desire, Nostro intelletto si profonda tanto, Che retro la memoria non può ire (Parad. I. 7). V. Epist. XIV. § 28. (1) Parad. XXXIII. 143. - Utile esercizio e degno sarebbe, se mal non istimo, il considerare partitamente nel Paradiso la progrediente Armonia, il Suono, l'Amore Angelico, Maria, il Riso, gli Angeli, il Movimento de' Cieli e de' Beati, gli Ordini Monastici, la Musica, le Arti del disegno, le Leggende, i Papi, le Donne della Bibbia, e simili. III. Dalle cose finora discorse s'avrà potuto, spero, vedere come la crescente armonia dell' Amore e della Luce si vada esplicando nella Divina Commedia; ma egli è certo che, anche per le ragioni dell' arte, al più alto grado di luce e d'amore volle il divino Poeta sollevare due creature, che maggiormente rispondeano alla santità della fede (corroborata dalla schietta credenza del suo tempo), e al bisogno del suo cuore, voglio dire Maria SS., e Beatrice. E a venire in questa conclusione, che sarebbe non altro che la ragione del fatto, m'hanno indotto le testimonianze molte all'eccellenza di questi due tipi divini sparse non solo nel Poema Sacro, ma pur anche nelle Opere Minori (1). Che anzi, se ciò non (1) Stimo affatto impossibile il poter giungere ad avere della Divina Commedia un concetto pieno e serio, rispondente alla mente dell'Autore, senza farsi famigliari le principali almeno fra le Opere Minori, come La Vita Nuova, Il Convito, La Monarchia, Le Epistole. Credo aver dalla mia parte ognuno che negli studi Danteschi abbia pinto l'occhio alcun poco più là che alla prima onda: è il caso di ripetere con Dante che Un sol calor di molte brage si fa sentir; e il calore è vita, e vita delle interpretazioni è saper coglier dritto nel concetto dell' Autore con iscienza sicura e sudata: nè sapere vuol punto dire andare a caso. Non è fosse per ora fuori del mio proposito, mi parrebbe non difficile il provare come la divozione di Beatrice alla Regina del cielo fosse argomento e stimolo a fomentare la divozione di Dante (1). In chi infatti, dopo Dio, maggior bene e maggior amore che in Maria e nella Donna del suo cuore, che schietto sentimento del vero, e affetto grato e riverente, se in tali studi chiamo il Comm. G. B. Giuliani Maestro di color che sanno: di molte nobili fatiche gli è, in opera di cose Dantesche, debitrice l'Italia; ma il Convito reintegrato nel testo con nuovo commento (Firenze, Success. Le Monnier, 1875) farà sempre testimonianza, a gloria delle nostre lettere, che cosa sapesse fare il lungo studio e il grande amore di questo degno espositore della mente di Dante, che il dottissimo Blanc chiamava il più profondo conoscitore della Divina Commedia fra gli Italiani viventi. Del citato lavoro pubblico di recente una assai dotta e gludiziosa Memoria il ch. Prof. Cav. Vassallo, degno in tutto d'intendere la mente di Dante e del suo egregio espositore: ma il merito del Giuliani avrà toccato il colmo, quando uscirà per intero alla luce il Commento al Sacro Poema. (1) Solenni queste parole della Vit. N.SV: - «Un giorno avvenne che questa gentilissima sedea in parte ove s'udiano parole della Regina della gloria, ed io era in luogo dal quale vedea la mia beatitudine...." << Il Signore della giustizia chiamò questa gentilissima a gloriare sotto la insegna di quella reina benedetta Maria, lo cui nome fu in grandissima reverenza nelle parole di questa Beatrice beata» (Ibid. § XXIX). E § XXXV., sonetto: Era venuta nella mente mia La gentil donna, che per suo valore Fu posta dall' altissimo Signore Nel ciel dell'umiltà, dov'è Maria. |