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minio francese, e salito al regno egli ignoto soldato. Del collocare in luogo di salvazione anime d'uomini non nati alla Fede, rende Dante ragione nel ventesimo del Paradiso, ove Rifeo troiano è nell' occhio dell' Aquila con Davide e con altri santi: ma più strano forse parrà questo Maomettano nel limbo a chi non pensa quanto sia strano collocarci Giulio Cesare e Democrito e Seneca. Dire ch'e' sono simboli non serve, giacchè possonsi scegliere appropriati anco i simboli.

Innalza il Poeta gli occhi e vede gli uomini di scienza, secondo lui, virtuosa o aiutatrice a virtù; e però li pone più in alto, per quello stesso che S. Tommaso pone sopra l'attiva la vita contemplativa. Fino a Zenone il Poeta numera i filosofi teoretici; da Dioscoride in Poi, i savii di storia naturale, d' eloquenza e di medicina. L'enumerazione non è tanto confusa quanto pare. E notisi che Orfeo e Lino, poeti teologi e insieme della natura. Cicerone e Seneca, che scrissero di cose naturali, non vanno male uniti a que' che di cose naturali filosofarono. Qual posto poi egli assegni ad Omero e a Virgilio e agli altri tre poeti nominati, se sopra Aristotele o sotto, non dice, má il verso O tu ch' onori ogni scienza e arte, e l'altro nel XXI del Purgatorio Col nome che più dura, e più onora, farebbero credere che Dante mettesse in cima i poeti. Forse Cicerone e Seneca, Orfeo e Lino, fondatori di civiltà, rappresentano la filosofia civile e pratica sottordinate alla teorica nel concetto di Dante. E invero, siccome Orfeo nella dodicesima Ode del primo d'Orazio è detto ducere quercus col canto, e nella Poetica porre leggi alle nuove città insieme con Anfione, Anfione perciò rammentato da Dante nel XXXII dell'inferno; così Lino in Virgilio, nell' Egloga quarta, è nominato accanto ad Orfeo, questi figliuolo di Calliope, quegli d'Apollo; e nella sesta Lino dà in nome delle Muse a un pastore la zampogna d' Esiodo, poeta naturale e civile anch'esso, con la quale soleva rigidas deducere montibus ornos. E nell' Egloga stessa è paragonato il canto di Sileno a quello d' Orfeo, e dettone rigidas motare cacumina quercus.

Dice poi Seneca Morale, per distinguerlo dal tragico, come disse quel Bruto che cacciò Tarquino, per distinguerlo dall' uccisore di Cesare. Forse il morale e il tragico a lui erano un solo, ma volle intitolarlo così per distinguere il suo pregio maggiore, come disse Orazio satiro per assegnare alle Satire più valore che alle Odi, delle quali non poche, nè delle men belle, tengono della satira, o dell' epistola. In quell' epiteto è tutt' intero un ragionamento di critica letteraria.

CANTO V.

ARGOMENTO.

Al secondo cerchio trovano Minosse, giudice e distributor delle pene di tutto l'Inferno: chè qui l'Inferno comincia. In questo cerchio i lascivi entro un turbine_che li aggira, e minaccia precipitarli ne' cerchi di sotto, Dante qui trova Francesca da Rimini, e sente la storia del suo misero amore.

Nota le terzine 4, 5, 10, 11, 12, 14, 15, 16, 18, 21, 24, 25, 27, 28, 31, 33, alla 41; 43 all' ultima.

1.

Cosi

discesi del cerchio primaio.

Giù nel secondo, che men luogo cinghia,
E tanto più dolor, che pugne a guaio.
2. Stavvi Minós orribilmente, e ringhia;
Esamina le colpe nell'entrata:

Giudica, e manda secondo che avvinghia.

3. Dico che, quando l'anima malnata

Gli vien dinnanzi, tutta si confessa:
E quel conoscitor delle peccata

4. Vede qual luogo d' inferno è da essa:
Cignesi con la coda tante volte
Quantunque gradi vuol che giù sia messa.

1. (L) Primajo: primo. Men cinge meno spazio, ma abbraccia più dolore. A da far gridare guai.

2. (L) Ringhia: freme d'ira. Secondo: Quante volte avvolge a sè la coda, manda il dannato tanti cerchi giù.

(SL) Minós. En., VI: Nec vero hae sine sorte datae sine judice sedes: Quaesitor Minos urnam movet : ille silentum Conciliumque vocat, vi

tasque et crimina discit. Anco Virgilio pone Minosse subito dopo la sede de' bambini: ma il suo è il savio di Creta; il Minos di Dante è un demonio che giudica con la coda e se la morde per rabbia. Inf., XXVII.

Esamina Stat., VIII: Populos poscebat crimine vitae.

3. (SL) Peccata. Inf., XXIX: Minós, a cui fallir non lece.

4. (L) Quantunque: quanti.

5. Sempre dinnanzi a lui ne stanno molte;
Vanno, a vicenda ciascuna, al giudizio;
Dicono, e odono, e poi son giù vôlte.
6. O tu che vieni al doloroso ospizio
(Disse Minós a me, quando mi vide,
Lasciando l'atto di cotanto uffizio),
7. Guarda com' entri, e di cui tu ti fide.

Non t'inganni l'ampiezza dell' entrare. -
El duca mio a lui: Perchè pur gride? _
8. Non impedir lo suo fatale andare:
Vuolsi così colà dove si puote

Ciò che si vuole. E più non dimandare.

9. Or incomincian le dolenti note

A farmisi sentire; or son venuto
Là dove molto pianto mi percuote.
10. To verni in luogo d'ogni luce muto,

Che mugghia come fa mar per tempesta
Se da contrarii venti è combattuto.
11. La bufera infernal, che mai non resta,
Mena gli spirti con la sua rapina,
Voltando e percotendo gli molesta.

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5. (L) Molte: anime. A vicenda: alla volta loro. - Odono la sentenza

(SL) Vicenda Buc., V: Ticissim Dicemus, iue dopo te. Olono. Dante raccoglie in una le due pit ture virgiliane di Minosse e di Radamanto (E, VI): Gnosius haec Rhadamanthus habet durissima regna; Castigatque, auditque dolos; subigitque fateri... Volle Una forza superna quella che detta a Minosse il giudizio, lo eseguisce, spingendo giù l'anima per l'appunto nel luogo assegnato. Inf, XII e Purg., XXV in questo senso: cade.

6. (L) Ufizio di giudicare. 7. (L) Cui: chi. Fide: fidi. Gride: gridi

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(SL) Ampiezza. Ov Met, IV: (Dell'Erebo Mille capax aditus, et apertas unique porta Urbs hobet

(F) Am nezza En, VI: Palet atri janua Ditis; Sed... Matth. Vil, 13: Larga e la porta, e spaziosa è la via che conduce a perdizione.

8. (L) Fatale: voluto dal fato di Dio.

--

(SL) Fatale. En., VII: Fatalis crusti XI: Fatalem Eneam. 9 (SL) Incomincian Georg., I: Frets ponti Incipiunt agitata tumescere, et aridus. audiri fragor Sentire. En, Vi: Hinc exaudiri gemitus. Percuote l'orecchio e l'animo. Georg, IV: Impulit aures Luctus. - E En, XI

40 (SL) Mugghia. Hor. Eoist. If, 1: Mugire putes.. mare... Tanto cum strepito ludi spectantur. - Combattuto. Dan. VII. 2: Venti.. pugna. bant in mari. Hor. Carm., I, 1: Luctantem. fluctibus Africum En.. X: Magno discores æthere venti Prælia ceu tollunt. Non ipsi inter se, non nubila. non mare cetit. 1: Luctan tes ventos, tempestatesque sonoras.

(F) Muto. Jub, XXIV, 45: Oculus adulteri observat caliginem Jud. Epist., 13: A' quali tempesta di tenebre è serba a in eterno Is., LVII, 20: Gli empi quasi mare che jerve. 41. (L) Resta: cessa.

(F) Bufera dell'incostanza nella lussuria. Som.: 2, 2, 153; 3, 6.

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Come d'autunno si levan le foglie,
L'una appresso dell'altra, infin che tramo
Vede alla terra tutte le sue spoglie;

BRITIST

17 AP 1902

MUSEUM

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