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Che fosti 'n terra per noi crocifisso, Son li giusti occhi tuoi rivolti altrove? O è preparazion, che nell' abisso

Del tuo consiglio fai per alcun bene In tutto dall'accorger nostro ascisso? Chè le terre d'Italia tutte piene

Son di tiranni, ed un Marcel diventa Ogni villan che parteggiando viene? Fiorenza mia, ben puoi esser contenta

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Di questa digression che non ti tocca, Mercè del popol tuo che si argomenta. Molti han giustizia in cuor, ma tardi scocca, Per non venir senza consiglio all' arco; Ma 'l popol tuo l' ha in sommo della bocca. 132 Molti rifiutan lo comune incarco;

Ma'l popol tuo sollecito risponde

Senza chiamare, e grida: io mi sobbarco.

121-123. O è preparazion ec': o con questi mali, che permetti, dispone l'infinito abisso della tua sapienza e providenza di prepararne alcun bene dall' accorger, dal pensar, nostro in tutto ascisso affatto separato ?

124-126. Ed un Marcel diventa ec. Marco Marcello si oppose in Roma a Giulio Cesare che tendeva ad occupar la Repubblica. Così, dice Dante, ogni villano che s' immischia nelle fazioni si tiene oggi un Marcello e vuole opporsi all'Imperatore-Colla frase ogni villano vuol poi mordere probabil

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mente le persone di contado venute di fresco alla cittadinanza, e dette già da lui nell' Inferno la gente nuova.

127-129. Fiorenza mia ec. Ironicamente; perchè a lei toccava più che ad ogni altra città d'Italia, essendo in ciò più colpevole; onde con più amara rampogna la sgrida — si argomenta, si adopera e sa trovar utili partiti.

130-135. Molti han ec. L' ironia continuando ed accrescendo, specifica i capi, pe' quali non toc chi a Fiorenza la premessa digres. sione, ma solamente alle altre città

Or ti fa lieta, chè tu hai ben onde;
Tu ricca, tu con pace, tu con senno.
S' io dico ver, l' effetto nol nasconde.
Atene e Lacedemona, che fenno
L'antiche leggi, e furon sì civili,
Fecero al viver bene un picciol cenno,
Verso di te, che fai tanto sottili

Provvedimenti, ch' a mezzo Novembre
Non giunge quel che tu d' Ottobre fili.
Quante volte del tempo che rimembre,

d'Italia, le virtù perciò delle altre città in aria di vizio commemorando, ed i vizii di Fiorenza in aria di virtù Molti han giustizia in cuor, ma ec. Rimprovera negli altri, qual pigrizia e melensaggine, che non sieno corrivi a far scoccare, a mandare ad effetto, quella giustizia che hanno in cuore (che amano) Per non venir senza consiglio all' arco, per tema di non adoprar l'arme della giustizia sconsigliatamente; e loda nel fiorentino popolo, qual sollecitudine virtuosa, che in vece di avere la giustizia nel cuore tarda ad iscoccare, abbiala nel sommo della bocca, cioè sulle labbra; intendendo però che abbiala in millanteria di parole solamente, e non in fatti ― Molti rifiutan ec. Rimprovera negli altri, qual disamore verso della patria, la prudente modestia, che rendeli timorosi e schivi ad accettar comune incarco, cioè cariche di magistratura e governi; e loda nel fiorentino po

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polo, qual amore verso della patria, l'avidità di cotali offizii, tal che, senza chiamare sollecito risponde e grida: io mi sobbarco, cioè io m' incurvo sotto, intendi sotto il mentovato comune in

carco.

141-142. Fecero al viver ec.: mostrarono un barlume, diedero un picciolo saggio di buon regolamento politico-Verso di te, a paragone di te tanto più provvida ec

142–144. Tanto sottili. Parlare equivoco, che può significare tanto argutamente pensati e tanto fievoli

ch' a mezzo Novembre ec. Toglie qui Dante la maschera al suo dire, ed incomincia dal far capire ch' egli ha detto sottili i fiorentini provvedimenti, non in altro senso che di fievoli e di poco durevoli, e con metafora presa dalla poca durevolezza del troppo sottil filo, dice che ciò che fila, cioè ordina, Fiorenza d'Ottobre, non giunge a durare fino a mezzo Novembre. 145. Del tempo che rimembre:

Leggi, monete, officj, e costume
Hai tu mutato, e rinnovato membre?

E, se ben ti ricordi e vedi lume,

Vedrai te simigliante a quella 'nferma,

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Che non può trovar posa in su le piume, 150 Ma con dar volta suo dolore scherma.

questa frase qui equivale all'altra consueta: a memoria d' uomini. 151. Dar volta qui significa voltolarsi, dimenarsi, agitarsi, come

ha notato il ch. Cav. Monti scherma (da schermare, che pure usa Dante) vale ripara, cerca di riparare.

FINE DEL CANTO SESTO

CANTO VII

ARGOMENTO

Di gir più oltre a' due Poeti toglie
Sordel la speme in sin che nuovo giorno
La notte non isgombri ch'ivi coglie.
Intanto vanno con lor guida intorno,
E trovan alme sedersi cantando
Salve Regina in luogo verde e adorno,
Che di lor pace al ciel fanno dimando.

Posciachè l'accoglienze oneste e liete
Furo iterate tre e quattro volte,

Sordel si trasse, e disse: voi chi siete?
Prima ch'a questo monte fosser volte

L'anime degne di salire a Dio,
Fur l'ossa mie per Ottavian sepolte.
Io son Virgilio; e per null' altro rio
Lo Ciel perdei, che per non aver fè:
Così rispose allora il Duca mio.

1. Posciachè ec. Questo verso rappicca il discorso col v. 75 del Canto precedente, dove l'abbracciarsi di Virgilio e di Sordello diede luogo alla digressione sull'Italia.

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4. Prima che ec. Prima del Cristianesimo.

7. Rio. Qui pure ( come Inferno Canto IV, v. 40) sustantivo per reità.

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