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E i raggi ne ferian per mezzo 'l naso,
Perchè per noi girato era sì 'l monte,
Che già dritti andavamo inver l'occaso;
Quand' io senti' a me gravar la fronte

Allo splendore assai più che di prima,
E stupor m' eran le cose non conte.
Ond' io levai le mani inver la cima

Delle mie ciglia, e fecimi 'l solecchio,
Che del soverchio visibile lima.

Come quando dall' acqua o dallo specchio
Salta lo raggio in opposita parte,
Salendo su per lo modo parecchio
A quel che scende, e tanto si diparte
Dal cader della pietra in igual tratta,
Si come mostra esperienza e arte;
Così mi parve da luce, rifratta

Ivi dinanzi a me, esser percosso:

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7. Per mezzo 'l naso in vece di mani alzate sopra le ciglia face

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Per ch'a fuggir la vista mia fu ratta.

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Che è quel, dolce Padre, a che non posso
Schermar lo viso tanto che mi vaglia,
Diss' io, e pare inver noi esser mosso?
Non ti maravigliar s' ancor t'abbaglia
La famiglia del Cielo, a me rispose:
Messo è che viene ad invitar ch' uom saglia. 30
Tosto sarà ch'a veder queste cose
Non ti fia grave, ma fieti diletto,
Quanto natura a sentir ti dispose,

della Cattotrica di Euclide: 2,° che perpendicolare fu chiamato il cader della pietra da Alberto Magno maestro di san Tommaso d'Aquino nel suo libro Delle cause e delle proprietà degli elementi, libro or negletto, ma che occupò gran tempo le scuole ; 3.o che rifratta sta qui al senso di riflessa, distinzione che non conobbero gli antichi, poichè il deviamento in genere de' raggi della luce fu espresso col greco verbo αναπλά. Ja, che significa spezzarsi. Con queste premesse si fa egli strada alla seguente interpretazione: »Come quando un raggio di luce dal

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che se il raggio si supponga di-
scendere dall'altezza, p. e.,
di un
miglio, e salire altrettanto, le sue
estremità saranno da una parte e
dall'altra egualmente distanti dalla
perpendicolare, siccome dimostra
artificiosa esperienza, così mi parve
di essere percosso in volto da luce
riflessa. E questa luce veniva im-
mediatamente da Dio all'Angelo,
e da questi riverberava su la fac-
cia del Poeta.

24-25 Per ch' a fuggir la vista mia fu ratta: o chiudendo subito gli occhi, o voltandoli altrove per isfuggirne lo scontro.

26. Schermare, sinonimo di schermire-viso per occhi, vista- tanto che mi vaglia, tanto che possa valermene.

29. La famiglia del Cielo, gli Angeli.

32-33. Fieti diletto, Quanto ec.: proverai tanto diletto nel veder queste cose, cioè gli Angeli, quanto per natura tua sarai capace di riceverne.

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Poi giunti fummo all' Angel benedetto,
Con lieta voce disse: entrate quinci

Ad un scalèo vie men che gli altri eretto.
Noi montavamo, già partiti linci,

E Beati misericordes fue

Cantato retro, e, godi tu che vinci.
Lo mio Maestro ed io soli amendue

Suso andavamo, ed io pensai, andando,
Prode acquistar nelle parole sue;

E dirizzami a lui sì dimandando:

Che volle dir lo spirto di Romagna,
E divieto e consorto menzionando?
Per ch'egli a me: di sua maggior magagna
Conosce 'l danno; e però non s' ammiri
Se ne riprende, perchè men sen piagna.

36. Scaleo per scala· vie men ec. Appartiene ciò a dinotare che si andava agevolando la via del Cielo. 37. Linci per di lì.

38-39. Beati misericordes. Anche queste parole debbono intendersi cantate dagli Angeli, come di quell' altre Beati pauperes dicemmo nel Canto XII. 110 di que sta Cantica; e sono pur esse parole di Gesù Cristo, nel cap. 5 di s. Matteo, encomianti l'amore del prossimo, virtù contraria all' invidia, nel poc' anzi passato girone purgatagodi tu che vinci corrisponde alle parole pur di Gesù Cristo nel citato capo di s. Matteo: Gaudete et exultate, quoniam merces vestra copiosa est in coelis. 42. Prode, sustantivo, per pro,

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Perchè s'appuntano i vostri desiri
Dove per compagnia parte si scema,
Invidia muove il mantaco a' sospiri.
Ma se l'amor della spera suprema
Torcesse 'n suso 'l desiderio vostro,
Non vi sarebbe al petto quella tema;
Chè, per quanto si dice più lì nostro,
Tanto possiede più di ben ciascuno
E più di caritade arde in quel chiostro.
Io son d'esser contento più digiuno,

Diss' io, che se mi fosse pria taciuto;
E più di dubbio nella mente aduno.
Com'esser puote ch' un ben distributo

I più posseditor faccia più ricchi
Di sè, che se da pochi è posseduto?
Ed egli a me: perocchè tu rificchi
La mente pure alle cose terrene,

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stro significa il medesimo che quanto in maggior numero sono quelli che insieme godono dello stesso bene.

maggiore sua magagna, il mag- 55. Chè quanto si dice più lì nogior vizio, cioè l'invidia s' ammiri, impersonalmente detto, e val quanto non cagioni maraviglia Se ne riprende: se ri. prende noi uomini con quell'o

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57. In quel chiostro, cioè nel Cielo.

58-59. Digiuno, catacresi, per privo - mi fosse pria ec. Fosse per fossi usasi anche fuor di rima.

60. Più di dubbio aduno val quanto: dubbio sopra dubbio mi si ammucchia.

62. I più posseditor, posseditori di maggior numero.

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Di vera luce tenebre dispicchi.
Quello 'nfinito ed ineffabil bene,
Che lassù è, così corre ad amore,
Com' a lucido corpo raggio viene.
Tanto si dà, quanto trova d'ardore;
Sì che quantunque carità si stende
Cresce sovr' essa l'eterno valore.
E quanta gente più lassù s' intende,

Più v'è da bene amare, e più vi s'ama,
E, come specchio, l'uno all' altro rende.
E se la mia ragion non ti disfama,

Vedrai Beatrice; ed ella pienamente
Ti torrà questa e ciascun' altra brama.
Procaccia pur che tosto sieno spente,
Come son già le due, le cinque piaghe,

66. Dispicchi (preso dallo spiccar frutti dagli alberi), côgli tenebre di vera luce è quanto dire: vieppiù la mia vera dottrina t' imbroglia la mente.

67-69. Quello 'nfinito ec., il divino glorificante lume- corre ad amore, spandesi sopra della carità - come raggio, intendi, solare, viene a corpo lucido, a corpo di levigata superficie, ed atto a rifletter luce.

70. Tanto si dà; tanto il divino glorificante lume si comunica, quanto trova d'ardore, quanta ritrova carità.

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75. E, come specchio ec. Non solamente da presente lume tutti i lucidi corpi prendono lume, ma essi medesimi talvolta, per certa situazione in cui sieno posti, tra di loro s' accrescono vicendevolmente il lume per via di riflessioni.

76. Non ti disfama, catacresi, per non ti soddisfa, non ti toglie la fame di sapere.

79-80. Procaccia pur ec. Come delle sette piaghe (aperte in fronte a Dante dall'Angelo nell'ingresso del Purgatorio) sono già spente, guarite, due, cioè superbia ed così procura che spente

71. Quantunque, lo stesso che invidia, quanto.

73. Sintende per intende ed aspira a quel bene di là su.

ne vengano l'altre cinque, cioè ira, accidia, avarizia, gola e lussuria.

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