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O frate mio, ciascuna è cittadina
D'una vera città; ma tu vuoi dire,
Che vivesse in Italia peregrina.
Questo mi parve per risposta udire
Più innanzi alquanto che là dov' io stava;
Ond' io mi feci ancor più là sentire.
Tra l'altre vidi un' ombra ch' aspettava

In vista; e se volesse alcun dir, come?
Lo mento a guisa d'orbo in su levava.
Spirto, diss' io, che per salir ti dome,

Se tu se' quelli che mi rispondesti,
Fammiti conto o per luogo, o per nome.
Io fui Sanese, rispose, e con questi
Altri rimondo qui la vita ria,
Lagrimando a Colui che sè ne presti.
Savia non fui, avvegna che Sapia
Fossi chiamata, e fui degli altrui danni

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105. Conto, cognito-o per luo- tento.

DANTE V. II

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Più lieta assai, che di ventura mia.
E perchè tu non credi ch' io t'inganni,
Odi se fui, com' io ti dico, folle.

Già discendendo l'arco de' miei anni
Erano i cittadin miei presso a Colle

In campo giunti co' loro avversari;
Ed io pregava Dio di quel ch' e' volle.
Rotti fur quivi, e vôlti negli amari

Passi di fuga; e veggendo la caccia,
Letizia presi a tutt'altre dispàri;
Tanto ch'i' volsi 'n su l'ardita faccia
Gridando a Dio: omai più non ti temo;
Come fe'il merlo per poca bonaccia.

Pace volli con Dio in su lo stremo

Della mia vita; ed ancor non sarebbe Lo mio dover per penitenzia scemo, Se ciò non fosse, ch' a memoria m'ebbe

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115. Colle, città picciola, situata sopra d'una collina presso Vol

terra.

da esso altro che il contrario di quanto bramava.

123. Come fe' il merlo ec. In Lom

116. Co' loro avversari, co' Fiò- bardia diconsi dal volgo giorni rentini.

117. Ed in pregava Dio di quel ch'e' volle di quella rotta medesima che volle anche Dio che i Sanesi riportassero.

119. La caccia, che dava l'esercito Fiorentino al Sanese.

122. Omai più non ti temo. Accenna di non aver desiderato da Dio altro che la disfatta de' suoi concittadini, e di non aver temuto

della merla i tre ultimi di Gennajo; e favoleggiasi, che tali si appellino, e sieno d'ordinario molto freddi a cagione di vendetta che continua tuttavia a far Gennajo contro della merla, la quale sentendo una volta intorno a quei di mitigato il freddo, vantossi di non più temer di Gennajo. Qui adunque Sapia paragona la propria leggerezza a quella della merla.

Pier Pettinagno in sue sante orazioni
A cui di me per caritade increbbe.
Ma tu chi se', che nostre condizioni

Vai dimandando, e porti gli occhi sciolti,
Sì com' io credo e, spirando, ragioni?
Gli occhi, diss' io, mi fieno ancor qui tolti,
Ma picciol tempo; chè poca è l'offesa
Fatta, per esser con invidia vôlti.
Troppa è più la

paura,

ond' è sospesa

L'anima mia, del tormento di sotto, Che già lo 'ncarco di laggiù mi pesa. Ed ella a me: chi t'ha dunque condotto Quassù tra noi, se giù ritornar credi?

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Ed io costui ch'è meco, e non fa motto: 141 E vivo sono; e però mi richiedi,

Spirito eletto, se tu vuoi ch'io muova
Di là per te ancor li mortai piedi.
O questa è a udir sì cosa nuova,
Rispose,

che gran segno è che Dio t'ami;

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mento che si dà ai superbi nel balzo di sotto, ond' è sospesa, per cui è talmente in apprensione l'anima mia, che già fin d'ora par- ` mi d'avere indosso gli smisurati pietroni di laggiù.

143-144. Ch' io muova Di là per te ancor (come per altri ho promesso di fare) li mortai piedi: che vada, cioè, ad avvisare di tuo bisognoso stato i tuoi parenti ed amici, affinchè provveggano alla tua presta liberazione.

Però col prego tuo talor mi giova:
E chieggioti per quel che tu più brami
Se mai calchi la terra di Toscana,

Ch' a' miei propinqui tu ben mi rinfami.
Tu gli vedrai tra quella gente vana

Che
spera in Talamone, e perderagli
Più di speranza ch'a trovar la Diana;
Ma più vi perderanno gli ammiragli.

150. Mi rinfami, per mi ricordi, ovvero per mi rendi in fama di salva, mentr' essi, pel mio pessimo operare sino al fine della vita, mi tengono per dannata.

152. Che spera in Talamone: I Sanesi aveano speranza, avendo acquistato il porto di Talamone, di diventar grandi uomini in mare. Talamone è castello e porto al fine della Maremma di Siena. 153. Ch' a trovar la Diana. Dico

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no, essere stata un tempo opinione
de' Sanesi, che sotto terra passas-
se per
la loro città una riviera,
la qual domandavano Diana, e che
feron cavare in molti luoghi per
trovarla.

154. Ma più vi perderanno. Vuol dire che speranza maggiore, o fors' anche impiegato danaro, vi perderanno quelli, i quali già per cotal porto si credono dover essere comandanti di flotte.

FINE DEL CANTO DECIMOTERZO

CANTO XIV

ARGOMENTO

Guido del Duca il Poeta ritrova
E Rinieri da Calboli, che stanno
Purgando invidia in quella vita nuova.
E mentre insieme a passo a passo vanno,
L'un di que' due di lor paese il vizio
Va ricordando con doglioso affanno,
Dando d'un mal ch'avvenir deve indizio.

Chi è costui che 'l nostro monte cerchia,
Prima che morte gli abbia dato il volo,
Ed apre gli occhi a sua voglia e coperchia? 3
Non so chi sia; ma so ch' ei non è solo:

Dimandal tu che più gli t' avvicini,

E dolcemente, sì che parli, accôlo.

scorrono.

1. Chi è costui ec. Parla M. Gui- rati questi due orbi, tra sè dido del Duca da Brettinoro con M. Rinieri de' Calboli da Forli, i quali stavano ascoltando il ragionare che si faceva tra Sapia e Dante, persona di voce forestiera, e che già aveva detto esser vivo in carne ed ossa; del che ammi

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2. Gli abbia dato il volo, sciogliendolo dai lacci del corpo. 3. Coperchia, cuopre. Ciò notasi da quelle anime che aveano gli occhi cuciti.

6. Accolo, sincope di accoglilo.

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