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vano: quindi ingiurie d'ogni sorte, tradimenti, esilj, omicidii!

III. Al bollore di tante turbolenze seppe Giano della Bella, uno de' Priori, apportar subitanea tregua (1292), istituendo un gonfaloniere di giustizia per frenare le continue insolenze e gli spessi soprusi de' Nobili, che andavano tuttora nuove forze acquistando. — Non lunga fu la bramata quiete. I Nobili alterati si collegarono (1295) ad annullare con la forza tale decreto; e i Popolani, volendo dei diritti acquistati rendersi gelosi mantenitori, affrontaron le schiere de' Nobili con successo tale, che per un lustro intiero dipoi in buona pace si poteron ristorare, sino a che, passionatamente la salute de' Pistolesi procacciando, partiti in fazion bianca, favorita da Veri de' Cerchi, e in nera, da Corso Donati protetta e da tutti li Guelfi, in nuova lagrimevol tenzone prorompevano 1.

IV. Bonifacio VIII, che a que' tempi vestiva gli abiti pontificali, favoriva in aperto il partito de' Neri, i quali, tormentati dalle saette dell'esilio il suo ajuto invocando, fra poco videro Carlo di Valois, creato paciere riformatore, verso Firenze inviarsi, entrarvi (1301) e proditoriamente ricondurvi la loro parte fuoruscita, che oggimai con redini abbandonate allo sfogo di atroce vendetta correndo, del governo cacciava i Bianchi, e le cose loro al guasto recando, la propria vita di molti ne metteva in avventura 2. Tentaron questi rientrarvi (1304) con disperate fatiche; ma presi da panico terrore nel momento della decisione, furono dai nemici rigidamente ributtati. Da questa vittoria de' Donati trassero i Nobili picciol vantaggio: grande all' incontro e intiero fu il trionfo de' Guelfi, che Firenze innalzarono d' or in avanti

1 Vedi PITTI, Storia fiorentina, nell' Archivio storico.

2 Vedi DINO COMPAGNI, Cronaca; e GIOV. VILLANI lib. VIII.

al grado di lor Metropoli non solo in Toscana, ma in tutta Italia, di modo che li vediam poi farvi ardita resistenza all' Imperatore Arrigo VII, render vane le terribili sue imprese (1312), e darsi invece all' alta protezione del Re Roberto di Napoli, creandolo Signore della lor città, la quale carica ei seppe sino all' anno 1321 a lor soddisfacimento sostenere. Da questi brevissimi cenni conoscere si può tuttavolta la condizione d'Italia nel tredicesimo secolo fino ai primi decennj del quartodecimo, come pure quella di Firenze, città famosa più che le altre per la sua perenne incostanza e pel frequente cambiar degli ordini, sicchè la Musa dell' Alighieri potè a diritto sclamare: Quante volte del tempo che rimembre, Legge, moneta, uficio, costume

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V. Ma fra tante disastrose miserie, che travagliavano il corpo sociale in mezzo al corrottisimo stato di civiltà, non dovette anco l' età letteraria d' allora rimanere oscu

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rissima? non dovette quel vento pestilenziale, che per l'Italia fischiava incessante, i già esistenti fiori gittare a terra, e i frutti, che nasceano, far totalmente sparire? – domanda ben naturale, a cui vogliam con alcune parole rispondere. Volgeva il dodicesimo secolo, e nell'Italia superiore la cetra udivasi di provenzali cantori, che il dilettevol suono della rinata poesia modulavano. La quale arte per le nobili cure di Federigo II, principe coltivatore insieme e splendido protettore delle lettere, varcando lo stretto, e in Sicilia ponendo radici salde, fece quell' isola degna patria della poesia insieme e della lingua italiana. Benchè dall' idioma latino assolutamente già separata, ma rozza ancora e non armonizzata, fuvvi quest' ultima sottomessa in breve a regole fisse, e di forme più eleganti fornita. I vati non più del volgar dialetto si valevano; la lingua lo

1 Purg. C. VI. v. 145.

gora dapprima e imbastardita, tratto tratto andava sembianze più pure e originali assumendo, e cortigiana 1 dicevasi, perchè sviluppata fra la pompa di cesaree residenze. Indi quasi fiume subitamente ampliatosi da' suoi termini traboccando, andò in rapido corso ad innaffiare le altre italiche terre, e segnalatamente quelle dell'Arno, per farvi nascere quel fiore di lingua vezzoso, che, se anche non colto universalmente, nondimeno di qualche foglia gentile tutte le favelle particolari d'Italia in progresso di tempo adornava 2.- La munificenza e l' almo favore, con che i Principi amanti della letteratura, quantunque in età di sì luttuosi traviamenti, ogni studio di scienza e di arte fomentavano; la memoria viva ed indelebile dell' antica Roma, e l' ardentissimo desiderio di ricuperarne la perduta grandezza: erano circostanze, che sulla penna e sull' eloquenza potentemente influivano. Lo studio dell'antica letteratura, il modo di osservare e d'imaginare, che ne seguiva, somministravano alla vita intellettuale nuove forze, l'esperienza dava nuove tendenze al sentimento; le impressioni disparate si riunivano, e la fantasia ravvivata di calda meraviglia imagini produceva indivise, che un tipo antico, cristiano e romantico insieme offrivano. Tuttavia non che vi fosse difetto totale di sacerdoti, che alle Muse sagrificassero, attendevasi ancora, la Natura riproducesse un genio straordinario, il quale svincolar venisse l' italiana poesia e la prosa da non pochi usi corrotti e abbrutiti da' babari, e, dando ad esse lustro ed incremento, sul retto sentiero le guidasse. E di vero: Natura sfolgorò e nuovo sole apparve ad innondar di celeste luce l'ancor cupo sistema delle lettere: il genio prototipo era nato, e questo genio fu Dante!

1 De vulg. eloq. lib. I. c. 12.

2 Vedi GRAVINA, Ragion poetica lib. II.

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VI. Nacque Dante in Firenze nel mese di Maggio dell' anno 12651 da illustre famiglia guelfa, e prese al battesimo il nome di Durante, che per vezzo fu poi abbre viato, e detto comunemente Dante. Privo del padre Alighiero in età puerile ancora, godette delle affettuose cure di Bella, sua madre, la quale dar gli fece convenevol forma di buon costume e di splendida erudizione. I precetti di Brunetto Latini 2, suo maestro e celeberrimo filosofo e poeta d' allora, la gentile amicizia di Guido Cavalcanti e di altri pregiati ingegni de' tempi suoi, non che la sua insaziabile avidità di sapere tosto il trasportarono a darsi con istudio continuo e con ogni maniera di privazione 3 alle scienze ed alle arti liberali, affin di realizzare l'ardente brama di vivere fra' posteri, sapendo bene, che seggendo in piuma

In fama non si vien, nè sotto coltre 4.

Nell' età di nove anni,

Prima che for di puerizia fosse 5

ci racconta egli stesso venne l'animo suo da tenero amore signoreggiato. L'oggetto, per cui avea sì sublime affezion concepito e sì pura, fu Beatrice, figlia di Folco Portinari. "Coll' età," dice il Boccaccio, "si moltiplicarono le amorose fiamme, e tanto, che niun' altra cosa gli era piacere, o riposo, o conforto, se non di vedere costei." Ma vero è tuttavia, che mai sopraffar lasciossi dalla passione per guisa di torcere dall' intrapresa carriera delle lettere; anzi questo puro amore contribuì non poco ad alimentare la fiamma del suo genio straordinario, che ognor a' più gravi ostacoli potentemente seppe fare contrasto. Il dolcissimo saluto di questa mirabil donna ispirò alla casta sua Musa il seguente sonetto, per cui imparare si può in quale modo le bellezze si debban cele

1 Vedi BOCCACCIO, Commento sopra Dante.

3 Purg. C. XXIX. v. 37. 5 Purg. C. XXX. v. 42,

2 Inf. C. XV. v. 84.

4 Inf. C. XXIV. v 47.

brare di donna, che vogliasi dar per modello innanzi agli

occhi del pubblico:

Tanto gentile e tanto onesta pare

La donna mia quand' ella altrui saluta,
Ch'ogni lingua divien tremando muta
E gli occhi non ardiscon di guardare.

Ella sen va, sentendosi laudare,
Umilemente d' onestà vestuta,

E

par che sia una cosa venuta

Di cielo in terra a miracol mostrare.

Mostrasi sì piacente a chi la mira,
Che dà per gli occhi una dolcezza al core
Che intender non la può chi non la prova:

E' par che della sua labbia si muova
Uno spirito soave e pien d'amore,
Che va dicendo all' anima: Sospira!

Ma in età verde ancora passò la sua Beatrice alla gloria di migliore vita (1290). Ne piangea Dante amaramente la perdita; e quantunque poi aderisse al voler de' parenti, che opinavano, la piaga incurabile potersi astergere col matrimonio1, nientedimeno e' ritrovava chiaro e distinto sempre il fantasma del primo amore, e l' angelica Beatrice eragli unico ideale di ogni femminile virtù, che il cuor suo purificando, solo poteva tanto cordoglio allenire, e l' anima essere delle meravigliose sue opere, per le quali entrambi nella lunghezza de' secoli viveranno gloriosi.

VII. Il grande amore alle lettere ed alla sua donna unì Dante a quello di patria. Guelfo di nascita trovossi giovane ancora nella grande strage di Campaldino 2, vigorosamente nelle prime fila combattendo a cavallo 3.

1 Fu congiunto Dante a Gemma, figlia di Manetto di Donato de' Donati, la quale secondo GIAN. MANETTI,,fuit admodum morosa, ut de Xantippe Socratis philosophi conjuge scriptum esse legimus." 2 Vedi indietro sez. II.

3 LEONARDO BRUNI, Vita di Dante.

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