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LA

DIVINA GOMMEDIA

DI

DANTE ALIGHIERI

COL COΜΕΝΤΟ

DI G. BIAGIOLI

SECONDA EDIZIONE

DELLA BIBLIOTECA SCELTA

VOLUME TERZO

MILANO

PER GIOVANNI SILVESTRI

M. DCCC. XXIX.

1

E29
V3

Io non so quello che dell' intendimento del Poeta,

figurando il Paradiso, s'abbiano pensato e si pensano i savj d' Italia, ma si scostano dal vero le migliaia delle miglia coloro fra gli strani, ai quali è parso, e pare tuttavia, che questa più divina parte del poema divino non sia se non un tessuto informe di teologiche quistioni, con alcune poetiche scintille che per avventura qua e là s'incontrano; troppo scarso ristoro in vero alla lunga noia del rimanente. A trar d'inganno costoro così fattamente opinanti, e svellere dagli animi loro cotal pregiudicio, da falsa e bugiarda autorità trasmesso, o per proprio difetto d'arte germogliato, credo che, senz'altra dimostrazione (1),

(1) A coloro i quali più agevolmente si rendono alP'autorità che alla ragione, porrò in riguardo quella del gran Tragico Italiano, che gioverà, se non altro a frenare la loro presontuosa ignoranza. Alfieri, che non fu certo innamorato della teologia, sì delle arti belle e massime della più nobile, ha estratto più bellezze dai diciannove primi canti del Paradiso, ove termina la sua fatica, che dai primi canti dell' Inferno; avendo notati di questi cento e più versi di meno che di quelli; e sono certo e giuro che, se quel Grande avesse proseguito quel suo lavoro sino all'ultimo Canto del Paradiso, i versi ricopiati dall'ultima Cantica sarebbero per lo meno un decimo di più degli estratti dalla prima. Ma quelli ai quali indirette sono le mie parole, vorranno starsene piuttosto al giudizio improporzionato d'un forestiero, o al proprio loro vedere, che a quello dei savi dell' Italia, d'Alfieri, del Monti, e pari loro.

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basterà ch' io appalesi quello che all'occhio loro si cela, cioè quale sia stata l'intenzion vera del Poeta nell'ordinare e comporre questo suo altissimo lavoro; e ogni altro argomento sarebbe manco di effetto, Che 'n tutto è orbo chi non vede il sole; e io sdegno combattere cogli ignoranti, essendo loro costume non arrendersi se non per morte; e mi lusinga di dolce vittoria entrare in campo coi dotti, ai quali basta che s'affacci la dolce verità, perchè venga da loro con aperto seno raccolta e avuta cara.

Se non sono nel creder mio ingannato, siccome per l'Inferno dei morti quello dei vivi ci descrisse il Poeta, così nel suo Paradiso figurò quella beatitudine che acquista l'uomo pur di qua per mezzo della filosofia; e filosofia è, come si dice nel Convito, uno amoroso uso di sapienza, il quale massimamente è in Dio, ovvero quando l'anima e la sapienza sono fatte amiche, sicchè l'una sia tutta amata dall'altra.

Perduta ch'ebbe Dante quella Beatrice, per la quale uscito era della vulgare schiera, onde rimase in tanto afsanno, che nulla cosa mortale gli poteva valere alcun conforto, trovò pur alfine rimedio alle sue lagrime, e questo si fu nello studio della filosofia, dove altri in avversa fortuna l'aveva similmente trovato; e, siccome racconta egli stesso nel Couvito, immaginando lei fatta come una gentil donna, e tutta pietosa e piena di salute e di pace, in lei pose sì forte l'affetto, che, non si temperasse per lei il suo fiero dolore, v'attinse quel pieno contentamento che s'aveva immaginato; e volendo poscia quella beatitudine dimostrare, ovvero insegnare all'uomo come, conosciuto ch'egli ha l'errore pei tristi effetti (1), e

(1) L'Inferno.

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