20 Ed in terra lasciai la mia memoria Si fa sentir, come di molti amori Che lungamente m'ha tenuto in fame, disio. E vedrai la giustezza del concetto, riflettendo che questa gloria è quella del sommo di tutti i beni, che tutti gli altri in sè comprende • a cui, se alcuna cosa mancasse non sarebbe sommo, rimanendo fuori di lui cosa che si potesse desiderare. 17 e 18. Che le genti, ecc.: video bona proboque, deteriora sequor. Lei, la memoria delle giuste e gloriose mie azioni. La storia, che consiste nei fatti stessi. 19-21. Alf. not. Ordina: così un sol calore si fa sentire dall'unione di molte brage, come un solo suono di molti amori usciva dal rostro di quella immagine. Chiama amori quegli spiriti, in riguardo all'ardente zelo di carità che gli avvampa.. 22-27. Si not. da Alf. O perpetui fiori, ecc. Chiama così quelle anime, perche gli s'offre alla immaginazione la celestiale beatitudine quale orto lieto d'eterna primavera ; e però seguita i vostri odori, in vece di le vostre voci; fatte una sola per l'unanime concordanza fra loro. Solvetemi... il gran digiuno, figurando nel digiuno il desiderio, per esser l'uno e l'altro difetto, la cui intensità e lunghezza esprime cogli aggiunti grande, e lungamente; e, stando sul figurato, dice, che m'ha tenuto in fame, per esser di sorte che niun cibo di quaggiù lo poteva saziare. E vedrai tosto che il desiderio, da questo lungo digiuno Non trovandoli in terra cibo alcuno. Ben so io che, se in cielo altro reame La divina giustizia fa suo specchio, Che 'l vostro non l'apprende con velame. 30 Sapete come attento io m'apparecchio Ad ascoltar, sapete quale è quello Dubbio che m'è digiun cotanto vecchio. Quasi falcone ch'esce di cappello, figurato, non poteva da umano vedere essere soddisfatto. Spirando; respirando in me, parlandomi, perchè il mezzo per cui schiudesi il suono si è il fiato, o spiro, o respiro. , 28-30. Dice che, se altro ceto di beati vede in Dio le idee, ei sa bene che si fauno essi, avendogli detto Beatrice che i minori e i grandi di quel regno mirano le cose, anche prima che sieno in sè, nello specchio del mondo, ch'è la divina mente. Per quello che spetta alla gramatica, avverti che la congiuntiva che del terzo verso suppone sottinteso ben so io; se discorri altrimenti, dirai che questa che è posta quivi per certa grazia, come sarebbe uno sbileffe in bella guancia. Nota che la particella se vale se è vero, com'è verissimo. Osserva che la frase, la divina giustizia fa suo specchio altro reame significa la divina giustizia permette che miri in lei, e vi legga; come in ispecchio, i sembianti o le idee delle cose, e anche i pensieri. E dice la divina giustizia, in riguardo alla questione ch'è per trattare, come tosto si scorge. 32 e 33. Quello dubbio che, ecc. Nasce il dubbio da difetto di scienza, come il digiuno da quello di cibo; però l'uno per l'altro convenientemente figura. Il dubbio si dichiara, vers. 70 e seg., e non l'espone il Poeta, perchè preme sempre al fine. 34-36. Alf. not. Chi, se non Dante, poteva trovare nella semplice natura esempi degni del paradiso? Cosi fa sempre, e però non soggiacciono le cose sue alla variabilità delle cose nuove. Cappello, Alfieri spiega: quell' involto con cui gli si toglie la vista, 35 Muove la testa, e con l'ale s'applaude, Voglia mostrando, e facendosi bello, Vid' io farsi quel segno, che di laude Della divina grazia era contesto, Con canti quai si sa chi lassù gaude. 40 Poi cominciò: Colui che volse il sesto Allo stremo del mondo, e dentro ad esso Distinse tanto occulto e manifesto, prima di lasciarlo correre. Muove la testa ecc. chi l'ha veduto non può aver meglio veduto. Questa similitudine piacque al Boccaccio sì, che l'inseri in quasi tutte le sue opere. Nella Fiammetta: finita l'orazione, non altrimenti che falcone uscito di cappello, plaudendomi, ecc. Nel Corbaccio: non altrimenti il falcone tratto di cappello si rifà tutto, e sopra sè ecc. Nel Filostrato : torna, Si rifacea grazioso, vago e bello, Non la lasciò scappar l'Ariosto, e la distese così: 37-39. Vid io farsi, ecc., per la nuova occasione di tramandar fuori l'accesa vampa di carità. Di laude, ecc., era composto d'anime laudatrici della divina grazia. Contesto, tessuto l'un coll'altro. Quai si sa, ecc., non si potendo in questo mondo simiglianti sentire. 40-45. Sono profondi i sentimenti in questi e nelle seguenti parole contenuti; aguzzi ben l'occhio chi impara. Il senso è che, per quanto del divino valore abbia in sè il mirabile artificio dell'universo, nondimeno in infinito eccesso di là il Creatore si distende; perciocchè ogni effetto è minore della cagion sua, e il divino intelletto essendo cagione di tutto, ne seguita ohe tutto è da lui soperchiato, e improporzionalmente soperchiato. Colui che volse il sesto, ecc., ti rappre Non potéo suo valor si fare impresso Che fu la somma d'ogni creatura, 45 50 senta il sommo Architetto determinante i confini da lui pensati dell'universo, col sesto in mano (colle seste o compasso, così detto dallo assettare o assestare) per ordinarvi dentro quanto per mente o per occhio si gira, e quanto al corto nostro intelletto si cela. Non potèo, ecc. " non potè imprimere nell'universo il valor suo si, che il suo verbo (il divin intelletto, come leggesi nel Convito, cagione di tutto) non rimanesse infinitamente di là. 46-48. Eccone infallibil prova: se Lucifero, che fu la più perfetta d'ogni creatura, e però vide più addentro in Dio, non giunse a vedere il segreto della divina mente segno è che questa fu oltre al suo vedere, e ch'ell' è per conseguente tale_rispetto alle altre minori creature. Primo superbo, Lucifero; che fu il primo a levar le ciglia contro 'l suo Fattore. La somma, suppl. creatura. Per non aspettar lume, quello che, siccome agli altri angeli, eragli da Dio destinato a confermarlo in grazia, e ch'ei non vide perchè chiuso nel profondo segreto della divina mente. Acerbo, non maturo, perchè prima d'aver ricevuto quell'ultima grazia. 49-51. Alf. not. Ogni minor natura, ogni natura minore della divina, come sono tutte le creature di lei. È corto recettacolo, ecc. ha poca capacità a contenere quel bene ecc. E sè in sè misura, non vi essendo proporzione alcuna fra il determinato e l'infinito. Il signor can. Dionigi, scrivendo sè con sè misura, toglie quell'idea di relazione del continente col Dunque nostra veduta, che conviene Essere alcun de' raggi della mente Di che tutte le cose son ripiene, 55 Non può di sua natura esser possente Tanto, che suo principio non discerna Molto di là, da quel ch'egli è, parvente; Però nella giustizia sempiterna 60 La vista che riceve il vostro mondo, contenuto, alla quale l'espressione del Poeta ti costringe. Così il Lombardi colla Nidob. e il MS. Stuard., e quello che credesi del Boccaccio. non 52-57. La conseguenza si è dunque l'intelletto nostro, per quanto sia di sua natura possente può non discernere il principio suo ben altro da quello ch'egli è. E questo può discernere, fra gli altri modi, riflettendo che ogni cagione è maggiore dell'effetto. Ora spieghiamo la lettera. Nostra veduta, la veduta della mente nostra, o sia l'umano intelletto. Che conviene essere alcun de' raggi, ecc. Dice nel Convito, che il divino intelletto è cagione di tutto, massimamente dell'intelletto umano. Di che tutte le cose son ripiene. Jerem. Numquid non coelum et terram ego impleo? Di sua natura, nullo effetto essendo maggiore della cagione. Il suo principio il divino intelletto. La frase, parvente molto di là da quel ch'egli è, signi fica, in apparenza molto dal vero disproporzionata. Avvertasi che la forma di là, vale in luogo di là, cioè di fuori, adoperandosi qual semplice segno d'esteriorità, e " per analogia, di disformità. 58-63. Si not. da Alf. Ordina: però (per conseguenza delle cose dette) la vista che riceve il vostro mondo (l'intelletto che l'umana gente riceve dall' Ente semmo) s'interna entro nella giustizia sempiterna |