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ARRICCHITA DEL RITRATTO E DE' CENNI STORICI INTORNO AL POETA,

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AVVERTIMENTO

DEL COMMENTATORE

PREMESSO ALL' EDIZIONE DELL' ANNO 1860.

Esaurita la prima edizione del mio commento alla Commedia di Dante, ho creduto bene, siccome già feci per le Opere minori, di riprodurlo in una forma più conveniente e più ampia, la quale facesse anche questo volume, per ogni riguardo, degno compagno degli altri tre. Ond'è che tutto ebbi l'animo a migliorarlo (per quanto mi fosse dato) così nell'ordine come nella sostanza, sia ritoccando e ripulendo in molte parti il lavoro, sia accrescendolo, e anche notevolmente, là dove pareami non essere abbastanza. Nel che fare non avendo alterato nè punto nè poco a metodo, che dapprima mi prefissi seguire, stimo opportuno il ripeter qui le poche parole, ch' io feci nel 1852 nell' avvertenza a quella prima edizione; e son le seguenti:

Nel mandare alla luce questo commento alla Divina Commedia, m'è d'uopo significare quale sia stato il mio divisamento nel compilarlo, e quali le norme, ch' io abbia seguito nel condurre il lavoro. Or dunque divisai di porre insieme un commento, che servisse più specialmente ai giovani, e che potesse generalmente essere ammesso nelle scuole: non troppo prolisso, ma neppur troppo breve; non troppo ricercato ed artificioso, ma neppur troppo semplice e disadorno. Se io poteva prendere il commento del Venturi ed abbreviarlo là dove è alquanto prolisso, e correggerlo là dove va crrato; se io poteva prendere quello del Costa, e supplirlo ne' luoghi parecchi ne' quali è manchevole, io non avrei fatto press' a poco, che quello ch' egregiamente già fece Brunone Bianchi. D'altra parte io considerava, che, prendendo alcuno de' vecchi commenti, io mi sarei trovato ad ogni pagina a dover, per mezzo di

contronote, correggere, modificare, schiarire e ampliare le note del commento preso a modello: mi sarei veduto bene spesso costretto a dover entrare in discussione sia per le lezioni varianti, sia per le differenti interpretazioni: e così, quand' anche avessi scansato il mal vezzo di che i commentatori si piacciono, accapigliandosi l'un l'altro, avrei nientedimeno accresciuta di soverchio la mole del libro, cotalchè non avrebbe convenientemente ri sposto al fine, ch' io mi prefiggeva nel compilarlo. Mi determinar dunque a far di nuovo, tanto più che venti anni di studi intorno alle opere dell' Alighieri pareva me ne dessero un qualche diritto.

Ma questo s'intenda colla debita discrezione; poichè oggi in un nuovo commento a Dante non mollo di nuovo è da mettere, quando pur non si volesse giuocare di fantasia. Siffatto lavoro è un edifizio, che fu già cominciato da cinque secoli, ed a cui ogni chiosatore ed illustratore della Divina Commedia ha portato la sua pietra ed il suo cemento. Adunque io ho profittato de' lavori di tutti i chiosatori che mi han preceduto; e più particolarmente ho avuto sott' occhio i commenti del Venturi, del Lombardi, del Costa e del Bianchi. Il dir poi, ch' io ho profittato assai de dotti lavori filologici del Nannucci, è quasi un dir cosa inutile; poichè qual è l'illustratore di antiche scritture italiane, che alle opere del Nannucci non debba ricorrere?

Un commento, che non fosse in alcuna parte manchevole, sia per l'interpretazione sì della frase come del concetto, sia per la dichiarazione storica e mitologica e dell' architettura e dell' allegoria del poema, e che al tempo stesso non fosse d'una mole e quindi d'una spesa soverchia, fu quello ch'io mi proposi di compilare. Il perchè mi dovei studiare di esser breve e conciso; ma fino a tal limite, che non recasse danno alla chiarezza dell' esposizione, o che non lasciasse insoluta una parte, eziandio piccola, delle difficoltà e dubbiezze, che alla piena intelligenza del testo fa di mestieri chiarire. Una cosa sola non ho toccata, ed è il notare le bellezze sia di modi e di forme, sia di concetti e d'immagini; e ciò per due ragioni: la prima, che in un vero e proprio commento io non credo potere opportunamente aver luogo un lavoro estetico siffatto, pel quale si richiede un'opera speciale; la seconda, che tali e tante sono in questo poema le bellezze, che a volerle notar tutte (e il notarne alcune servirebbe a poco) non sarebbono bastate altrettante pagine, quante comprendono queste chiose: onde il libro ne sarebbe riuscito d' eccessiva grossezza.

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