>> Dic, age quot flores, quot lilia vertit Arator! MAESTRO GIOVANNI DI VIRGILIO. QUANDO il libro sul Veltro allegorico di Dante comparve in Firenze nel 1826, temettero gli amici dell'Autore non quel titolo dovesse nuocergli, facendo credere, che anche qui si trattasse di stampar volumi sopra qualche novella interpetrazione d' una parola o d' un verso dell' Alighieri. Ma il pericolo fu superato dalla lettura; e di leggieri si conobbe, che in quel lavoro parlavasi appena del Veltro; che molta Storia vi si discorreva; e che anzi non era il libro se non parte di Storia più grave intorno al secolo del Poeta. Prometteva l'Autore di pubblicare i documenti, su' quali si fondavano i suoi racconti : dava intanto alla luce i brani della Lettera da lui scoperta di Dante a' Cardinali d'Italia. Nondimeno, avendo l' Autore volto i suoi studii alla Storia generale d'Italia, lasciò in disparte i fatti spettanti al Poeta: e però non fia soverchio il dare uno sguardo ad alcuni di quei documenti, la mancanza de' quali di molte controversie per avventura è stata fin oggi cagione. Nulla rileva per ora il sapere quale nel principio dell' Inferno sia la lupa, che Dante spera veder cacciata di villa in villa da un Veltro, fornito di sapienza e di virtù e d' amore; da un Veltro, a cui toccava di dover nascere tra Feltro e Feltro e salvare in ultimo l'umile Italia. Nulla rileva, perchè non si può rigorosamente dimostrare se da poeta parlava l' Alighieri d'enti fantastici, o se da storico trattò di cose attuali e d' uomini vivi. Fin dall' età sua scrissero i più, che favellato avesse da poeta; ravvisando nella lupa un vizio, quale o l'avarizia o la simonia, e nel Veltro una forza vincitrice di quel vizio: forza umana secondo alcuni, e sovraumana secondo altri. Ma in quest'ultima opinione, che chiameremo poetica, non si sanno acconciamente dichiarare le parole tra Feltro e Feltro: il perchè si cercò di snodarle per mezzo della Geografia: donde procedè l'altra opinione detta istorica, la quale crede atte queste parole a dinotar la patria ovvero la signoria d'un sommo Italiano, a cui la sorte avesse conceduto di guerreggiare quel vizio, qualunque si fosse, o quella nociva potestà, che prevalea nelle città nemiche alla parte del Poeta quando egli pubblicava il suo Inferno. Delle due ipotesi lasceremo libero a ciascuno di scegliere qualunque più gli possa piacere : pur tuttavolta la sola storica, dovendo paragonar fra loro gl'lta. liani eccellenti, se non ecceda i giusti confini delle ricerche, riesce utile alla scienza del passato e de' pubblici avve. nimenti d' Italia. Studiando in quel secolo, pensò l'Autore del Veltro, che non Cane della Scala ma Ugo della Faggiola, volgarmente detto Uguccione, fosse stato l'Italiano sperato dall' Alighieri; ciò che piacque a parecchi uomini doltissimi, quali un Paolo Costa, un Conte Giovanni Marchetti, un Dionisio Strocchi, un Giuseppe Borghi. Ancora pensò egli, che l' Inferno, dove si ricorda il supplizio patito nel 1307 da Fra Dolcino, fosse stato nell' autunno ad un bel circa del se. guente anno 1508 pubblicato in un corpo solo, sì come ora il leggiamo; tuttochè avesse potuto forse già trarsi prima una qualche copia d'alcun Canto particolare, ovvero d' alcuni episodii. D'assai argomenti s'ajutava questa sentenza, ed innanzi ogni altro di quello recato dallo stesso Conte Marchetti, che nulla, cioè, leggesi nell' Inferno di cose occorse dopo il 1308. Ma un insigne professor di Breslavia, il Signor Carlo Witte, che nell' Hermes di Lipsia severamente avea giudicato de' lavori del Costa e del Marchetti ed in generale degli studii nostri d' Italia sulla Divina Commedia, più severamenté levossi contro questa Osservazione, additando il luogo dell' Inferno dove si tocca della morte di Clemente V., mancato nel 20 Aprile 1314'. Si prevede, che Clemente morrà in breve per le conosciute sue infermità, ma non si dice che già sia venuto meno, avea già notato l'Autore del Veltro a tale, che ben può lodarsi quale un modello d'ogni virtù e d'ogni coraggio; all'egregio G. P., congiunto con esso Autore in amicizia, che questi reputa essere una vera e schietta felicità di sua vita. Non manco il valoroso uomo di metter ciò in mostra: e tosto l' eruditissimo Signor Emmanuele Repetti, facendo plauso, prese a raccontare quanto quel Papa era infermo nel 1308, e come per conseguenza l'Inferno dovea riputarsi pubblicato nell'anno medesimo, in cui si credeva sì vicino il termine di quei giorni 3: della qual verità novelle prove s' addurranno in questa scrittura, ma basti per ora il presupporre che cosi fu. Da un'altra parte il Signor Tommaseo, dottissimo e gentilissimo, rammentò al Signor Witte, che più riposatamente volea parlarsi degli studii d' Italia sulla Divina Commevia : sì che quegli, avuto agio di meglio conoscere questa Italia, e diventato assai più nostro di quando egli scriveva nell' Hermes, fece gradito dono agl' Italiani d' un'ampia Raccolta delle Lettere dell' Alighieri, fra le quali si trova intera la Lettera scoperta dall' Autore del Veltro a' Cardi nali d'Italia; e tutte corredolle di brevi e d'utilissime Note 5. • WITTE, Nell'Antologia di Firenze, Num. 69, Settembre 1826. 2G.P.Articoli sul Veltro nella stessa Antologia, Num. 71-72.Nov.e Dec. 1826. * REPETTI, Ibid. Num. 74. Feb. 1827. 4 TOMMASEO, Nel Ricoglitore di Milano, Num... * WITTE, Epistolae Dantis, Patavii, 1827. in 4.° 2 Primo contro Ugo della Faggiola ed in favor di Cane Scaligero s' alzò in Udine il signor Quirico Viviani '. Ma I' Arrivabene propose per Veltro i Mantovani o Butirone o Passerino dei Buonaccolsi *. Ed il Cav. de Cesare in Napoli raccomandò il buon Pontefice Benedetto XI3, affermando, che Ugo della Faggiola era indegno affatto della stima dell' Alighieri. La quale accusa, con urbanità somma e con la cortesia della natura sua, tolse il Signor Tommaseo ad allargarla in tutti i modi *; richiamando a novello esame la vita intera del Faggiolano e ricorrendo ai fonti storici, de' quali (ma senza indicarli) l'Autor del Veltro s'era servito. Protesta il Signor Tommaseo di non volere altro se non intorno a quella vita esporre alquanti suoi dubbii, e da prima non tace le lodi del Faggiolano: ma quando egli discende a ciò che chiama le particolarià vive dei fatti, quantunque le sue parole sieno d'uomo il quale dubiti, nondimeno le sue conclusioni appartengono ad uomo, il quale afferma e risolutamente afferma: e tanto pone d'arte e d'ingegno in quelle sue conclusioni, che il lettore si crede obbligato a dire, non esservi stato in verità un più tristo uomo di quell' Ugo. E parve al Signor M. che, con prove rigorosamente ricavate dalla storia, Cane Scaligero per opera del Tommaseo fosse stato ristorato nell'antica sua condizione di Veltro 5. Ma che fece mai questo Can della Scala, replicò il Signor G. P. in una seconda sua scrittura; che mai fece costui per dare all'Alighieri le speranze di salvar l'umile Italia? Qui sembrava, che quello Scrittore volesse ripetere le tante lodi profuse al Faggiolano quando egli rispose al Signor Witte: le lodi, cioè, d' uomo che non sali a potenza ed a celebrità se non col senno e con la mano, e con gli eroici numeri della mente e del cuore; congiunte con quelle di forte Italico, di Capitano in vittissimo e d' Eroe vaticinato da Dante. Or più quegli non è da tanto, sebbene ancor valoroso e pugnace: ora non è se non Capitano di ventura ed ombra rimasta pressochè invisibile nella Storia: il che avviene perchè il Signor G. P., dilungatosi dalla storica, ritornò all' opinione poetica, e propriamente all'antichissima, che attribuisce il Veltro fantastico alla natura úmana d' un Papa o di un Imperatore futuro ed anco d'un Principe o Kan dei Tartari, sì come racconta il Boccaccio. E se la sua nazione sarà tra Feltro e Feltro, dunque non era nato il Veltro quando si pubblicava l'Inferno, conclude il Signor G. P. Ma il sarà d'un poeta, che si avvolge fra nubi allegoriche, non va giudicato con le regole ordinarie della comune sintassi ; e sovente nello stile poetico il passato divien futuro, dal quale non si ricava nulla in favore nè della ipotesi poetica nè della storica. Tuttavia, volendo il valentuomo confortar quella con le ragioni di questa, si rivolse a dover dimostrare, che l'opera del Veltro non potea sperarsi dagli uomini dell' età dell'Alighieri: che già era cessato il maschio secolo XIII, in cui quegli nacque; che anche il crudele ma virile orror dei delitti era cessato; e che nel XIV secolo non apparivano più capaci gli uomini se non di mezze virtù e di mezzi delitti. Queste considerazioni possono avere la lor parte di vero: nondimeno, se più non vivevano i grandi conquistatori, se non si combattevano le grandi guerre de' Sesostri e degli Alessandri, ovvero de' Cesari e de' Napoleoni, egli facea mestieri contentarsi de' guerrieri, che allora vi erano, e di sperar talvolta salute dal men pigmeo fra i pigmei. E se daddovero quella cotanto subita degradazione d' Italia fosse stata possibile, noi diremmo, che Ugo della Faggiola nacque prima dell' Alighieri e prima di lui VIVIANI, Discorso premesso al Secolo di Dante dell'Arrivabene. Udine, 1827. * ARRIVABENE, Secolo di Dante, pag. 264. * DE CESARE, Del Veltro, Napoli, 1829. in 4.° 4 TOMMASEO, Nell'Antologia di Firenze, Num. 130. Ottobre 1831. 5 M. Ibid. Num. 135. Marzo 1832. 6 G. P. Ibid. Num. 134. Feb. 1832. |