LETTERA A GUIDO CORSINI Direttore del Giornale del Centenario di Dante. Sig. Direttore, Il Pecchio, festivo ingegno, allorchè prese & compendiare per l'utile de' più le dottrine degli economisti italiani disse: « Esservi tra noi necessità di opere somiglianti; perchè il pubblico ha poco tempo, e poca voglia ». Il Foscolo, grave indagatore de'sociali bisogni e dell' indole umana, lasciò scritto : « Far d'uopo che il principe qualche volta senta, e talvolta il popolo ragioni ». Da chi guardi sottilmente per entro alle sopraccitate sentenze, benchè alquanto indeterminate, si rileva come fosse nel cuore a' due nobilissimi spiriti la popolare istruzione anche in que' tristi tempi, che le forestiere tirannidi cercavano abbrutire nell' ignoranza le moltitudini; nè sarà vano aggiungervi, studiavansi ancora con arte maligna a pascere il patriziato di frivolezze, e a pervertire la borghesia nelle gozzoviglie e nel giuoco. Nei dì che viviamo la popolare istruzione, non è più un solo voto del cuore, ma vita salutare ha preso, e continua felicemente a svolgersi mercè il libero ordinamento politico della vano, patria italiana, il senno municipale, le sovvenzioni governative, e l'ufficio incomparabile di quegli ottimi che alla santità delle parole congiungono quella delle opere, senza il`qual vincolo la stessa sapienza è nome è ipocrisia, è veleno e non pane alle nazioni. La nobilissima Firenze, che nel medio evo inaugurò la redenzione del popolo per mezzo del lavoro, Firenze che aprì il campo alla moderna civiltà europea, e che fu ognora madre immortale di singolari intelletti in ogni ragione di scienze e d'arti, ora degnamente si prepara a festeggiare il sesto Centenario di quel Grande. E fu buon pensiero il vostro, signor Direttore, di dare in luce il Giornale del Centenario; e quando, a far sempre meglio, prometteste aggiungervi un foglio settimanale a pro della moltitudine. Torna proprio bene che anche i più godano di questo gratissimo convito nazionale. In tal modo il popolo non adorerà Dante con cieca idolatria; ma saprà il perchè di tanto amore, e di tanta riconoscenza verso l'altissimo poeta. Permettetemi dunque che anch' io, nato di popolo, concorra con qualche mio lavoro all'istruzione del popolo. Invio pel vostro foglio settimanale due compendii o quadri della Divina Commedia, uno sinottico e l'altro espositivo corredato di una breve Prefazione. Mi scelsi fra le opere di Dante la Divina Commedia, sì perchè è il suo capo-lavoro, sì perchè si ristringono in essa tutte le altre scritture di quel sommo. E nel vero la bellissima e soavissima Beatrice della Vita nuova, ossia la vergine dell'amor puro, la Beatrice ragionante del Convito, che è quanto dire la Filosofia, si sublimano e prendono il più alto volo nella Beatrice del Sacro poema o divina scienza. Il libro della Monarchia, fissando il fine politico, ossia la necessità dell' impero universale, per costituire il regno della giustizia e della pace, serve come di mezzo allo scopo morale e finale della Divina Commedia, posto nel dovere che incombe a ciascuno di farsi netto da ogni errore e rendersi amico di virtù e di sapienza fra gli uomini, per l'acquisto nel cielo di quel premio che avanza i desiderii. Anche l'operetta della Volgare eloquenza ha un connesso mirabile col dantesco poema, come quella che mirava a formare della lingua volgare italica non un idioma di provincia, ma una lingua comune, affine di comporre ad unità la sacra terra destinata da Dio a dar glorioso seggio nella sua Roma alle potenze della Chiesa e dell' Impero, che quasi come due soli dovevano irraggiare a nuova vita e nuovi destini il mondo. Accogliete con benigno animo quest'umile lavoro, e un saluto che ben di cuore vi manda UN TOSCANO. << Non fu necessario, scrive il professor Centofanti (1), un lungo volger d'anni, acciocchè il Poema sacro salisse in gran rinomanza per tutta la nostra Italia. La novità e la eccellenza di questa mirabile creazione bastavano a meritarle il favore e l'ammirazione dell'universale.... La Divina Commedia nel secolo stesso che la vide nascere diventò materia comune di studio e di esposizioni, quasi punto cardinale, verso cui, portati dall'amore, si volgessero i moti di molte e nobili intelligenze. In Firenze l'eloquentissimo Certaldese (2), in Bologna Benvenuto da Imola, in Pisa (1) Introduzione al Commento di Francesco da Buti sopra la Divina Commedia di Dante Alighieri. Pisa, pei fratelli Nistri 1856. (2) Nel 12 agosto 1373 i Fiorentini fondarono una pubblica cattedra per esporre la Divina Commedia. Giovanni Boccaccio fu scelto a spiegarla, e vi diè principio il 3 ottobre dell' anno detto. Ed esso appunto, che nel glorioso triumvirato letterario de' tre grandi Italiani (Dante, Petrarca e Boccaccio) venne per terzo, oltre gli encomi che profonde all'Alighieri nell'Amorosa Visione, nella vita di lui scrive « che in Dante era tutta la pubblica fede, in lui tutta la speranza pubblica, in lui sommamente le divine cose e le umane eran fermate ». (*) Questo scritto lo corrediamo di note perchè i giovanetti studiosi possano cavarne maggior profitto. |