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dite chi ella è, per la fede che uoi mi douete. Ah! dama, io ueggo bene che mi conuiene dire che siate uoi. Io? dice essa. Vero dite, dama. Per me non rompesti uoi le tre lancie, che mia pulzella ui portò, perchè ui messi bene fuori del mio comandamento? Dama, io feci per essa, ciò che io doueuo, et per uoi ciò che io poteuo. Et quanto è che uoi tanto mi amate? Dal giorno che io fui tenuto per caualiere. Per la fede che uoi adunque mi douete, donde uiene questo amore che noi auete messo in me? Dama, dice esso, uoi me lo facesti fare, che di me facesti uostro amico, se uostra bocca non mi ha mentito. Amico mio, dice essa, come? Dama, dice esso, io uenni dauanti a uoi quando io presi licentia da monsignore il re, et ui raccomandai a Dio, et dissi, che ero uostro caualiere in tutti i luoghi. Et uoi mi dicesti, che uostro amico et uostro caualiere uoleui uoi, che io fusse. Et io dissi: a Dio, dama. Et uoi dicesti: a Dio mio bello et dolce amico. Questo fu il motto, che mi fece ualente huomo, se io lo sono, ne mai di poi fui a si gran pericolo, che io non me ne ricordasse. Questo motto mi ha riconfortato in tutti i miei nemici; questo motto mi ha guarito da tutti i mali; questo motto mi ha fatto ricco in mèzo della pouertà. Per mia fe, disse la reina, questo motto fu detto in buona hora; ma io non lo piglio come per cosa certa, come uoi fate, perchè a molti ualenti huomini ho io detto questo, oue non pensai altra cosa che quel dire; ma la costume è tale de' caualieri, che fanno a molte dame sembiante di tali cose, per le quali non sono al cuore loro niente. Et questo diceua ella per uedere come beno lo potesse mettere in mala uita, perchè ella uedeua bene, che esso non pretendeua ad altro amore che al suo, ma ella si dilettaua di trauagliarlo; et esso hebbe si grande angoscia, che mancò poco che non si uenisse meno. Et la reina c' hebbe paura che non cadesse, chiama Gallehault, et lui uiene correndo. Quando uide che il suo compagno era sì trauagliato, ne hebbe si gran dolore, che più non può. Ah dama! dice Gallehault, uoi ce lo potrete bene torre, ma questo sarà un gran danno. Certamente, signore, sarebbe mio; et hor non sapete uoi, perchè egli ha fatto di arme tanto? Disse Gallehault, non. Et ella disse: se uero è ciò che mi ha detto, questo è per me. Dama, se Dio mi aiuti, et se gli può bene credere, perchè così come egli è il più ualente huomo di tutti gli huomini, così è il suo cuore più ueritabile che tutti gli altri. Veramente, dice essa, che uoi direte che sia ualente huomo, se uoi sapete che tanto habbia fatto di arme più che altro caualiere. Allhora gli conta tutto, come uoi auete udito; et sappiate che l'ha fatto solamente per me, dice essa. Allhora la priega Gallehault, et dice: per Dio, dama, habbiate di lui pietà, et fate così per me, come io farei per uoi, se uoi mi pregassi. Che pietà uolete uoi che io ne abbia? Dama, uoi sapete, che ui ama sopra tutte, et ha fatto per uoi più che caualiere facesse mai per dama; et sappiate che la pace di me et di Monsignore non sarebbe stata, se non fusse stato lui. Certamente, dice essa, egli ha fatto più per me di quello che io lo potessi mai rimeritare, et non mi potrebbe richiedere cosa che io glie ne potessi negare; ma egli non mi richiede di niente, anzi è tanto maninconoso, che è marauiglia. Dama, dice Gallehault, habbiatene pietà; egli è tale, che ui ama più che se medesimo. Se mi aiuti Iddio, io non sapeua cosa alcuna della sua uolontà, fuori che dubitaua non essere conosciuto; ne più ne manco mi discoprì: io ne harò, disse ella, tale pietà, come uoi uorrete. Dama, uoi hauete fatto questo, che io ui ho richiesto, alsi debbo io fare ciò che uoi mi richiederete. Egli, dice la dama, non mi richiede di niente. Certamente, dama, dice Gallehault, ei non si ardisce; per il che non ui domanderà mai cosa alcuna per amore, perchè teme; ma io ue ne priego per lui; et se bene io non ue ne pregassi, si lo doueresti uoi procacciare, perchè più ricco tesoro non potresti uoi conquistare. Certamente, dice essa, io lo so bene, et io ne farò tutto ciò che uoi mi comandarete. Dama, dice Gallehault, gran mercè; io ui priego che uoi gli doniate il uostro amore, et lo riteniate sempre per uostro caualiere, et diuegnate sua leale dama tutta la uostra uita, et l' harete fatto più ricco, che se uoi gli hauessi donato tutto il mondo. Certamente, dice essa, io glie ne prometto, ma che egli sia mio, et io tutta sua, et che per uoi sieno emendate tutte le cose mal fatte. Dama, dice Gallehault, hor conuiene che si facci il cominciamento del seruitio. Dama, dice esso, gran mercè: bacciatelo auanti a me per cominciamento di uero amore. Del bacciare,

dice essa, io non ci ueggo nè luogo nè tempo; et non dubitate, dice essa, che io non lo facessi, anzi uolentieri lo farei, ma queste dame che sono qui, molto si marauigliano, che noi habbiamo tanto fatto, et non potrebbe essere che le non uedessino: non per tanto, se uoi uolete, io lo bacierò uolentieri. Et esso ne fu si allegro, che non può rispondere, se non tanto, che dice: dama, gran mercè. Dama, dice Gallehault, del suo uolere non dubitate già, perchè è uostro; et sappiate bene, che nessuno se ne accorgierà: noi tre saremo insieme come se noi consultassimo. Di che mi farei io pregare? disse essa; più lo uoglio io che uoi. Allhora si tirano da parte et fanno sembiante di consigliare. Et la reina uede che il caualiere non ardisce di fare più: lo piglia per il mento, et lo bacia dauanti a Gallehault assai lungamente. Et . .

Quel giorno più non vi leggemmo avante!

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Al tornar della mente, che si chiuse
Dinanzi alla pietà de' duo cognati,
Che di tristizia tutto mi confuse,

4 Nuovi tormenti e nuovi tormentati

Mi veggio intorno, come ch' io mi mova
E ch' io mi volga, e come ch' io mi guati.

7 Io sono al terzo cerchio della piova
Eterna, maledetta, fredda e greve:
Regola e qualità mai non l'è nova.

1. AL TORNAR: alle sue solite operazioni, che erano state sospese, poichè come disse al fine del canto antecedente, egli era caduto tramortito. SI CHIUSE: all' impressione degli oggetti esterni.

2. DINANZI: alla vista. - PIETÀ: pietoso aspetto.

3. TRISTIZIA: cfr. Inf. V, 117. - La tristizia secondo Iddio produce penitenza e salute, . . . . ma la tristizia del mondo produce la morte. II Corint. VII, 10.

4. NUOVI: di genere diverso. È verissimo che gli italiani usano il vocabolo nuovo nel significato del novus de' Latini, per mirandus, inauditus; e vero è pure che anche il Nostro lo usa alle volte in questo senso: in questo verso però un tal senso non regge, come si vede dal secondo nuovi. Il poeta vuol dire semplicemente, che al risvegliarsi dal suo trai mortimento egli si vide in una nuova regione, diversa da quella ove eglera caduto tramortito.

5. COME CH' IO MI MOVA: da qualcunque parte io mi muova, rivolga e guardi. Guatare val qui semplicemente guardare attentamente, non già guardare con sospizione di male, come altri pretende.

7. IO SONO: come venutovi? nol dice. Il passaggio si è fatto durante lo svenimento del poeta. Vedi la nota alla fine del Canto terzo. — PIOVA: pioggia. «Per piova intendiamo qui ogni umore che dall' aer discende.>> Brg.

8. ETERNA, ecc. eterna, perchè non dee mai aver fine; maladetta, perchè è pur posta a nuocere, e non fa pro come quella del mondo; fredda, perchè fa l' uomo freddo di carità (?); e greve, perchè dà gravità. Buti. 9. MAI NOVA: piove senza intermissione e la pioggia è sempre la stessa: maledetta, fredda e greve.

DANTE, Divina Comedia. I.

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Grandine grossa, e acqua tinta, e neve
Per l'aer tenebroso si riversa:
Pute la terra che questo riceve.
Cerbero, fiera crudele e diversa,
Con tre gole caninamente latra

Sovra la gente che quivi è sommersa.

Gli occhi ha vermigli, e la barba unta ed atra,
E il ventre largo, e unghiate le mani
Graffia gli spirti, gli scuoia, ed isquatra.
Urlar gli fa la pioggia come cani;

Dall' un de' lati fanno all' altro schermo;
Volgonsi spesso i miseri profani.
Quando ci scorse Cerbero, il gran vermo,
Le bocche aperse e mostrocci le sanne:

10. TINTA: sporca, sozza, cfr. v. 100.

12. PUTE: puzza.

QUESTO: questo miscuglio.

«Convenientissima

pena al delitto, chè essendo il peccato della gola vilissimo, e chi l' esercita simile al porco: a guisa di porci gli faccia stare nel fangoso pantano.» Dl.

13. CERBERO: cane a tre teste, nella mitologia pagana guardiano dell' inferno. Dante ne fa un demonio; vedi sopra Inf. III, 109. DIVERSA: istrana, stravagante, mostruosa.

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- CANINA

SOMMERSA: nel pantano.

14. CON TRE GOLE: avendo tre teste; triplicata golosità. MENTE: a mo' di cane. L' avverbio in mente si legge quì spezzato, come non di rado nei poeti; cfr. Parad XXIV, 16. 17. 15. LA GENTE: i golosi. Al: la gregge. 16. OCCHI VERMIGLI: proprio dei golosi ed ubbriachi i cui occhi «son foderati di scarlatto.». Barg. -UNTA ED ATRA: però che i golosi mangiono bruttamente et ungonsi la barba; per la unzione ne diviene atra, cioè nera et oscura. An. Fior.

17. IL VENTRE LARGO: denota l' insaziabilità; denota la rapacità. -MANI: zampe.

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UNGHIATE LE MANI:

18. GRAFFIA: colle sue unghiate mani; SCUOIA: graffiandoli. Molti Codd. ed ediz. hanno ingoja; a questi spiriti toccherebbe adunque la sorte del profeta Giona. Peccato che Dante si è dimenticato di dirci se Cerbero li sgorga poi come fece il pesce col profeta! Non lo avrebbe certo omesso quando avesse scritto ingoja. E poi avrebbe in tal caso dovuto far precedere lo isquattrare all' ingojare, chè probabilmente Cerbero li avrà isquattrati prima di ingojarseli e non dopo. O lo faceva egli forse quando già se li aveva nel suo largo ventre? Graffia e scuoja non è una tautología; credo di esser stato graffiato qualche volta essendo fanciullo, ma non mi ricorda di esser mai stato scuoiato. ISQUATRA: squarta.

<< In

19. COME CANI: bestie alle quali il loro vizio li rende simili. tutto il capitolo dice questi spiriti avere maniera di cane.» An. Fior. 20. SCHERMO: riparo; lo stesso modo all' incirca tengono pure gli usurai, Inf. XVII, 47. sgg.

21. PROFANI: Prendete guardia che niuno sia profano come Esau, il quale per una vivanda vendette la sua ragione di primogenitura. Ad Ebr. XII, 16.

22. VERMO: in antico valeva qualunque sia fiera schifosa. Tom. Credo per altro che il poeta lo chiami così a disegno. Questa razza di gente serve al ventre che è un pasto di vermi; un gran verme li tormenta, v. 18. Ove il verme loro non muore. Marc. IX, 44. 46. 48. Isai. LXVI, 24. 23. SANNE: zanne; dal tedesco Zahn dente.

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Non avea membro che tenesse fermo,
E il duca mio distese le sue spanne,

Prese la terra, e con piene le pugna
La gittò dentro alle bramose canne.
28 Qual è quel cane che abbaiando agugna,
E si racqueta poi che il pasto morde,
Che solo a divorarlo intende e pugna:
Cotai si fecer quelle facce lorde

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Dello demonio Cerbero che introna

L' anime sì ch' esser vorrebber sorde.
34 Noi passavam su per l'ombre che adona
La greve pioggia, e ponevám le piante
Sopra lor vanità che par persona.

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Elle giacean per terra tutte quante,
Fuor ch' una che a seder si levò, ratto
Ch' ella ci vide passarsi davante.

«O tu che se' per questo inferno tratto», —
Mi disse, «riconoscimi, se sai:

Tu fosti, prima ch' io disfatto, fatto.»

43 Ed io a lei: «L' angoscia che tu hai
Forse ti tira fuor della mia mente

Sì che non par ch' io ti vedessi mai,

24. NON AVEA: dimenavasi tutto per ira ed ingordigia.

25. SPANNE: apertura delle mani. Virgilio gitta dua pugna di terra nelle canne o gole di Cerbero (circa lo stesso fa la Sibilla nell' Eneide, VI, 419 segg.), e la bestia subito si racqueta, intenta a divorare dimentica il suo offizio. Ecco l' imagine del goloso! Basta sovente soltanto un pugno di terra! . . .

27. BRAMOSE: ingorde, fameliche.

28. AGUGNA: agogna. Agognare è grandemente desiderare alcuna cosa; et è proprio del cane, che abbaiando con gran desiderio et attenzione aspetta che dato gli sia da mangiare. Dl.

29. MORDE: comincia a mangiare.

30. INTENDE: vi pone ogni suo studio ed attenzione. PUGNA: par combatta col cibo mangiandolo avido. Intende e pugna rendono insiem il simile senso del latino contendere. Tom.

31. FACCE: avendo tre teste Cerbero ha pure tre facce; il Cerbero di Dante non è cane, ma, come immediatamente dice, demonio; però lo rassomiglia al cane, v. 28-30, e però parla di facce, non di ceffi canini. 32. INTRONA: stordisce co' suoi latrati, v. 14. Grida sopra le anime

a modo che un tuono, sicchè vorrebbero esser sorde per non udirlo. Brg. I golosi amano pure musica a tavola: qui essi hanno musica senza tavola. 34. ADONA: fa stare giù e doma. Buti.

36. VANITÀ: ombre vane, cfr. Purg. II, 79. PAR PERSONA: ha sembianza di corpo umano.

37. TUTTE QUANTE: dunque Cerbero non ne avea ingojata nemmen una sola; vedi sopra v. 18.

38. RATTO: tosto che ci vide passare davanti a sè.

40. TRATTO: condotto.

42. DISFATTO: morto. - FATTO nato. Tu nascesti prima che io mo

rissi. Dante era nato nel 1265, Ciacco morì nel 1286.

44. TIRA FUOR: fa che io non mi sovvenga di te, non ti riconosca. Il dolore altera i lineamenti.

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