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si rivolse subitamente contro Ugolino, l' arcivescovo fece intendere che avea egli tradito Pisa dando le castella a' fiorentini e ai lucchesi. Fu grande battaglia da una parte e dall' altra a cavallo ed a piè, e durò sino al vespro. Banduccio figliuolo bastardo del conte vi rimase morto; Arrigo suo nipote, nato di Guelfo, ebbe la sorte stessa, che incontrò del pari un nipote dell' arcivescovo per nome Azzo. Ridottosi Ugolino co' suoi nel Palazzo del Popolo ebbe finalmente la peggio, e le genti dell' Ubaldini, abbruciate le porte, lo catturarono assieme co' figliuoli Gaddo e Uguccione e co' nipoti Anselmuccio e Brigata. Posti in catene, per venti e più giorni vennero guardati e custoditi in quel medesimo palazzo, fin che acconciata la torre de' Gualandi alle Sette vie vi furono riuchiusi.

Ruggieri fu gridato signore, rettore e governatore del Comune. Gli Upezzinghi, i Gaetani e gli altri seguaci de' Gherardesca presi con Ugolino, vennero lasciati liberi, e se n' andarono dalla città. Unitisi con Nino Visconti e cogli esuli guelfi a stretta lega colle repubbliche di Firenze e di Lucca, cacciarono per ogni dove i ghibellini dalle castella pisane, e danni gravissimi e guerra aperta mossero alla patria, forse sperando liberare Ugolino o almeno vendicarlo. In Pisa furono rapiti i beni, distrutte a furia di popolo le case de' guelfi, saccheggiata e arsa quella de' Gherardesca ch' era di là d' Arno di Chinzica nella Capella di S. Sepolcro. Ne' libri pubblici vennero rasi e cassi i nomi e i titoli de' caduti signori; ne' palazzi del Comune guaste cogli scarpelli l' insegne gentilizie de' Donoratico. Ruggieri mostrò quanto fosse impotente a governare la Repubblica, involta per opera sua in una guerra disastrosa e crudele. All' ambasciatore di Genova che venne sulla foce dell' Arno colle galere e gli chiese il conte prigione come aveva promesso, niente volle dare, scusandosi della rotta fede col dire che troppo tardi era giunto (Jac. Aurice, Anal. Gen. in Murat. 1. c. Vol. VI, pag. 595 e seg.). Frattanto gli esuli posero in fuga le genti chiamate a difesa della città dall' arcivescovo, che rassegnò l'ufficio suo a Gualtieri da Brunforte e questi a Guido da Montefeltro, famosissimo Capitano, quando sbandato esercito di Pisa ne' piani di Buti altro modo non seppero i ghibellini che affidarsi a costui per difendere e salvar la Repubblica.>>

Il Troya (Veltro alleg. di Dante, pag. 29), e dietro lui altri, pretendono che il crudele consiglio di vietare il cibo all' infelice conte Ugolino e a' suoi figliuoli e nipoti fosse opra di Guido da Montefeltro. Ma l' anonimo autore dei Fragm. Hist. Pis. (in Murat. 1. c. Vol. XXIV, pag. 655) racconta invece: « Quando lo dicto Messere lo conte Guido giunse in Pisa, lo Conte Ugolino, e 'l Conte Gaddo, e Uguccione suoi figliuoli, e Nino dicto Brigata figliuolo del conte Guelfo, e Anselmuccio figliuolo del conte Lotto, suoi nipoti, ch' erano in pregione in della Torre de Gualandi da sette vie, erano in distretta di mangiare e di bere per la posta della moneta di libre V. mila, ch' era loro imposta, che ne aveano pagate tre altre imposte. E fu dicto al Conte Ugolino da Neze a Marti, che se non pagasse u pagasse, era dicto che dovesseno morire. E quando lo Conte Guido giunse in Pisa, già erano morti lo Conte Gaddo e Uguccione di fame; e li autri tre morinno quella medesima septimana anco per distrecta di fame, perchè non pagonno. E da inde inansi la dicta pregione si chiamò la pregione e Torre della fame; e dissesi e credeasi, che se 'l Conte Guido fosse giunto in Pisa, inansi che fusseno cominciati a morire, u che fusseno così venuti meno, che non arè lassato nè patito, che fusseno morti per quello modo, che li arè iscampati da morte.>> Il Villani (1. VII, c. 128) racconta che il Conte domandava «con grida penitenzia » e che i Pisani «non gli concedettono frate o prete che 'I confessasse».

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La storia dell' infelice Ugolino fu ritessuta ultimamente con somma diligenza da Giovanni Sforza: Dante e i Pisani, nel Propugnatore, Vol. II, P. I. pag. 36-62 e dallo stesso nel suo libro: Dante e i Pisani; studi storici. 2a. ediz". Pisa 1873, pag. 85-132. Da questo esimio lavoro sono presi in parte questi brevi cenni storici, e ad esso rimandiamo chi ne vuol sapere di più. Accuratissime sono anche le notizie che ne da il Filalete in fine al Canto XXXIII della sua insigne traduzione della Div. Comm. Aggiungiamo in fine l'albero genealogico dei discendenti di Ugolino.

UGOLINO DELLA GHERARDESCA, CONTE DI DONORATICO

m. Margherita de' Panocchieschi, contessa di Montingegnoli

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LAPO, ERRICO, NINO detto IL BRIGATA, ANSELMUCCIO

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CANTO TRENTESIMOQUARTO.

CERCHIO NONO: TRADITORI. SPARTIMENTO QUARTO : GIU-
LUCIFERO. GIUDA, BRUTTO E CASSIO.
SALITA AL PURGATORIO.

DECCA.

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DELL' UNIVERSO.

CENTRO

«Vexilla Regis prodeunt inferni·

Verso di noi. Però dinanzi mira,»
Disse il maestro mio, «se tu il discerni».
4 Come quando una grossa nebbia spira,
O quando l'emisperio nostro annotta,

Par da lungi un mulin che il vento gira:

1. VEXILLA: I vessilli del Re d'Inferno s' avanzano, escono verso di noi. Le prime parole di questo verso sono il principio di un inno della chiesa alla Croce che si canta nella settimana santa, composto da Fortunato di Ceneda, vescovo di Poitiers nel sesto secolo. Dante, il quale finge trovarsi in Inferno appunto nella settimana santa, applica queste parole alle ali di Lucifero, non già per ironia, ma piuttosto per significare l'antitesi tra la bandiera del principe delle tenebre e quella del principe della luce. I vessilli sono le ali svolazzanti di Lucifero. La prima strofa dell' inno mentovato suona:

Vexilla regis prodeunt,

Fulget crucis mysterium;
Quo carne carnis conditor
Suspensus est patibulo.

3. SE TU IL DISCERNI: se l'oscurità del sito non ti impedisce di scorgerlo, di vedere il Re d' Inferno.

4. COME: mirando allora dinanzi, come il maestro mio m' avea detto, mi parve vedere un tal dificio, come pare da lungi un mulino che il vento gira quando spira una grossa nebbia, o quando il nostro emisperio annotta. SPIRA: esala dal terreno. «O dice spira in luogo di esala, intendendo essere la nebbia, come la è di fatto, una esalazione di vapori dalla terra e dall' acqua, ovvero appropria lo spirare che è dell' aria alla nebbia, perciocchè è dall' aria portata e mossa». Lomb.

6. PAR: apparisce, si mostra. CHE IL VENTO GIRA: cui move il vento; un mulino a vento. Taluno pretende che questa similitudine del Nostro abbia suggerito al Cervantes l'idea dell'ottavo capitolo della prima parte del suo romanzo.

7 Veder mi parve un tal dificio allotta.

Poi per lo vento mi ristrinsi retro

Al duca mio; chè non v' era altra grotta.
10 Già era - e con paura il metto in metro
Là dove l'ombre tutte eran coverte,

E trasparean come festuca in vetro.
13 Altre sono a giacere, altre stanno erte,
Quella col capo, e quella con le piante;
Altra, com' arco, il volto a' piedi inverte.

7. DIFICIO:

sebbene appresso gli antichi si trovi talora dificio per edificio, cioè fabbrica o muraglia, tuttavia quella voce era usata più propriamente e quasi sempre a significare ordigno, macchina costruita ingegnosamente, e in senso di fabbrica scriveano edificio. Cfr. Nannuc. Man. d. Lett. it. 2a. ediz. Vol. II, pag. 412 nt. 12. ALLOTTA: allora; Inf. V, 53. XXXI, 112.

8. POI: essendo proceduto più innanzi. - PER LO VENTO: per ripararmi dal vento che soffiava tanto più forte, quanto più andavamo avvicinandoci a Lucifero. - RETRO: dietro; procurai di ripararmi dal vento mettendomi dietro alle spalle di Virgilio.

9. GROTTA: argine, riparo; cfr. Inf. XXI, 110 nt. 10. CON PAURA: Horresco referens. Virg. Aen. II, 204. in verso.

- IN METRO:

11. LÀ: nel quarto spartimento, detto Giudecca, ove sono i traditori de' loro benefattori e signori. TUTTE: totalmente, intieramente, cfr. Inf. XIX, 64 nt.

12. TRASPAREAN: Al. trasparen.

FESTUCA: fuscellino di paglia, di legno, o altra cosa tale. « I traditori più vili di festuca mostravansi nel ghiaccio trasparente che tutti li copriva». Benv. Ramb.

13. SONO: Al. stanno. In questa terzina descrive quattro diverse posture di quelle anime. In queste diverse positure alcuni antichi (Buti, Barg., Land., Vell., Dan., ecc.) vedono la rappresentazione morale di quattro specie di traditori. «Queste quattro differenzie pone, perchè quattro sono le differenzie di questi traditori: imperò che altri sono che usano tradimento alli benefattori suoi pari, e questi finge che stiano parimente a giacere; et altri sono che l' usano contra li maggiori benefattori tanto, come sono i signori e maggiori, e maestri e qualunque altro grado di maggioria, e questi stanno col capo in giù e co' piedi in su; et altri sono che l' usano contra li minori che sono loro benefattori, come li signori contra li sudditi, e questi stanno col capo in su e co' piedi in giù; et altri sono che l' usano contra li minori e contra li maggiori parimente, e questi stanno inarcocchiati col capo, e coi piedi parimente in giù nella ghiaccia, e tutti stanno riversi; cioè rovescio, perchè sfacciatamente senza alcuno ricoprimento hanno usato lo tradimento.» Buti. ERTE: altre giacciono, altre stanno ritte. Cfr. Parad. III, 6: Levai lo capo a profferir più erto.

La

14. QUELLA: le une stanno erte col capo, cioè col capo in alto, le altre stanno erte con le piante, cioè capovolte, co' piedi in alto. postura di queste ultime è dunque simile a quella de' simoniaci nella terza bolgia; cfr. Inf. XIX, 22 e seg.

15. INVERTE: convolge, rivolta. «Come fa uno arco, che l' una cima si piega verso l'altra, così il capo d' uno peccatore si piegava et tòrnava sotto i piedi, faccendo arco di sè.» An. Fior. «Questa pena di tutte le altre tormentosissima, significa forse più grave delitto in colui che da vile tradisce, e invertendo mostruosamente l' ordine naturale, abbassa il volto ai piedi, e leva in sublime il ventre, come segno di bassa cupidità.»> Di Siena.

16 Quando noi fummo fatti tanto avante,

Che al mio maestro piacque di mostrarmi
La creatura ch' ebbe il bel sembiante,

19 Dinanzi mi si tolse, e fe' restarmi:

«Ecco Dite», dicendo,«<ed ecco il loco
Ove convien che di fortezza t' armi. »
22 Com' io divenni allor gelato e fioco,

Nol dimandar, lettor, ch' io non lo scrivo,
Peró ch' ogni parlar sarebbe poco.

25 Io non morii, e non rimasi vivo.

Pensa oramai per te, s' hai fior d' ingegno,
Qual io divenni, d' uno e d' altro privo.

28 Lo imperador del doloroso regno

Da mezzo il petto uscia fuor della ghiaccia;
E più con un gigante io mi convegno

16. FUMMO FATTI: ci fummo fatti. Giunti che fummo bastantemente vicini per vedere Lucifero.

18. LA CREATURA: Lucifero il quale, secondo la mitologia cristiana, prima della sua ribellione era un angelo di Dio dei primi e dei più belli. Vedi sopra Purg. XII, 25. Parad. XIX, 47.

19. DINANZI: Dante s' era ristretto dietro a Virgilio per ripararsi dal vento, v. 8 e seg.; arrivati qui Virgilio se lo mette dinanzi, si ritira da banda, onde fargli vedere il terribile mostro. FE' RESTARMI: mi fece fermare.

20. DITE: Lucifero, come Inf. XI, 65. Virgilio chiama quì il principe delle tenebre collo stesso nome come lo chiama nel suo Poema; cfr. Virg. Aen. VI, 127. 269. 397. VII, 568. XII, 199 et al. « Nello 'nferno ha più anime che in veruna altra parte, o in Paradiso, o in Purgatorio, o nel Mondo; et pertanto chiamono i poeti la città d' inferno nominata di sopra la città di Dite; et così questo Lucefero principe d' inferno similmente Dite, che tanto vuol dire quanto ricco d' essi spiriti.» An. Fior.

21. OVE CONVIEN: sii forte ed ardito. Sempre la stessa ammonizione che ridivien necessaria ad ogni nuovo pericoloso passo. Cfr. Inf. II, 121 e seg. III, 14 e seg. VII, 4 e seg. VIII, 104 e seg. XVII, 81 e seg. XXIV, 55 e seg.

22. DIVENNI: per la paura all' aspetto dello spaventevol mostro. GELATO: «però che per la paura manca il caldo naturale, et pertanto divengono le membra gelate; chè 'l sangue è corso verso il cuore. Fioco diviene per che lo spirito che sospigne fuori la voce diviene debole, sì che mancando viene meno la voce, et non è così chiara et così sonante. >> An. Fior.

24. SAREBBE POCO: non basterebbe ad esprimere sufficientemente il mio terrore.

25. NON MORII: perdetti i sensi; sentii il gelo della morte. — << Provava lo spasimo della dissoluzione e tutta la forza della vitalità.» Tom. 26. FIOR: avv. un poco, punto d' ingegno. 27. D' UNO: chè non morii;

D'ALTRO: chè non rimasi vivo; privo della morte e della vita, nè morto nè vivo.

28. IMPERADOR: nel C. I, 124: l'imperador che lassù regna, quì l' imperador del doloroso regno.

29. DA MEZZO: dal mezzo petto in su.

30. MI CONVEGNO: mi accordo, sto in proporzione. La mia statura ha maggior proporzione alla statura d' un gigante, che non la statura d' un gigante al braccio di Lucifero.

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