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118 Se fossi dimandato, altri chi v' era,
Tu hai da lato quel di Beccheria,
Di cui segò Fiorenza la gorgiera.
121 Gianni del Soldanier credo che sia

Più là con Ganellone e Tribaldello,

119. QUEL DI BECCHERIA: Tesauro de' Beccheria, Pavese, abate di Vallombrosa, generale dell' Ordine, Legato per papa Alessandro IV in Firenze. Dopo che i Ghibellini furono cacciati da Firenze nel 1258 « del mese di settembre prossimo dello stesso anno, il popolo di Firenze fece pigliare l'abate di Vallombrosa, il quale era gentile uomo de' signori di Beccheria di Pavia in Lombardia, essendoli apposto, che a petizione de' Ghibellini usciti di Firenze trattava tradimento, e quello per martiro gli fecero confessare, e scelleratamente nella Piazza di Santo Apollinare gli feciono a grido di popolo tagliare il capo, non guardando a sua dignità, nè a ordine sacro; per la qual cosa il comune di Firenze e' Fiorentini dal papa furono scomunicati; e dal comune di Pavia, ond' era il detto abate e da' suoi parenti i Fiorentini che passavano per Lombardia ricevevano molto danno e molestia. E di vero si disse che il religioso uomo nulla colpa avea, con tutto che di suo legnaggio fosse grande ghibellino.>> G. Vill. 1. VI, c. 65. Ric. Mal. c. 160. (< Quelli di Beccheria, consorti dell' abate et signori di Pavia, si dolsono della ingiuria fatta al consorto loro con lettere minacciatorie, dove diceano ch' elli si riputavono a gran vergogna che uno della famiglia di Beccheria gli fosse per tradimento tagliato il capo, et che questa vergogna redundava in tutti quelli della famiglia: fu risposto che Non est ideo apostolorum sanctitas diminuta ex eo quod Judas, qui suum tradiderat salvatorem, laqueo se suspendit.» An. Fior. Ille de Beccaria de Papia fuit quidam Abbas, nomine Abbas Thesaurus, Vallis Umbrose, et prodere voluit Florentiam, quæ erat ejus patria ratione prædictæ ejus Abbatiæ, licet esset Papia sua originalis patria. Petr. Dant.

120. GORGIERA: propriamente quella parte dell' armatura che copre la gola; qui figuratamente per collo o gola.

121. GIANNI DEL SOLDANIER: di antica e nobile famiglia ghibellina di Firenze; cfr. G. Vill. 1. IV, c. 12. 1. V, c. 39. 1. VI, c. 33. 65. Dopo la sconfitta di Manfredi a Benevento, allorchè il conte Guido Novello co' caporali ghibellini uscirono di Firenze, Gianni de' Soldanieri ghibellino abbandonò i suoi, e «si fece capo del popolo per montare in istato, non guardando al fine, che dovea riuscire a sconcio di parte ghibellina, e suo dammaggio, che sempre pare sia avvenuto in Firenze a chi s'è fatto capo di popolo.»> G. Vill. 1. VII, c. 14. cfr. Ric. Mal. c. 191. « Et perchè messer Gianni Soldanieri si fece capo del popolo, tradendo i consorti suoi ch' erono ghibellini et sua parte, il mette in questo luogo l' Auttore.» An. Fior.

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122. PIÙ LÀ: verso il centro; dunque più rei. GANELLONE: il prototipo dei traditori nei romanzi cavallereschi di Carlo Magno, e nei poemi romanzeschi del Bojardo, del Pulci, dell' Ariosto ecc. Il suo tradimento fu la cagione della rotta di Roncisvalle. Cfr. Inf. XXXI, 16. nt. e le opere citate a quel luogo. Probabilmente questo Ganellone, detto anche Gano di Maganza, è personaggio di mera finzione. TRIBALDELLO: Al. Tebaldello. Fu costui della famiglia de' Zambrasi di Faenza. Eodem Anno (1281) Papa Martinus Quartus misit Dominum Johannem de Appia cum militibus Francigenis, et cum Bononiensibus Intrinsecis, Imolensibus, et Ravennatibus contra Faventiam, et habuit illam, proditore Tibaldello Domini Garatonis de Zambrasiis, qui aperuit nocte Portam, unde multi ex parte Lambertatiorum cæsi sunt. Annal. Cosen. ap. Murat. Rer. Ital. Script. Vol. XIV, p. 1105. «Uno Tibaldello de i Zambrasi da Faenza per ingiuria a sè fatta da i Lambertazzi mandò a Bologna la forma delle chiavi d' una porta, per la quale i Bolognesi fecero una chiave simile. La ingiuria fu questa che de i Lambertazzi uno amazzò uno porco di questo Tibaldello, il quale cercando del suo porco morto, i Lambertazzi lo minacciarono

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Che apri Faenza quando si dormia.>>
Noi eravam partiti già da ello,

Ch' io vidi duo ghiacciati in una buca
Si che l' un capo all' altro era cappello.
E come il pan per fame si manduca,
Così il sovran li denti all' altro pose
La 've il cervel si giunge con la nuca.
130 Non altrimenti Tideo si rose

d' offenderlo. Per la qual cosa lui excogitò il modo di tradire la Cittade, e far vendetta de i Lambertazzi. E dopo la strage fatta a Faenza, il detto Tibaldello andò a Bologna, e fu fatto Cittadino Bolognese.» Annal. Cæsen. Additament. ap. Murat. 1. c. Il Villani (VII, 80): «Al quale (Gianni de Pà) fu data per tradimento e moneta la città di Faenza per Tribaldello de' Manfredi de' maggiori di quella terra. » Cfr. Giacot. Malisp. c. 232. Mazzoni Toselli: Voci e passi di Dante, pag. 41. 42.

123. QUANDO SI DORMIA: di notte.

124. PARTITI: non degna il traditore d' una risposta. DA ELLO: da lui, cioè da Bocca. Ello, ella, plur. elli, elle, quantunque secondo grammatica casi retti o nominativi, si usarono anticamente anche nei casi obliqui. Cfr. Inf. III, 27. Parad. I, 75. Diez: Gramm. d. rom. Sprachen, 3a. edize. Vol. II, p. 88.

Dal

125. CH' IO VIDI: quando io vidi. Di che per quando vedi Cinonio: Osservaz. della ling. ital. c. XLVI, §. 28. DUO: cfr. Inf. XXXIII, 13. 14. Ambedue nell' Inferno eternamente uniti insieme, cfr. v. 41. nt. verso seguente si rileva che l' uno era più alto, l' altro più basso. Il primo è traditore della patria, il secondo dell' amicizia. Sono dunque appunto sul confine che divide l' Antenora dalla Tolomea, e ciò in modo tale, che l' uno è ancora nell' Antenora, l' altro è già nella Tolomea. In questi due si toccano le due classi di traditori. Degli altri traditori ognuno ha la sua buca propria; questi due ne hanno una insieme.

126. ERA CAPPELLO: uno di quei peccatori avea il capo disopra al capo dell' altro, e così gli era coperchio, quasi come suol essere il cappello.

127. PER FAME: avidamente, ingordamente. MANDUCA: mangia; latinismo usato anticamente anche in prosa. Nella Canzone: Così nel mio parlar voglio esser aspro, st. 3:

ogni senso

Colli denti d' amor già mi manduca.

128. IL SOVRAN: Al. sopran; colui che stava col capo sopra l'altro. 129. LA' VE: nelle parti di dietro del capo; cfr. XXXIII, 3: Del capo ch' egli avea diretro guasto. - SI GIUNGE: si congiunge. Al. s' aggiugne.

130. TIDEO: uno dei sette capitani iti a far guerra a Tebe; ferito mortalmente dal tebano Menalippo, e riuscitogli di uccidere il nemico pregò i suoi compagni di portargliene il capo. Avutolo si diede, così moribondo com' era, a roderlo con tanta rabbia, che i compagni non poterono spiccarlo dall' orrido pasto. Cfr. Stat. Theb. 1. VIII, 740 e seg.

caput, o caput, o mihi si quis

Apportet, Menalippe, tuum! nam volveris arvis:
Fido equidem; nec me virtus suprema fefellit.
I, precor, Atrei si quid tibi sanguinis unquam,
Hippomedon: vade o primis puer inclyte bellis
Arcas, et Argolica Capaneu jam maxime turmœ.»
Moti omnes: sed primus abit, primusque repertum
Astaciden medio Capaneus e pulvere tollit
Spirantem, lævaque super cervice reportat,
Terga cruentantem concussi vulneris unda.

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Le tempie a Menalippo per disdegno,

Che quei faceva il teschio e l' altre cose. 133 «O tu che mostri per sì bestial segno Odio sovra colui che tu ti mangi,

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Dimmi il perchè», diss' io, «per tal convegno, Che se tu a ragion di lui ti piangi,

Sappiendo chi voi siete e la sua pecca, Nel mondo suso ancor io te ne cangi, 139 Se quella con ch' io parlo non si secca.»>>

Erigitur Tydeus, vultuque occurrit, et amens
Lætitiaque, iraque, ut singultantia vidit
Ora, trahique oculos, seseque agnovit in illo:
Imperat abscisum porgi, lævaque receptum
Spectat atrox hostile caput, gliscitque tepentis
Lumina torva videns, et adhuc dubitantia figi.

Atque illum effracti perfusum tabe cerebri
Adspicit, et vivo scelerantem sanguine fauces
Nec comites auferre valent

SI: riempitivo, ma che rincalza. Tom.

132. CHE: Correlativo di Non altrimenti, v. 130.

v. 128. FACEVA: rodeva.

tomo al teschio.

--

QUEI: il sovran, L' ALTRE COSE: ciò che era dentro e d' in

133. BESTIAL SEGNO: il divorare il cranio. Le bestie danno segno del loro odio e dell' ira loro assalendo co' denti, colle corna, cogli artigli ecc. Il mordere il cranio dell' avversario è atto bestiale.

1. IX. v. 15 e seg.:

Nonne Hyrcanis bellare putatis
Tigribus? aut savos Libya contra ire leones?
Et nunc ille jacet (pulcra o solatia leti!)
Ore tenens hostile caput, dulcique nefandus
Immoritur tabo: nos ferrum mite, facesque:
Illis nuda odia, et feritas jam non eget armis.

Cfr. Stat. Theb.

135. IL PERCHÈ: di tanto odio. PER TAL CONVEGNO: a cotal patto. Convegno vale qui Convenzione, come il Convenium del basso latino. 136. TI PIANGI: ti lagni, ti duoli. Questo ti piangi non si riferisce al bestial segno del rodere il cranio dell' avversario, sibbene a quanto Dante aspetta che quel peccatore sia per raccontargli.

137. SAPPIENDO: Al. sapendo. Sapiendo e Sappiendo usarono alle volte gli antichi; su queste forme vedi Nannuc. Anal. crit. p. 686. — PECCA: peccato, colpa; Inf. XXXIV, 115. Purg. XXII, 47.

138. TE NE CANGI: te ne renda il cambio su nel mondo, ritornato che vi sarò, pubblicando le tue ragioni e i torti di lui. Dante non lusinga qui più col prometter fama, ma col prometter vendetta. Il contegno di Bocca gli ha insegnato come si couvenga lusingar per questa lama.

139. QUELLA: la lingua. - NON SI SECCA: se morte non m' impedisce di farlo.

«Qui Ugolino non è il traditore, ma il tradito. Certo, anche il conte Ugolino è un traditore e perciò si trova quì; ma per una ingegnosissima combinazione, come Paolo si trova legato in eterno a Francesca, Ugolino si trova legato in eterno a Ruggiero, che lo tradì, legato non dall' amore, ma dall' odio. In Ugolino non parla il traditore, ma il tradito, l' uomo offeso in sè e ne' suoi figli. Al suo delitto non fa la più

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lontana allusione; non è quistione del suo delitto: attaccato al teschio del suo nemico, istrumento dell' eterna giustizia, egli è là, ricordo vivente e appassionato del delitto all' arcivescovo Ruggiero. Il traditore c' è, ma non è Ugolino; è quella testa che gli sta sotto a' denti, che non dà un crollo, che non mette un grido, dove ogni espressione di vita è cancellata, l'ideale più perfetto dell' uomo petrificato. Ugolino è il tradito che la divina giustizia ha attaccato a quel cranio; e non è solo il carnefice, esecutore di comandi, a cui la sua anima rimanga estranea; ma è insieme l'uomo offeso che vi aggiunge di suo l' odio e la vendetta. Il concetto della pena è la legge del taglione o il contrappeso, come direbbe Dante: Ruggiero diviene il fiero pasto di un uomo per opera sua morto di fame, lui e i figli. » Fr. De Sanctis: L' Ugolino di Dante. Nuova Antologia, Vol. XII, p. 668.

CANTO TRENTESIMOTERZO.

CERCHIO NONO: TRADITORI. SPARTIMENTO SECONDO: ANTENORA. UGOLINO. - SPARTIMENTO TERZO: TOLOMEA. - FRATE

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La bocca sollevò dal fiero pasto
Quel peccator, forbendola a' capelli
Del capo, ch' egli avea di retro guasto.
4 Poi cominciò: «Tu vuoi ch' io rinnovelli
Disperato dolor che il cor mi preme
Già pur pensando, pria ch' io ne favelli.

1. LA BOCCA: il capo; la parte pel tutto. Ma dice la bocca perchè a quel peccatore convenne farsi violenza per distaccar la bocca dal teschio e sospendere un momento la ferina sua vendetta. Cfr. Lucan. Phars. 1, VI, 719: Hæc ubi fata, caput, spumantiaque ora levavit. - SOLLEVÒ: Al. si levò; errore evidente. Di Paolo e Francesca Inf. V, 87: Si forte fu l'affettuoso grido; qui è il grido che promette di infamare il nemico il quale ha la potenza di far che il peccatore condiscenda al desiderio del Poeta. FIERO: il teschio umano pasto di belve, non di uomini. Fiero qui per crudele, orribile, spaventevole.

Sicut

2. FORBENDOLA: nettando la bocca onde poter favellare. 3. DI RETRO: nella parte diretana del capo, sopra la nuca. rodit caput dicti Archiepiscopi, ut fingit, ita mors dicti Comitis rodit memoriam, quæ in cerebro fuit dicti domini Archiepiscopi. Petr. Dant. GUASTO: guastato. « Quando Ugolino solleva la testa, e ci scopre quel teschio da lui guasto, Dante non guarda già il teschio, ma Ugolino, e gittando in mezzo l'immagine feroce del pasto e facendogli forbire la bocca usando de' capelli di quel capo a modo di tovagliuolo, spaventa tanto l'immaginazione, che la tiene colà e le toglie il distrarsi nel rimanente dello spettacolo Quel forbirsi la bocca ti spaventa, e non per l'atto in sè stesso, ma perchè ti presenta tutta la faccia di Ugolino, e con lineamenti ideali corrispondenti a quell' atto: hai già innanzi l'espressione oltrenaturale dell' immenso odio, concepisci l' infinito.» De Sanctis: L' Ugolino di Dante, 1. c. p. 669. 680. e seg.

4. TU VUOI: Virg. Aen. 1. II, 3: Infandum, Regina, jubes renovare dolorem. RINNOVELLI: faccia rivivere nella mia memoria.

5. DISPERATO: non confortato da veruna speranza, nè saziato o placato dalla fiera vendetta che gli è concesso di fare eternamente del suo nemico. 6. GIÀ: sin d'ora, solamente a pensarvi, prima che io ne ragioni.

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