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forse Virgilio dovuto dire a Dante: «Io non intendo il linguaggio del gigante, perchè non ho fatto studi sulle lingue semitiche ? » Ma veniamo alle strette. O Virgilio intese il linguaggio di Nembrotto, o non l'intese? Se l'intese, egli ha detto semplicemente una bugia allorchè disse al suo alunno il linguaggio di Nembrotto a nullo è noto! se non l' intese come mai volete che crediamo che lo intendiate voi?! Forse che voi conoscete l'inferno e il linguaggio dei suoi abitanti meglio di Virgilio?! Inoltre:. o Virgilio sapeva che il verso in esame fosse composto di parole prese dalle lingue semitiche, o nol sapeva? Se lo sapeva, non era egli un goffo di ventiquattro carati a dire a nullo è noto d'un linguaggio che era il materno linguaggio delle migliaja di Semiti che senza dubbio popolavano l'inferno? Se non lo sapeva, non siete voi goffi di quarantotto carati a voler darci ad intendere di saperlo voi?

Lasciamlo stare, e non parliamo a voto;
Che così è a lui ciascun linguaggio

Come il suo ad altrui che a nullo è noto.

Se questi versi non sono chiari come la luce, cosa mai è chiaro in questo mondo? Se queste parole non vogliono dire: Nembrotto non intende nessun linguaggio di altri, nessun altro intende il suo, che diamine vogliono esse significare? Voi ci dite che Nembrotto parlava ebraico e caldaico! Di grazia, aggiungeteci un altro insegnamento! Diteci cosa

sia falsificazione delle parole del Poeta se tale non è la vostra? Le lingue che Nembrotto parlava le avrà ben anche intese, neh? Or dunque, credete voi proprio che noi siamo un branco di pecore, a voler darci ad intendere che di chi sa due lingue si possa dire che ciascun linguaggio gli è ignoto? Scipitezze le vostre, che non meritano che dispregio, ma nò una risposta seria.

Alcuni commentatori s'erano già appoggiati sulle parole di Virgilio or' ora addotte, a sostegno dell' opinione che il verso in esame consta di voci prive di senso. Bisognava dunque rispondere. Ma cosa si risponde? Si passa sotto silenzio la circostanza decisiva, che Dante fa dire a Virgilio CIASCUN LINGUAGGIO esser ignoto a Nembrotto, e si stiracchiano le parole a nullo è noto per farle andare d'accordo o bene o male colla propria opinione. Ma cosa vuol dire, la terzina citata essere una parafrasi del passo biblico: Orsù, scendiamo e confondiamo_ivi la loro favella: acciocchè l' uno non intenda il linguaggio dell' altro? Vuol dire, signori poliglotti, che là a Babilonia nessuno intendeva ciò che altri diceva, nè poteva esser inteso da altri; vuol dire che anche nell' inferno, ben lungi dal parlare e dall' intendere due lingue, Nembrotto non ne intende veruna, come nessuno intende la sua; vuol dire che il verso in esame non è composto nè di parole arabe, nè ebraiche, nè caldaiche, nè di verun linguaggio parlato da uomini sulla terra. Ma c'è più ancora.

I commentatori non avevano addotto che la terzina sopraccitata, e gli avversari si guardarono naturalmente bene di addurre cosa che gli impedisse di scrivere una dissertazione per mostrare che sanno di ebraico, di caldaico, di arabo e sa Dio di quali lingue ancora. Ma udiamo noi un' altra fiata Virgilio!

Ond' ei rispose: « Tu vedrai Antéo

Presso di qui, che parla ed è disciolto.»

CHE PARLA? Ma cosa vuol dire questo che parla? Comprendiamo benissimo che Virgilio dica di Anteo: egli è disciolto, chè gli altri giganti eran legati, e non potevan conseguentemente metter giuso i due Poeti. Ma quel che parla, cosa fa quà, se tutti parlavano? Eccovi quì, signori poliglotti ingegnosissimi, una frase che NON ha la sua ragione d'essere, che NON È parte perfetta di un perfettissimo tutto. O volete forse dirci che Virgilio voglia insegnare al suo alunno come il gigante Antéo non parli lingue semitiche, ma europee, lingue note ad ambedue i Poeti? Ma chi parla parla, e il Caldeo, e l' Arabo, e l' Ebreo e il Chinese non parlano meno dell' Europeo, dell' Italiano, quantunque voi del loro linguaggio non ne intendiate un acca. Parli Nembrotto che lingua voi volete, subito che ne parla una fra le umane nessun uomo sognerà di dire che egli non parla, a meno che chi lo dice abbia perduto il senno. Dunque la frase che parla è del tutto oziosa? Nò che non è oziosa, ma le vostre ipotesi sono as

surdi. Alla frase: è disciolto, è opposta la frase: è legato; e infatti di Fialte e di Briaréo il Poeta dice espressamente che erano legati; alla frase: che parla è opposta la frase: che non parla. Or chi è che non parla? Nembrotto. Ecco il motivo perchè i Poeti si rivolgono ad Antéo. Fialte e Briaréo non potevano metterli giuso, perchè, sebbene li intendevano, e quand' anche avesser voluto compiacere al loro desiderio, erano legati. Nembrotto non poteva metterli giuso neanche lui, perchè sebbene fosse disciolto (cfr. v. 73) ei non parlava, e non poteva conseguentemente intendere cosa essi desiderassero. Antéo all' incontro parla: dunque è capace di comprendere il loro dimando; egli è disciolto, dunque può esaudirli. E Virgilio dice parla a significare che il vociferar di Nembrotto non è un parlare ma un grugnare, voci non intese da nessuno, perchè non rono in nessun liguaggio umano. Se questa non è logica stringente per chi è libero da pregiudizi, confesseremo di buon grado di aver perduto quella porzioncella di intelletto che la Providenza ne aveva largito.

occor

Ci si perdoni questa oramai troppo lunga digressione. Abbiamo voluto mostrare con un esempio qual sia il valore essenziale di certe «nuove interpretazioni», di cui taluni fanno tanto chiasso. Giudichi il lettore se gli antichi ignoranti non colpissero meglio la mente di Dante che i moderni dotti. Del resto non vogliamo omettere di confessare, che tutte quelle diverse ipotesi non sono in fondo degne di confutazione. Sarebbe forse bastato di ripetere le giustissime parole del conte Torricelli (Studi sul Poema sacro di Dante, Nap. 1850. Vol. I. pag. 759): «Mentre il Poeta dice, che tal linguaggio

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- non era noto a chi lo profferiva, ed a chi l'ascoltava.» E non men leggiadro, aggiungiamo noi, mentre Dante dice, implicitamente sì, ma chiaramente per chi ha occhi da vedere - Nembrotto non parla, l' udirli dire

si, egli parla; parla un linguaggio che Dante, poveretto! probabilmente non intendeva, un linguaggio che probabilmente anche voi, lettori, non intendete, ma un linguaggio che intendo 10!

CANTO TRENTESIMOSECONDO.

CERCHIO NONO: TRADITORI. SPARTIMENTO PRIMO: CAINA.

CAMICION DE' PAZZI.

CONTI DI MANGONA.
SECONDO: ANTENORA.

BOCCA DEGLI ABATI.
DUERA. UGOLINO.

SPARTIMENTO
BUOSO DA

S' io avessi le rime aspre e chiocce,
Come si converrebbe al tristo buco,
Sovra il qual pontan tutte l' altre rocce,

1. Siamo al nono ed ultimo cerchio infernale. Esso comprende un gran lago gelato, e pende verso il centro del mondo, come gli altri cerchi. Quest' ultimo cerchio, o pozzo, è spartito in quattro gironi concentrici, in ognuno dei quali vien punita una classe di traditori. La divisione dei quattro giri non è indicata da limiti, ma soltanto dalla varietà della pena. Nel primo spartimento o giro, detto Caina dal fratricida Caino, stanno i traditori de proprî parenti; Inf. XXXII, 16-72. Nel secondo, detto Antenora da Antenore che tradì la città di Troja all' esercito greco, stanno i traditori della patria; XXXII, 73 — XXXIII, 90. Il terzo giro, detto Tolommea, è de' traditori degli amici; XXXIII, 91-157; il quarto, detto Giudecca, è di coloro che tradirono i loro benefattori; XXXIV, 10-67. Il ghiaccio, onde i traditori son coperti, simboleggia la durezza e rigidità dell' animo loro. «Nel pozzo de' traditori la vita scende di un grado più giù: l' uomo bestia diviene l' uomo ghiaccio, l' essere petrificato, il fossile La pena è una, ma graduata secondo il delitto. Il movimento si estingue a poco a poco, la vita si và petrificando, finchè cessa in tutto la lacrima, la parola e il movimento.>> Fr. De Sanctis: Storia della lett. ital. Nap. 1870. Vol. I. pag. 206. 207.

ASPRE E CHIOCCE: crude e rauche. «Dice aspra quanto al suono del dettato che a tanta materia non conviene essere leno.» Conv. tr. IV, c. 2. Vorrebbe riprodurre colle sue rime l'impressione terribile che fece sull' animo suo l'aspetto del luogo e delle pene dei traditori.

2. TRISTO BUCO: al pozzo o nono cerchio, detto buco e per rispetto agli altri cerchi, e per rispetto al fondo, dove Belzebub si trova; cfr. Inf.. XXXIV, 131. E forse anche buco per rispetto alla situazione delle anime che fanno quasi una buca nel ghiaccio.

3. PONTAN: da pontare per puntare, propriamente pigliar la mira a un punto, e qui parlandosi di rocce: tendono, premono ecc. Senso: Sopra il qual buco s' appoggiano, come sul loro punto o centro comune, tutte i altre rocce, cioè tutti gli altri cerchi infernali; cfr. Parad. XXIX, 56.

4 Io premerei di mio concetto il suco

Più pienamente; ma perch' io non l'abbo,
Non senza tema a dicer mi conduco.
7 Chè non è impresa da pigliare a gabbo,
Descriver fondo a tutto l'universo

Nè da lingua che chiami mamma e babbo.
10 Ma quelle donne ajutino il mio verso

13

Che ajutâro Anfione a chiuder Tebe,

Si che dal fatto il dir non sia diverso.
Oh sovra tutte mal creata plebe

Che stai nel loco onde parlare è duro,

4. PREMEREI: esprimerei più pienamente il mio concetto. «Io pesterei erba del mio concetto, sì ch' io ne trarrei ogni sostanzia.» An. Fior.

5. ABBO: ho; da abbere per avere. Esempi di abbo per ho si trovano non pochi negli scrittori antichi, fuor di rima nel verso, ed anche in prosa. Cfr. Nannuc. Anal. crit. p. 480 e seg.

6. TEMA: non avendo io le rime aspre e chiocce temo di non poter convenientemente mettere in verso un tanto orribile e strano subbietto. L'argomento è grave, e per sè arduo a trattare; la lingua non vi si presta quanto si converrebbe.

7. A GABBO: in ischerzo.

8. DESCRIVER FONDO: descrivere il luogo che, secondo il sistema di Tolomeo, è il fondo o centro di tutto l' universo. Gli antichi omettevano sovente l'articolo; fondo quì per il fondo.

9. LINGUA ecc.: da bimbo, spiegano i più, e citano le parole di Dante (Vulg. eloq. 1. II. c. 7): In quorum numero (cioè nel numero delle voci che non sono da ammettere nello stile tragico della poesia), nec puerilia propter sui simplicitatem, ut MAMMA et BABBO, MATE et PATE ullo modo poteris conlocare.» Ma dopo aver detto che le sue rime non bastano onde descriver pienamente la cosa, Dante non voleva e non poteva certo continuare col dirci non esser cosa da descriversi con la lingua de' bimbi. Altri: «Ne tale che possa effettuarsi con una lingua bambina. E così veramente potea dirsi il volgare italiano a que' tempi.» Br. B. Ma se noi possiamo dire che il volgare italiano ai tempi di Dante fosse lingua bambina, non lo poteva poi dire Dante. Per Dante la lingua che chiama mamma e babbo è semplicemente la lingua italiana. Va d'accordo con noi anche il Di Siena, che a provarlo scrisse un' intera dissertazione. Prova bastante, fra le tante e tante che si potrebbero addurre, ci sembrano le parole di Dante stesso, trascurate dal Di Siena, ove parlando della lingua in cui è scritto il suo Poema dice (Epist. Kani Gr. §. 10.): Si ad modum loquendi respiciamus, remissus est modus et humilis, quia loquutio vulgaris, in qua et mulierculæ communicant. Ecco la lingua che

chiama mamma e babbo.

10. DONNE: le muse.

11. ANFIONE: (Apcov) figlio di Antiope; volendo edificare Tebe, faceva discendere i sassi del Monte Citerone al suono della sua lira, e formarne da se' medesimi le mura (Hom. Odys. XI, 280 e seg. Apollon. Rhod. I, 740 e seg. IV, 1090. Horat. Ars Poet. 394 e seg. Prop. III, 2, 2.) CHIUDER cingere di mura.

12. Sì CHE: che il dire, cioè le parole ritraggano più adeguatamente possibile il fatto, cioè quello che io vidi. Cfr. Inf. IV, 147.

13. SOVRA TUTTE: le altre plebi dell' inferno e del mondo. -MAL CREATA: mal naturata, scellerata. - PLEBE: torma di gente ignobile e vile.

14. ONDE: del qual loco. -DURO: arduo, difficile; cfr. Inf. I, 4. La condizione dei traditori è tanto sopra ogni altra spaventosa, che mancano modi alla lingua onde descriverla.

16

Me' foste state qui pecore o zebe!
Come noi fummo giù nel pozzo scuro
Sotto i piè del gigante, assai più bassi,
Ed io mirava ancora all' alto muro,
19 Dicere udimmi: «Guarda come passi;
Fa sì che tu non calchi con le piante
Le teste de' fratei miseri lassi.»
22 Perch' io mi volsi, e vidimi davante
E sotto i piedi un lago, che per gelo

15. ME': meglio per voi. Del traditore Giuda disse già Cristo: xaλóv ἦν αὐτῷ εἰ οὐκ ἐγεννήθη ὁ ἄνθρωπος ἐκεῖνος. Matt. XXVI, 24. Qui: nel mondo. ZEBE: capre. « Zebe sono li capretti saltanti; et sono detti zebe, perchè vanno zebellando, cioè saltando.» Lan. «Chiamò le capre zebe, perchè così le chiamano i pastori nostri.» Land.

18. NEL POZzo: nella Caina. SCURO: l'oscurità va sempre più aumentandosi, quanto più i due Poeti si avvicinano al cerchio infernale. Ogni cerchio è più scuro del precedente.

17. SOTTO: il gigante Anteo dovette inchinarsi per deporre i Poeti al fondo, XXXI, 140; dunque li depose lunge, o assai più bassi del luogo dove posavano i suoi piedi. Il fondo del pozzo pende, e va digradando e restringendosi come un imbuto, sicchè viene ad appuntarsi al centro dov'è fitto Lucifero.

18. MIRAVA: effetto naturale della paura avuta quando fu calato dal gigante, XXXI, 140. 141. Così anche all' uscir dalla selva si volse indietro a rimirar lo passo, Inf. I, 25. MURO del pozzo, da cui erano stati calati dal gigante.

19. DICERE: dire.

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UDIMMI: udii dire a me. Al. udimmo; ma lo spirito parla al solo Dante; dunque: udimmi. COME PASSI: invece di mirare all' alto muro. Forse lo spirito s' era accorto che Dante fosse ancor vivo, e temeva perciò di venir calpestato dal peso del corpo suo, e forse lo esorta a guardare come passasse, perchè lo vedea tuttora distratto dal mirare le pareti del pozzo.

20. FA sì: Al. va sì. Lo spirito teme di venir calpestato da Dante; se si fosse accorto che quest' ultimo è ancor vivo, la cosa sarebbe assai naturale; ma dal seguito non sembra molto probabile che quell' anima se ne fosse accorta. Del resto poteva temere anche credendo che Dante fosse un morto, giacchè in generale gli spiriti dell' inferno dantesco non sono semplici sostanze aeree, che non hanno alcun peso, ma uomini reali, e in certo modo ancor sempre materiali. In ciò Dante segue San Tommaso, il quale del corpo de' dannati osserva (Comp. theol. P. I. cap. 176): Erunt igitur corpora damnatorum integra in sui natura, non tamen illas conditiones habebunt, quæ pertinent ad gloriam beatorum: non enim erunt subtilia et impassibilia, sed magis in sua grossitie et passibilitate remanebunt, et angebuntur in eis: non erunt clara sed obscura, et obscuritas animæ in corporibus demonstretur.

21. FRATEI: di noi due, che siamo fratelli. Alcuni credono che lo spirito intenda parlare di tutti i dannati di questo cerchio in generale, da lui chiamati fratei; come se a persone della qualità di questo traditore premesse tanto o poco il benessere degli altri scellerati! Esempi della carità fratellevole di questa plebe ce ne presentano i v. 50. 51. 58 e seg. del presente canto. A colui che parla non importa nemmeno la sorte del proprio fratello; ma dice de' fratei, essendo i due insieme sì stretti che era appena possibile di calpestar l' uno senza calpestar nel medesimo tempo anche l' altro; cfr. v. 41 e seg. Costui teme per sè stesso, e questa è tutta quanta la carità di un traditore suo pari.

22. PERCH' 10: onde io mi volsi, e vidi dinanzi a me.

23. LAGO: il Cocito, sull' origine del quale cfr. Inf. XIV, 103-120. Aestimatus sum cum descendentibus in la

PER CELO: per esser gelato.

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