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145 Tragge Marte vapor di val di Magra
Che è di torbidi nuvoli involuto,

E con tempesta impetuosa ed agra
148 Sopra campo Picen fia combattuto:
Ond' ei repente spezzerà la nebbia,
Sì ch' ogni Bianco ne sarà feruto.
151 E detto l'ho perchè dolor ti debbia.»

nelle mani dei Bianchi, passò ai Neri in seguito alla venuta di Carlo di Valois. «Messer Carlo col suo consiglio riformarono la terra e la signoría del priorato di popolani di parte nera. G. Vill. I. c.

145. MARTE: il dio della guerra; caso retto. VAPOR: Marcello o Maroello Malaspina da Giovagallo in val di Magra, figlio di Manfredi e nepote di Corrado il vecchio, Purg. VIII, 119., marito di Alagia de' Fieschi, Purg. XIX, 142 e cugino di quel Franceschino da Mulazzo appo il quale Dante si ricoverò lungo tempo. (Cfr. Fraticelli negli Studi inediti su Dante Alighieri, Fir. 1846. pag. 195 e seg.) «Nel 1301 Maroello sorti di Valdimagra alla testa dei Neri scacciati da Pistoja, assali i Bianchi nel campo Piceno, diede loro impetuosa battaglia e li ruppe. Dietro questa vittoria i Neri espulsero i Bianchi da Firenze.»> Loria: L' Italia nella D. C. pag. 61. VAL DI MAGRA: valle formante parte della Lunigiana. Si estende dalle valli della Vara fino al fiume Serchio.

146. CHE: il qual vapore, cioè il marchese Maroello. DI TORBIDI NUVOLI: di soldati turbolenti. Torbidi nuvoli chiama i soldati Neri capitanati da Maroelio. - INVOLUTO: involto, circondato.

147. AGRA: fiera, crudele. «Chiunque era preso . . . . all' uomo era tagliato il piè, e alla femmina il naso.» G. Vill. 1. VIII, c. 82.

148. CAMPO PICEN: la parte dell' agro Pesciatino che si estende da Serravalle a Montecatini. Nè il Villani nè Dino Compagni fanno motto di questa battaglia sopra campo Piceno. Alcuni commentatori (non tutti come vuole il Blanc) e l' ab. Gerini nelle sue Memorie storiche della Lunigiana vogliono che Maroello nel 1302 abbia combattuto contro i Bianchi e disfattigli nel campo Piceno. A noi sembra che le parole di Vanni Fucci si riferiscano all' assedio ed alla presa del castello di Serravalle nel 1302 (Cfr. G. Vill. 1. VIII, c. 52). Altri le riferiscono all' assedio e presa di Pistoja nel 1305 e 1306 (Vill. 1. VIII, c. 82). Tanto all' assedio di Serravalle quanto a quello di Pistoja i Lucchesi alleati de' Neri di Firenze erano capitanati da Maroello.

149. EI: il vapore, cioè Maroello. - SPEZZERÀ LA NEBBIA: uscirà con impeto dai torbidi nuvoli di cui è involuto, v. 146. si avventerà sopra i nemici e gli atterrerà. Per nebbia s' intendono i torbidi nuvoli ossia l' esercito di Maroello.

150. FERUTO: ferito. I verbi della terza coniugazione hanno sovente appo gli antichi nel part. pass. la desinenza in uto come quelli della seconda. Cfr. Nann. Anal. crit. pag. 383 e seg.

151. DEBBIA: per debba, usato frequentemente anche nella prosa; cfr. Nann. 1. c. pag. 598. Ti ho detto questo affinchè te ne contristi e non godi troppo di avermi veduto quà; cfr. v. 140. Il Tom. osserva: «Dante a quel tempo era guelfo; nè poteva intendere il senso del vaticinio di Vanni; il qual già prevede che il poeta sarà un giorno de' Bianchi, e si dorrà della loro sconfitta.» Ma nel 1300 Dante non era Guelfo bensì Ghibellino e di parte Bianca, o diciam meglio egli pendeva al Ghibellinismo e a parte Bianca. Anzi nel volume dei Prolegomeni (al quale intendiamo fin da qui che i nostri lettori abbiano a far capo) si dimostrerà che Dante non fu mai in vita sua Guelfo per persuasione, ma fu tale soltanto nella sua gioventù per tradizione di famiglia ed aveva fatti suoi i principj de' Ghibellini già prima del 1300 (Vedi pure la nostra opera: Dante Ali ghieri, seine Zeit, sein Leben und seine Werke, Biel 1869, pag. 271-277. e la nostra dissertazione Zu Dante's innerer Entwickelungsgeschichte nel Jahrbuch der deutschen Dante-Gesellschaft, Vol. III. Lipsia 1871, pag. 33-39).

CANTO VENTESIMOQUINTO.

CERCHIO OTTAVO; BOLGIA SETTIMA: I LADRI. CONTINUAZIONE. CACO. AGNEL BRUNELLESCHI. BUOSO DEGLI ABATI.

- PUCCIO SCIANCATO.

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Al fine delle sue parole il ladro

Le mani alzò com ambedue le fiche,
Gridando: «Togli, Dio! che a te le squadro.»

1. PAROLE: cfr. C. XXIV, 133-151.

2. LE FICHE: atto villano e disonesto che si fa in sommo dispregio verso alcuno ponendo il dito grosso stretto fra l'indice e il medio piegati, e sporgendo il pugno così chiuso verso chi si vuole ingiuriare. Sull' origine di questo modo osceno si favoleggiò che l'imperatore Federico I. onde vendicar l' oltraggio fatto dai Milanesi a sua moglie gli avesse obbligati a tirar fuori co' denti un fico collocato nell' orifizio del fondamento d' una vecchia mula. (Cfr. Nannuc. Anal. crit. pag. 134. nt. 4. Blanc, Versuch p. 230.) Un po' diversamente vuol intender quest' atto il Mazzoni Toselli. Dopo aver citato la risposta fatta nel 1300 da Guglielmo de Guidozagni a Giacomo di Frate Bolognini: Ego me per pauca abstinebo quod ego non do tibi de digito in oculo ita quod exiret de capite, egli continua: È fuori del naturale che si possa cavare un occhio con il pollice mezzo coperto dall' indice, e dal medio, più verisimile è offenderlo coll' indice disteso il quale accompagnato similmente dal mignolo, e ripiegando il police al di fuori della mano, formano tutti tre la figura di due corna con una orecchia, e per questa similitudine si disse a quel gesto far le corna» (Voci e passi di Dante, pag. 128). Ma l' erudito uomo avrebbe poi anche dovuto provare che dar di un dito in un occhio sia appunto lo stesso che far le fiche. Il Villani (1. VI, c. 5) narra che in su la rocca di Carmignano avea una torre molto alta, e avevavi suso due braccia di marmo, che facean con le mani le fiche a Firenze. I Fiorentini ebbono, e fecero disfare la detta torre nel 1228. Il Tom.: «Nello statuto di Prato chiunque ficas fecerit vel monstraverit nates versus cœlum vel versus figuram Dei o della Vergine, paga dieci lire per ogni volta; se no, frustato.»

3. TOGLI: prendi! SQUADRO: le pongo in isquadra, cioè le indirizzo, le fo a te.

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4 Da indi in quà mi fur le serpi amiche,

Perch' una gli s' avvolse allora al collo, Come dicesse: «Io non vo' che più diche»>, 7 Ed un' altra alle braccia, e rilegollo,

Ribadendo sè stessa sì dinanzi,

Che non potea con esse dare un crollo.
10 Ahi Pistoja, Pistoja, chè non stanzi
D' incenerarti, sì che più non duri,

Poi che in mal far lo seme tuo avanzi!
13 Per tutti i cerchi dello inferno oscuri

4. AMICHE: perchè punirono immantinente tanto sacrilega furia, facendo con ciò quanto io stesso desiderava. Nam idem velle atque idem nolle ea demum firma amicitia est, dice Catilina presso Salustio (De bello catil. §. XX).

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DICHE: dica, antica

6. COME DICESSE: quasi avesse voluto dirgli. mente anche in prosa. Cfr. Nannuc. Anal. crit. pag. 577.

7. RILEGOLLO: non è lo stesso che legollo, come vuole il Lomb., chè di tutti i ladri di questa bolgia Dante ci ha detto (XXIV, 94):

Con serpi le man dietro avean legate.

Ridivenuto uomo Vanni Fucci s' era veduto un momento le braccia libere, della qual libertà egli usa da par suo. Adesso una serpe lo rilega, cioè lega di nuovo.

8. RIBADENDO: forando e attraversando le reni colla coda e col capo (XXIV, 95. 96) e aggroppando coda e capo dinanzi. Ribadire propriamente Ritorcere la punta del chiodo e ribatterla verso il suo capo nella materia confitta.

9. CON ESSE: braccia.

DARE UN CROLLO: fare alcun atto di movimento. Una serpe lo stringe al collo, gli racchiude il fiato e gli impedisce di ingiuriare Iddio colla lingua; l'altra gli rilega strettissimamente le mani e gl' impedisce così di ingiuriare Iddio coi gesti.

10. CHÈ perchè.

in cenere.

STANZI: ordini, statuisci, ti determini di ridurti

11. INCENERARTI: ridurti da te stessa in cenere come il ladro tuo cittadino; cfr. XXIV, 100 e seg.

12. LO SEME: poichè superi nel mal operare gli stessi tuoi fondatori. Ai tempi di Dante si favoleggiava Pistoja esser stata fondata da coloro che scamparono dopo la sconfitta di Catilina. <<I tagliati e fediti della gente di Catellina scampati di morte della battaglia, tutto fossono pochi, si ridussero ov'è oggi la città di Pistoja, e quivi con vili abitacoli ne furono i primi abitatori E però non è da maravigliare se i Pistolesi sono stati e sono gente di guerra fieri e crudeli intra loro e con altrui, essendo stratti del sangue di Catellina e del rimaso di sua così fatta gente.»> G. Vall. 1. I, c. 32. Ma già il Land. osserva: «Qui molti espongono, che i primi fondatori di Pistoja fussero i soldati rimasi dopo la rotta e morte di Catilina, i quali, come scrive Salustio, furono pieni di scelleratezze, ed empi contro la lor patria. Ma non può procedere, perchè appar chiaramente che Pistoja fu innanzi alla congiurazion di Catilina.» Senonchè Dante ritenne forse per vera la favola, come sembra la ritenesse anche il Villani. — In alcuni codici questa terzina si legge così: Ah Pistoja, Pistoja. chè non stai anzi

D' ingenerare sì che più non duri,
Poiche in mal far lo seme tuo avanzi?

cioè: «Perchè non resti dal multiplicare le tue genti e non ti condanni da te stessa a un perpetuo celibato?» Così sembra aver letto anche l' An. Fior. il quale chiosa: «Perchè non ordini che tanto tuo mal seme si spenga et non rifigli in te? »

Non vidi spirto in Dio tanto superbo, Non quel che cadde a Tebe giù da' muri. 16 Quei si fuggì che non parlò più verbo;

Ed io vidi un Centauro pien di rabbia
Venir chiamando: «Ov' è, ov'è l' acerbo?»
19 Maremma non cred' io che tante n' abbia
Quante bisce egli avea su per la groppa,
Infin dove comincia nostra labbia.
22 Sopra le spalle, dietro dalla coppa,

Con l' ale aperte gli giacea un draco;
E quello affoca qualunque s' intoppa.
25 Lo mio maestro disse: «Quegli è Caco,

14. IN DIO: contro Dio. E lo notiamo affinchè dotti della qualità di quel tal Scarabelli, ignorando la forza di questo in, non ragghino come fè costui in un' altra occasione. Vedi Inf. XXXIII, 150. nt.

15. QUEL: Capaneo, cfr. Inf. XIV, 46 e seg. Ne ille quidem nemmeno colui.

NON QUEL: è il lat.

16. QUEI: Vanni Fucci. Al. Ei si fuggì. FUGGI: vedendo da lungi VERBO: parola.

venir il Centauro.

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18. L' ACERBO: il Fucci «che fu acerbo et duro et salvatico uomo.>> An. Fior. In questo luogo il Fucci è detto acerbo metaforicamente per indomabile e superbo, come colui che, non diversamente da Capaneo al quale il Poeta in certo modo lo paragona, non si matura, Inf. XIV, 48, ed oltraggia Iddio persino nei dolori eterni. Dante usa in più luoghi l'epiteto acerbo, con metafora tolta dalle frutta amare ed ostiche. Cfr. Virg. Aeneid. V, 461. 462:

Tum pater Aeneas procedere longius iras,

Et sævire animis Eutellum haud passus acerbis.

19. MAREMMA: cfr. Inf. XIII, 9. nt. «Questa è una contrada di Pisa (?), posta presso al mare ove abbondano molte serpi, intanto che a Vada è uno monasterio bellissimo, lo quale per le serpi si dice essere disabitato.» Buti. 20. EGLI: il Centauro.

21. INFIN: fino al basso delle reni dove finisce la forma di cavallo e comincia quella di uomo. Le serpi, figura dell' astuzia del ladro, assalgono i bestiali, ma non han luogo nell' uomo che segue la ragione. Dove incomincia l' umanità, la bestialità finisce. Qui umanità e bestialità compongono nel loro insieme una sola persona. -LABBIA: faccia, aspetto, cfr. Inf. VII, 7. Nostra labbia qui nostra sembianza, la figura umana.

22. COPPA: l' occipite.

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23. DRACO: drago. Invece di drago, lago, luogo, prego ecc. si disse anticamente e in verso ed in prosa draco, laco, loco, preco ecc. AFFOCA: accende, abbrucia.

24. QUELLO: quel drago.

si abbatte in lui. Cfr. Virg. Aeneid. VIII, 103. 104.

Super omnia Caci

-

Speluncam adjiciunt, spirantemque ignibus ipsum.

S' INTOPPA:

25. CACO: figlio di Vulcano (Huic monstro Vulcanus erat pater, Virg. Aen. VIII, 197), mezzo uomo e mezzo satiro (semihominis Caci facies, Ibid. v. 193) che abitava in una grotta del monte Aventino. Rubò con astuzia quattro buoi e quattro vacche della greggia di Ercole,

Quatuor a stabulis præstanti corpore tauros
Avertit, totidem forma superante juvencas.
Atque hos, ne qua forent pedibus vestigia rectis,
Cauda in speluncam tractos, versisque viarum
Indiciis raptos, saxo occultabat opaco.

Virg. Aen. VIII, 205 e seg.

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Che sotto il sasso di monte Aventino
Di sangue fece spesse volte laco.
Non va co' suoi fratei per un cammino
Per lo furar frodolente ch' ei fece

Del grande armento ch' egli ebbe a vicino;
Onde cessâr le sue opere biece

Sotto la mazza d' Ercole, che forse
Gliene diè cento, e non sentì le diece.»>
Mentre che sì parlava, ed ei trascorse,
E tre spiriti venner sotto noi,

De' quai nè io ne il duca mio s' accorse,
Se non quando gridâr: «Chi siete voi?»
Per che nostra novella si ristette,
Ed intendemmo pure ad essi poi.
Io non gli conoscea; ma ei seguette,

I muggiti delle vacche avendo servito di scorta ad Ercole ei si recò alla grotta ed uccise il mostruoso ladrone. (Cfr. Virg. Aeneid. VIII, 193-267.) Caco è il simbolo della forza congiunta colla frode. Virgilio avendolo detto mezzo uomo Dante ne fa un Centauro.

27. FECE... LACO: sparse più volte tanto sangue da formarne un lago. 28. Co' SUOI FRATEI: cogli altri Centauri nella bolgia de' tiranni, cfr. Inf. XII, 55 e seg.

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29. PER: per aver rubato astutamente le vacche ed i tori di Ercole, cfr. v. 25. nt. FURAR: Al. furto. Già s' intende che quel tal Scarabelli ragghia anche qui come di solito; ma di una ventosità letteraria non giova

curarsene.

30. GRANDE ARMENTO: i tori di Ercole erano præstanti corpore e le vacche forma superante. EBBE A VICINO: ebbe in vicinanza.

31. BIECE: torte, prave, ingiuste. Biece per bieche non «in grazia della rima», sibbene perchè gli antichi usavano volentieri fognar l' h.» Cfr. Nann. anal. crit. pag. 289. nt. 1.

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sul quale eravamo.

SOTTO NOI: Sotto l'argine

36. S' ACCORSE: pel semplice motivo che Dante e Virgilio non avevano badato che a Caco. L' An. Fior.: «Per questo vuole mostrar l'occulte vie et gli occulti modi che tengono i ladri.» Ma questi spiriti non cercano di occultarsi, al contrario sono essi che cercano di attirare a sè l' attenzione dei due Poeti.

37. GRIDÂR: a noi.

38. NOSTRA NOVELLA: il discorso che fra noi si faceva cessò non ragionammo più insieme. Quel che Virgilio stava raccontando a Dante era una novella nello strettissimo senso di questo termine, dimodochè superflua ci sembra l' osservazione, del resto vera, di alcuni commentatori che novella sia narrazione di fatti anche veri.

39. INTENDEMMO: volgemmo la nostra attenzione, attendemmo. -PURE: solamente. Da indi in poi badammo soltanto a quegli spiriti.

40. SEGUETTE: seguì, addivenne; così nel v. 42 convenette per convenne. Anche qui alcuni commentatori ripetono il loro benedetto «in grazia della rima»; ma la desinenza in ette del perfetto della terza coniugazione, modellata a norma di quella in ette del perfetto della seconda, occorre innumerevoli volte negli antichi e fuor di rima e in prosa. Cfr. Nannuc.

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