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CANTO VENTESIMOSECONDO.

CERCHIO OTTAVO; BOLGIA QUINTA: I BARATTIERI.
POLO NAVARRESE.

FRA GOMITA.
ZUFFA DE' DEMONI.

MICHEL

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ZANCHE.

Io vidi già cavalier muover campo,
E cominciare stormo, e far lor mostra,
E talvolta partir per loro scampo;
4 Corridor' vidi per la terra vostra,
O Aretini, e vidi gir gualdane,

1. MUOVER CAMPO: mettersi in marcia; è il Castra movere dei latini. 2. COMINCIARE STORMO: attaccar battaglia. Stormo dal tedesco Sturm= tempesta, attacco, assalto, usavasi anticamente per lo più nel senso di esercito, moltitudine di gente armata; cfr. Tav. Rit. cap. 51: dentro non era gente da poterla difendere al grande stormo che egli aveva seco. È noto però come si adoperasse ancora nel senso di combattimento; così, per citare soltanto un' antichissimo, nelle Rime Istoriche di Anon. Genovese (Archivio Stor. Ital. Tom. IV. Appendice, Fir. 1847. pag. 18):

Anti ca chi comenzasse

Si axerbo stormo,
Non so che gi mancasse,
Tanto era lo lor colmo.

In qual senso debba prendersi in questo verso di Dante non è facile diffinire; i commentatori discordano fra loro; a noi sembra doversi prendere nel senso di combattimento. MOSTRA: rassegna.

3. PARTIR: fare la ritirata. PER LORO SCAMPO: per salvarsi.

4. CORRIDOR': uomini che fuggono correndo. Al. chi fa correríe; ma di costoro fa cenno nel verso seguente.

5. VIDI: quando? Forse nel 1288 allorchè i Fiorentini guerreggiarono contro Arezzo. «In quella battaglia memorabile, e grandissima, che fu a Campaldino, lui (Dante) giovane, e bene stimato si trovò nell' armi combattendo vigorosamente a cavallo nella prima schiera, dove portò gravissimo pericolo: perocchè la prima battaglia fù delle schiere equestri, cioè de' Cavalieri, nella quale i Cavalieri, che erano dalla parte degli Aretini, con tanta tempesta vinsero e superchiarono la schiera de' Cavalieri Fiorentini, che sbarattati e rotti, bisognò fuggire alla schiera pedestre. Questa rotta fu quella che fè perdere la battaglia agli Aretini, perchè i loro Cavalieri vincitori, perseguitando quelli che fuggivano, per grande

Ferir torneamenti, e correr giostra,
7 Quando con trombe, e quando con campane,
Con tamburi e con cenni di castella,
E con cose nostrali e con istrane;
10 Nè già con sì diversa cennamella
Cavalier vidi mover nè pedoni,

Nè nave a segno di terra o di stella.
13 Noi andavam con li dieci dimoni;

distanza, lasciarono addietro la loro pedestre schiera; sicchè da quindi innanzi in niun luogo interi combatterono, ma i Cavalieri soli, dipersè senza sussidio di pedoni, e i pedoni poi dipersè senza sussidio dei Cavalieri. Ma dalla parte dei Fiorentini addivenne il contrario; che per esser fuggiti i loro Cavalieri alla schiera pedestre, si ferono tutti un corpo, e agevolmente vinsero, prima i Cavalieri e poi i pedoni. Questa battaglia racconta Dante in una sua epistola, e dice esservi stato a combattere, e disegna la forma della battaglia.>> L. Bruni Aretino: Vita di Dante. cfr. Dino Compagni, lib. I. G. Villani, lib. VII. cap. 124. 131. È per altro possibile che Dante alluda qui ad un fatto posteriore; o forse egli parla in generale senza mirare ad un fatto particolare. GUALDANE: cavalcate le

quali si fanno alcuna volta in sul terreno de' nimici a rubare, e ardere, e pigliare prigioni. Buti. «Se la marcia de' nimici, ovvero ch' essi infingano, ci darà materia di non fuggirla, non però la ci conviene lasciare, ma spiare sollecitamente e per traditori e rubelli quello che il nemico ora e per innanzi intende di fare, e con apparecchiati cavalieri e leggermente armati andando, con subita paura possiamo spaventare e dare danno al nemico, che con gualdane va caendo (= cercando) vivanda.» Bono Giamboni: Volgarizzam. doll' arte della guerra di Flavio Vegezio, lib. III, cap. 6 (Nannucci: Man. della lett. it. 2a. edize. Vol. II. pag. 418.) All' incontro Vinc. Buonanni: Io penso che questo significhi moltitudine, e assai gente insieme, percioche noi diciamo, volendo significare un gran paese posseduto da uno: Egli ha un gualdinoro di oderi, o di terre (?).

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6. FERIR TORNEAMENTI: torneare, far tornei; frase cavalleresca. GIOSTRA: «torneamento è quando le squadre vanno l' una contro l' altra, e rappresentano una specie di battaglia; giostra è quando l' uno va contro l'altro a corpo a corpo, e rappresenta la battaglia singolare.» Land. niamento chiamavano uno spettacolo, che rappresenta una zuffa di uomini a cavallo. Machiavelli: Ist. Fior. lib. VII. §. 12.

Tor

7. CAMPANE: i Fiorentini «avevano una campana detta Martinella, la quale un mese prima che traessero fuori della città gli eserciti continuamente suonava, acciocchè il nimico avesse tempo alle difese. Questa campana ancora conducevano ne' loro eserciti, mediante la quale le guardie e le altre fazioni della guerra comandavano.» Macchiac. 1. c. lib. II. §. 5. «E chi la chiamava Martinella, e chi la campana degli asini.» Ric. Mat. cap. 168. G. Vill. lib. VI. cap. 75. Questa campana era appesa al carroccio. 8. CENNI DI CASTELLA: fummi di giorno e fuochi di notte. 9. ISTRANE: introdotte da Francesi, Tedeschi ecc.

10. DIVERSA: strana, cfr. XXI, 139. CENNAMELLA: strumento da fiato; Vedi Tav. Rit. ed. Polidori (Bologna 1864). Vol. I. pag. 64. 517. Vol. II. pag. 38. Dino Compagni: L' Intelligenza, ap. Nannucci, Man. Vol. I. pag. 519. Blanc: Vocab. Dant. ad voc.; Mazzoni - Toselli: Voci e Passi ecc. pag. 132. «Cennamella è strumento musicale a fiato, differente dal Otricello ch'è un piccolo otre fatto di pelle di capra o di becco, che appostovi nel buco un cannello, si suona da' pastori. Volgarmente però si confonde con la piva, con la sampogna e con la cornamusa.» Di Siena 12. DI TERRA: che si scopre da lungi. DI STELLA che si mostri in cielo durante la notte. Viene a dire che non vide mai muoversi nè cavalieri, nè pedoni, nè navi con uno strumento così strano come era quello usato dal demonio Barbariccia.

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Ahi fiera compagnia! ma nella chiesa Co' santi, e in taverna co' ghiottoni. 16 Pure alla pegola era la mia intesa,

Per veder della bolgia ogni contegno, E della gente ch' entro v' era incesa. 19 Come i delfini, quando fanno segno

Ai marinar' con l'arco della schiena,
Che s' argomentin' di campar lor legno:
22 Talor così ad alleggiar la pena

Mostrava alcun dei peccatori il dosso,
E nascondeva in men che non balena.
25 E come all'orlo dell' acqua d' un fosso
Stanno i ranocchi, pur col muso fuori,
Sì che celano i piedi e l' altro grosso:
28 Si stavan da ogni parte i peccatori;
Ma come s' appressava Barbariccia,
Così si ritraean sotto i bollori.

14. NELLA CHIESA: 'proverbio popolare usato ancora oggigiorno a denotare che la compagnía corrisponde al luogo dove l' uom si trova. Cum sancto sanctus eris, et cum robusto perfectus. Cum electo electus eris, et cum perverso perverteris. II Reg. XXII, 26. 27. cfr. Psal. XVII, 26. 27.

16. PURE: soltanto. PEGOLA: alla bollente pece. INTESA: attenzione Io non faceva attenzione che alla pegola.

17. CONTEGNO: qualità, condizione, particolarità. Al., p. es. Tom., spiegano cose contenute. Ma vuol Dante dire: Io badavo soltanto alla pegola per vedere tutte le cose contenute della (= nella) bolgia e della (nella) gente (!!) che dentro v' era accesa? O non vuol egli piuttosto dire: Io badavo soltanto alla pegola per vedere ogni particolarità della bolgia e della gente che dentro vi ardeva? Il dire che contegno valga quì contenuto ci sembra poco meno che un' assurdo.

18. INCESA: accesa, arsa, abbrucciata.

19. DELFINI: «Dalfino (= delfino) è uno grande pesce e molto leggiere, che salta disopra dall' acqua, e già sono stati di quelli, che sono saltati di sopra dalla nave. E volentieri seguono le navi e le boci degli uomini, e non vanno se non molti insieme, e cognoscono lo mal tempo quando dee essere, e vanno contro alla fortuna che dee essere. E quando li marinari veggiono ciò, sì s' antiveggiono della fortuna. . . . Mentre ch' elli sta sotto l'acqua non puote spirare (= respirare); e però spesso viene disopra dell' acqua Egli è quel pesce, che più amore pone nell' uomoche neuno animale che d'acqua sia.» Bono Giamb. Volgarizz. del Tesoro di Ser Brun. Latini, lib. IV, c. 5. Nannucci, Man. Vol. II. pag. 370. FANNO SEGNO: saltando, mostrandosi fuori dell' acqua, il che secondo Plinio è indizio che la tempesta si avvicini.

20. ARCO DELLA SCHIENA: spina del dosso incurvata.

21. S' ARGOMENTIN': si preparino, s' ingegnino; cfr. Nannucci, Man. Vol. II. pag. 424. LEGNO: nave.

22. ALLEGGIAR: alleggerire.

23. MOSTRAVA: fuor della pegola.

24. NASCONDEVA: attuffandosi nella pece all' avvicinarsi dei Male-branche.

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31 Io vidi, ed anco il cor me n' accapriccia,
Uno aspettar così, com' egli incontra
Che una rana rimane ed altra spiccia.
34 E Graffiacan, che gli era più di contra,
Gli arroncigliò le impegolate chiome,
E trassel su, che mi parve una lontra.
37 Io sapea già di tutti quanti il nome,
Si li notai quando furono eletti,

40

E poi che si chiamaro attesi come.
«O Rubicante, fa che tu gli metti

Gli unghioni addosso sì che tu lo scuoi,»>
Gridavan tutti insieme i maledetti.
43 Ed io: «Maestro mio, fa se tu puoi
Che tu sappi chi è lo sciagurato
Venuto a man degli avversari suoi.»>
46 Lo duca mio gli s' accostò allato,
Domandollo ond' è fosse; e quei rispose:
«Io fui del regno di Navarra nato.

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31. ANCO: ancor adesso ricordandomene.

la paura, Inf. I, 6.

32. UNO: di quei peccatori.
33. RIMANE: fuor dell' acqua.

Che nel pensier rinnuova

INCONTRA: avviene.

34. GRAFFIACAN: cfr. Inf. XXI,

contro, più vicino.

SPICCIA: salta lestamente nell' acqua. 122. PIÙ DI CONTRA: più a rin

35. ARRONCIGLIO: inviluppô col ronciglio.

36. LONTRA: lutra. «Lontra è uno animale tutto piloso e nero; hae quattro piedi ed è lungo, ed ha una lunga coda; vive e fa sua pausa la maggior parte del tempo in acqua. Or tutto simile era lo peccatore che fu tratto suso per la pegola dov' era bollito entro.» Lan.

37. DI TUTTI: quei dieci dimoni coi quali noi andavamo, v. 13. 38. FURONO ELETTI: da Malacoda che eleggendoli li avea chiamati pel loro nome, cfr. XXI, 118-123.- ELETTI: ad ire assieme coi due poeti.

39. Por: oltre all' aver notato i loro nomi quando furono eletti feci attenzione anche in seguito al come si chiamavano tra loro, cioè a' nomi che si davano conversando insieme. In questa terzina il poeta spiega come egli sapesse che colui il quale trasse su quel malcapitato barattiere si chiamasse Graffiacane.

40. METTI: per metta, come credi per creda, Inf. VII, 117. forbi per forba, XV, 69. conoschi per conosca, Purg. XXXIII, 85. veggi per vegga, Ibid. v. 86 ecc. Anticamente anche i verbi della seconda e terza congiugazione prendevano sovente la finale in i. Cfr. Nannuc. Anal. crit., pag. 288 e seg.

41. UNGHIONI: artigli.

cuojo, scorticare.

42. TUTTI: gli altri dimoni.

SCUOI: Scortichi; da scuojare

- tor via il

43. FA: procura, se mai possibile, di sapere chi sia costui.

45. A MAN: in balía. - AVVERSARI: i dimoni. Adversarius vester diabolus tamquam leo rugiens circuit, quærens quem devoret. 1. Petr. V, 8. 47. ONDE: di qual paese.

natío.

48. FUI... NATO: nacqui; latinismo come Inf. V, 97. Al. nato I commentatori antichi dicono che costui fosse un certo Ciampolo, ovvero Giampolo, «figliuolo d' una gentil donna di Navarra e d' un padre che fu cattivo uomo.» Buti. «Per rapporti di nobiltà sua madre lo mise alla dipendenza di un grande di Spagna. Seppe costui con tanta malignità diportarsi, che in breve tempo si rese carissimo al suo principale, che gli

49 Mia madre a servo d' un signor mi pose,
Chè m' avea generato d' un ribaldo
Distruggitor di sè e di sue cose.

52 Poi fui famiglio del buon re Tebaldo;
Quivi mi misi a far barattería,

55

Di che io rendo ragione in questo caldo.>>
E Ciriatto, a cui di bocca uscía

D' ogni parte una sanna come a porco,
Gli fe' sentir come l' una sdrucía.

fece un nome, e lo allogò nella corte del re di Navarra.» Benv. Ramb. Venne in tanta grazia del re, che fu il maggiore uomo che fusse presso a lui, et per le cui mani tutte le cose del reame andavono. Egli permutava gli ufficj come a lui pareva: non fu contento della grazia del re; fece molte varie et diverse baratterie.» An. Fior. Ulteriori notizie di questo Ciampolo non si rinvengono. Il Filalete: «Se la tradizione non lo chiamasse Ciampolo, io supporrei che costui fosse il siniscalco Goffredo di Beaumont, cui Tebaldo durante la sua assenza affidò il governo di Navarra.»

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49. A SERVo: al servizio. D' UN SIGNOR: d' un barone del re Tebaldo. 50. CHÈ perciocchè. Mia madre dovette pormi al servizio altrui perchè il mio genitore avea distrutto sè stesso, uccidendosi, e le sue cose, cioè i suoi averi, scialacquandoli. «Morto il padre, la madre per necessità, ch' era venuto meno la roba per lo cattivo padre, quando fu grandicello lo pose per servo d' uno barone del re Tebaldo.» Buti. RIBALDO: boia, carnefice. Che il termine ribaldo voglia dir boia eccone la prova: «Quando l'uomo si va a 'mpiccare, già non ha egli in odio, e non vuol male al RIBALDO che lo 'mpicca; però che sa che nol fa per odio, e fallo non volentieri.>> Frà Giord. Pred. ined. ed. E. Narducci (Bol. 1867) pag. 429. Che anche nel verso di Dante ribaldo sia preso nel senso di carnefice lo dímostra quel distruggitor di sè del verso seguente. Non è un linguaggio da figlio questo, ma nessuno si aspetterà di rinvenire pietà figliale nelle bolge dell' Inferno. Il Tom.: «Ribaldo uomo devoto a signore; e perchè costoro eran anco devoti al misfatto, però ribaldo prese col tempo mal senso.» Ma nè ávvi indizio che il padre di questo Ciampolo fosse uomo devoto a signore, nè l' esser devoto a signore fu sempre una medesima cosa coll' esser devoto al misfatto.

51. DI SE: suicida. «Tutti avendo dilapidati i beni, si appiccò, disperato, per la gola», dice Benv. Ramb. COSE: averi. «Gettò via et spese et giucò ciò ch' egli avea.» An. Fior.

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52. FAMIGLIO: famigliare, servidore. Al. famiglia, lezione difesa dai quattro Accademici del 1837 e da altri, e la quale è di molti codici. Ma anche accettando famiglia non si potrà spiegare coi quattro Accademici: «fui della famiglia o nella famiglia» (poichè, come ben osserva il Di Siena, i re per quanti favori accordino ai Ciampoli non gli fanno mai della loro casa, sibbene del loro servidorame), ma col Fanfani nell' Etruria per sineddoche famigliare. TEBALDO: probabilmente Tebaldo II. re di Navarra; succedette nell' anno 1253 nel regno a suo padre Tebaldo I. le cui poesie Dante cita tre volte nel Vulg. elog. Accompagnò Luigi IX. di Francia suo suocero a Tunis e morì ritornando da questa spedizione nel 1270 a Trapani in Sicilia (cfr. G. Weber, Allgem. Weltgesch. Vol. VII. pag. 401). Il famoso trovatore Rutebeuf ne pianse la morte, celebrandolo qual re prode, generoso e buono. Buti: «fu buono secondo la fama che di lui è ancora.»> Ben. Ramb. fu sovrano di specchiata giustizia e clemenza. 53. QUIVI: nel servizio di Tebaldo. 54. RENDO RAGIONE: pago il fio. IN QUESTO CALDO: nella bollente pece. 57. L' UNA: delle due sanne. sdruscire scucire, aprire, fendere, spaccare). DANTE, Divina Commedia. I.

Redde rationem! Luc. XVI, 2.

SDRUCÍA: stracciava (da sdrucire e

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