Dell'alto lume parvemi tre giri Di tre colori e d'una contenenza: E l'un dall'altro, come Iri da Iri,
Parea reflesso; e il terzo parea foco, Che quinci e quindi egualmente si spiri. O quanto è corto il dire, e come fioco
Al mio concetto! e questo a quel, ch'io vidi, È tanto, che non basta a dicer poco.
O luce eterna, che sola in te sidi,
Sola t'intendi, e da te intelletta,
E intendente te ami e arridi! Quella circolazion, che si concetta
Pareva in te, come lume reflesso, Dagli occhi miei alquanto circospetta,
Dentro da sè del suo colore stesso
Mi parve pinta della nostra effige:
Per che il mio viso in lei tutto era messo. 132 Qual è il geomètra, che tutto sì affige
Per misurar lo cerchio, e non ritrova,
Pensando, quel principio onde egli indige; 155
Tale era io a quella vista nuova:
Veder voleva come si convenne
L'imago al cerchio, e come vi s'indova;
Ma non eran da ciò le proprie penne;
Se non che la mia mente fu percossa
Da un fulgore, in che sua voglia venne.
Bar. Cr. Ros. Cass. Ant. Nid. Vol. te a me. Pareva in tre. Nid. riflessso. L'imago e 'l cerchio.
128. Cr. Antald.
130. Cr. fulgore — 158. Ald.
All'alta fantasia qui mancò possa:
Ma già volgeva il mio desiro e il velle, Sì come ruota che egualmente è mossa, L'Amor che move il Sole e l'altre stelle.
145. Cr. al mio disiro il velle. Caet. al mio desio il velle. Antald. 'l mio desio il velle.
FINE DELLA TERZA ED ULTIMA CANTICA.
RICORDATA A DANTE AMOREVOLMENTE
DAL RE CARLO MARTELLO NEL PARADISO
Voi, che intendendo, il terzo Ciel movete, Udite il ragionar, ch'è nel mio core, Ch'io nol so dire altrui, si mi par novo: El Ciel, che segue lo vostro valore, Gentili creature, che voi sete,
Mi tragge nello stato, ov' io mi trovo; Onde 'l parlar della vita, ch' io provo, Par, che si drizzi degnamente a vui; Però vi prego, che lo m'intendiate. Io vi dirò del cor la novitate, Come l'anima trista piange in lui: E come un spirto contra lei favella, Che vien pei raggi della vostra stella. Solea esser vita dello cor dolente, Un soave pensier, che se ne gia Molte fiate a piè del nostro Sirer; Ove una donna gloriar vedia,
Di cui parlava a me si dolcemente, Che l'anima dicea: i'men vo'gire. Or apparisce chi lo fa fuggire:
E signoreggia me di tal virtute,
Che il cor ne trema sì che fuori appare. Questi mi face una donna guardare: E dice: chi veder vuol la salute Faccia che gli occhi d'esta donna miri, Se ei non teme angoscia di sospiri. Trova contraro tal che lo distrugge, L'umil pensiero, che parlar mi suole, D'un' Angiola, che in Cielo è coronata. L'anima piange, sì ancor le 'n duole, E dice: o lassa me! come si fugge Questo pietoso, che m' ha consolata: Degli occhi miei dice questa affannata Qual ora fu, che tal donna li vide? E perchè non credeano a me di lei? Io dicea: ben negli occhi di costei Dee star colui, che li miei pari uccide; E non mi valse ch'io ne fossi accorta, Che non mirasser tal, ch'io ne son morta Tu non se'morta, ma se'ismarrita,
Anima nostra, che si ti lamenti: Dice uno spiritel d'amor gentile ; Chè quella bella donna, che tu senti, Ha trasformata in tanto la tua vita, Che n'hai paura, si se'fatta vile. Mira quanto ella è pietosa e umile, Saggia e cortese nella sua grandezza: E pensa di chiamarla donna omai; Chè, se tu non t'inganni, vederai Di si alti miracoli adornezza, Che tu dirai: Amor, signor verace, Ecco l'ancella tua: fa che ti piace. Canzone, io credo che saranno radi
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