Antiche Leggende e Tradizioni Che Illustrano la Divina Commedia

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Independently Published, 2020 M08 24 - 192 pages
Nel principio di questo secolo, si pubblicava a Roma la Visione d'un frate Alberico, monaco di Montecassino, e subito si vide accapigliarsi l'irrequieta moltitudine dei commentatori. Da un lato si voleva, in quella strana leggenda, trovar la prima idea del poema sacro; e dall'altro, si gridava allo scandalo contro chi poteva veder somiglianza tra le divine immagini del poeta, e i sogni puerili d'un frate ignorante. Ma questa battaglia cessò presto, e non si seppe mai chi aveva ottenuto la vittoria. Gli avversari sembravano stanchi d'aver tirato dei colpi in aria, senza risultato; il pubblico non capiva, perchè uno scritto così povero sollevasse tanto rumore; e per un pezzo non s'è udito più ragionar di frate Alberico. In questo mezzo, però, si trovava nelle letterature straniere un gran numero di simili leggende, che parevano avere con la Divina Commedia i medesimi rapporti. Storici ed eruditi, come Ozanam, Labitte, Wright e tanti altri, non esitarono punto a dire, che Dante ritrovò l'idea del suo poema in tutto il secolo; che la Francia, la Germania, tutta l'Europa avevano contribuito in qualche modo alla Divina Commedia. Nè ciò bastava. Dopo avere studiato ed esaltato i poeti provenzali e le sue leggende, la Francia poneva in luce un numero prodigioso di poemi cavallereschi, di racconti e poesie liriche, nell'antica lingua dell'oil; li commentava ed illustrava con vasta dottrina. Non era contenta poi di dichiarare i suoi cento poeti del medioevo più antichi di tutti i nostri; ma voleva ancora negli italiani vedere dei seguaci ed imitatori degli antichi Francesi. L'ultimo volume della storia letteraria di Francia, scritto da uomini dottissimi, riassume le vaste e molteplici ricerche col dire: "È tempo che cessi finalmente il volgare pregiudizio, che noi stessi abbiamo cercato diffondere in Europa, dichiarandoci imitatori e seguaci dell'Italia. Egli è ormai evidente, che l'Italia non ha fatto che rimandarci, sotto forma più corretta, ciò che prima essa aveva copiato da noi". Secondo queste nuove e dotte ricerche, l'Università di Parigi sarebbe stata, nel medioevo, il centro intellettuale dell'Europa, e la scuola dei nostri più grandi scrittori. Dante, Petrarca e Boccaccio avrebbero continuamente imitato, non solo i Provenzali, ma più ancora i poeti francesi; dalla Tavola Rotonda e dai Reali di Francia fino all'Ariosto, tutta la nostra poesia cavalleresca sarebbe presa di pianta dalla Francia. E queste idee vengono diffuse con l'apparato di così vasta dottrina, e sotto l'ombra di così autorevoli nomi, che noi non possiamo più a lungo restare indifferenti sopra una questione, che, a poco a poco, si è estesa a considerare sotto nuovo aspetto, non solo le origini della Divina Commedia e della letteratura italiana; ma le origini ancora della nostra civiltà. Dobbiamo rinunziare, davvero, al titolo per tanti secoli goduto, d'esser quelli che incivilirono l'Europa? Che cosa è avvenuto di nuovo, per mutare così stranamente i giudizi degli uomini?

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